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29 gennaio 2025

Scrivere poesie dopo l'indicibile. Paul Celan e Theodor W. Adorno nel saggio di Paola Gnani



Il saggio "Scrivere poesie dopo Auschwitz" (Giuntina, 2010) della germanista Paola Gnani ricostruisce ed esamina nel dettaglio il complesso legame intellettuale fra due grandi personalità del Novecento. La questione, interessante, nacque da una frase diventata celebre del filosofo tedesco di padre ebreo e madre cattolica Theodor W. Adorno (il cognome è quello materno, l'altro è abbreviato con la doppia vu) che dichiarò nel testo "Critica della cultura e della società" del 1949: «Scrivere una poesia dopo Auschwitz è barbaro e ciò avvelena la stessa consapevolezza del perché è diventato impossibile scrivere oggi poesie».

Il ragionamento era piuttosto articolato, ma quando c'è un nucleo difficile da ridurre si semplifica in un concetto e infatti così accadde, come succede anche adesso quando si estrapola. Intendeva porre il problema della possibilità di una forma di pensiero e del bello che produce dopo gli orrori dell'Olocausto. 

Invece un poeta, Paul Celan, pseudonimo di Paul Antschel, nato in Romania nel 1920 da famiglia ebrea tedesca, era mosso dall'urgenza della sua arte. Sopravvisse ai lavori forzati mentre i genitori morirono in un lager. Per dare voce a tutti coloro che non avevano più voce utilizzava i versi, da lui considerati come un tributo alla verità. 

Il punto di vista del primo espresso quando ancora non aveva letto nulla del secondo (tanto è vero che dopo ne riconobbe il grande valore) li divise e al contempo unì senza mai parlarsi direttamente, se non a distanza. L'attenzione dell'uno nei confronti dell'altro continuò a sussistere, nonostante le divergenze di opinione e atteggiamento. Adorno mitigò la sua affermazione negli anni successivi ammettendo con rammarico che le sue parole erano state prese alla lettera, ma l'interrogativo sul destino dell'arte dopo quella che fu vista come una sentenza, Celan in particolare, rimase a lungo e animò artisti e intellettuali dell'epoca. 

Paul Celan lottò con tutte le forze per vedere riconosciuta dignità alla propria opera. La vita oltretutto gli diede colpi durissimi - la morte prematura del primo figlio appena nato e una falsa accusa di plagio - e cadde negli abissi della malattia mentale. Nel 1970 all'età di 50 anni decise di lasciarsi andare per sempre nelle acque della Senna. Viveva infatti a Parigi, sebbene continuò a scrivere in lingua tedesca. 

Per ironia della sorte, Adorno fu vittima anch'egli di una campagna diffamatoria rivelatasi in seguito infondata che andò a minare le sue già precarie condizioni di salute. Morirà un anno prima del poeta. 

I titoli dei capitoli corrispondono ad alcune bellissime liriche di Celan e quelle rilevanti per l'argomento vengono analizzate dall'autrice. 



Paul Celan (foto di Gisèle Celan-Lestrange, S. Fischer Verlag GmbH)



Theodor W.Adorno (Halbportrait – 1964)


13 dicembre 2024

Il peso del silenzio: "Non dire niente"

 



Se un prodotto di creazione contiene nel titolo la parola "niente" è interessante di per sé, visto il nome di questo blog. Ma della serie tv "Non dire niente" (in originale Say Nothing) e dell'omonimo libro da cui è tratta – merita parlarne per altri motivi e al di là delle battute. Il niente del silenzio omertoso è infatti il filo rosso della narrazione. Un silenzio che può unire o dividere i destini. 

Il suddetto titolo riprende una lirica del poeta nordirlandese premio Nobel, Seamus Heaney: "Qualunque cosa tu dica, non dire niente".

Uscito in Italia nel 2021 con Mondadori, collana Strade blu, il volume è un best-seller giornalistico scritto da Patrick Radden Keefe, nella traduzione di Manuela Faimali e racconta con documenti e immagini un pezzo di storia tragica che ha infiammato l’Irlanda del Nord: i "Troubles", ovvero la lotta armata tra Cattolici e Protestanti tra anni Sessanta e fine degli anni Novanta, che ha origini molto più lontane, derivanti dallo scontro sociale e politico tra nazionalismo irlandese per l’indipendenza dalla Gran Bretagna e gli unionisti che resistevano a tali richieste.
Sembra un déjà vu di fatti attuali ma con Nazioni diverse.

Per quanto riguarda invece la serie-tv, è di Josh Zetumer per la regia di Anthony Byrne, disponibile su Disney+ in nove puntate. Ottimamente diretta e rappresentata.

Una voce fuori campo - si capirà poco più tardi a chi appartiene - introduce il cuore della vicenda.
Subito dopo una scena descrive, solo anticipandolo, un terribile fatto accaduto nel 1972. Una giovane vedova, Jean McConville (interpretata da Judith Roddy) madre di dieci figli, viene prelevata con la forza dal proprio appartamento a Belfast. La sua prima colpa è quella di abitare in un palazzo nevralgico per le operazioni dell’Ira, acronimo di Irish Republican Army, l’organizzazione di tipo paramilitare che lottava per l’indipendenza.
L’altra terribile colpa è quella di essere ritenuta dai volontari dello stesso nucleo una spia solo per aver parlato con un soldato inglese.
Una successiva scena invece delinea la trama principale e vede un personaggio anch’esso realmente esistito, Dolours Price, rispondere a delle domande in una trasmissione radiofonica, ventinove anni dopo. L’intervista rientra nel "Belfast Project", un progetto con cui il college di Boston provò, con l’avvio del nuovo secolo, a ricostruire quegli anni di terrore, intervistando coloro che furono parte attiva e che si mostrarono d’accordo nel rivelare tutto, dietro la promessa che quanto detto non sarebbe stato di pubblico dominio fino alla loro morte.
Il confessare da parte di Dolours le sue illusioni divenute disillusioni riavvolge il nastro dei ricordi. La memoria individuale diventa memoria collettiva. La sua maturazione, la cui resa risulta efficace tramite i flashback, è anche la materia che offre una speranza.

Lei (interpretata da giovane da Lola Petticrew, da adulta da Maxine Peake) e la sorella minore Marian (interpretata da Hazel Doupe) sono le due protagoniste. I genitori, ex membri dell'Ira. Vivono in un quartiere cattolico della capitale. Ai cattolici non sono permessi gli stessi privilegi e protezioni dei protestanti. Mentre giocano con le bambole ascoltano le descrizioni del padre per imparare a resistere a un interrogatorio della polizia e faccende del genere. Dolours è inizialmente scettica con le idee familiari e anzi partecipa, coinvolgendo Marian, a una manifestazione pacifista. Ma verranno durante attaccate dalla parte avversa e questo le porta a vedere nei protestanti i nemici. Solo con la lotta armata si può fare giustizia, proprio come sentenziava il padre. Questo sarà la molla per la radicalizzazione, con il sostegno dei parenti. Come un destino già scritto. 
Entrate a far parte dell’Ira, con solenne giuramento, che impone tra le altre la regola del silenzio, saranno le prime donne militanti, agli ordini di Gerry Adams, leader che entrerà in seguito in politica contribuendo al processo di pace col governo britannico. L’uomo ha sempre negato qualsiasi coinvolgimento con l’organizzazione, come ripetuto al termine di ogni episodio con un Disclaimer.

Al concludersi del dramma che è anche una dolorosa formazione giovanile, oltre all’amarezza e alla rabbia rimangono diversi spunti di riflessione e interrogativi, primi fra tutti sul senso, se c’è, della causa ideologica e l’ordine d'importanza tra questa e la vita umana, ai quali ogni spettatore darà, o proverà a dare, una risposta. Il resto, ormai, appartiene alla Storia.



 La locandina della serie-tv







La copertina del libro










5 dicembre 2024

Eugenio Borgna e il suo profondo vivere


(Questo articolo, scritto il 27 novembre scorso, necessita purtroppo di un aggiornamento: Eugenio Borgna ci ha nel frattempo lasciati). 
 

 Unisce la psichiatria all'antipsichiatria, la saggistica all'arte, il silenzio all'ascolto. 
Il suo nome è Eugenio Borgna, ha 94 anni ed è novarese (piccola nota personale e campanilistica, è conterraneo almeno di nascita di chi scrive e gestisce questo blog). Ha dedicato la vita ad aiutare le persone  con disturbi mentali, donne, in particolare. Forse la sua sensibilità è andata rafforzandosi col tempo per aver lavorato decenni nei reparti femminili di psichiatria. Ora è primario emerito dell’Ospedale Maggiore di Novara ed è stato a lungo libero docente in Clinica delle malattie nervose e mentali presso l’Università di Milano.

La platea dei suoi saggi è amplissima e varia. Le pagine traboccano di umanità e fiducia verso il prossimo. Gli argomenti che tocca sono quelli legati ai sentimenti e le emozioni umane e non sono scritti in un linguaggio specialistico, semmai tutt'altro: la mitezza, la tenerezza, la depressione, la nostalgia, la speranza, l'importanza delle parole per non ferire. A proposito di quest'ultima tematica, si è rivolto in particolare a genitori e insegnanti con le Le parole che ci salvano

Associare la casistica comune, quella che ha avuto modo di conoscere nell'esercizio della professione, ai casi più o meno noti di fragilità di poetesse e poeti, scrittori e scrittrici, rientra nella sua cifra stilistica. Borgna si concentra spesso sul legame fra creazione artistica e follia, con occhio clinico, certo, ma con stupore insieme. 

Per lui le malattie mentali si curano innanzitutto con l'ascolto, la comprensione vera e il dialogo. Fautore della scienza fenomenologica, ogni evento va studiato partendo dalla fonte, dalle origini che la determinano, dalle cause. Ai pazienti bisogna prima stare accanto, guardarli negli occhi per scrutarne l'anima, indagarne i recessi. Prima viene la persona, dopo la malattia di cui soffre. 

Nelle interviste ha denunciato spesso lo stato in cui versa la psichiatria, con la messa in evidenza delle complesse lacerazioni che la rendono una disciplina arida, relegata a un sapere preconfezionato. 

L'ultimo libro, intenso come al solito seppur breve, è appena uscito per Einaudi, l'editore che lo ha pubblicato finora oltre a Feltrinelli, e approfondisce una tematica per l'appunto femminile, ovvero quella del suicidio, lasciando sullo sfondo, per sua ammissione, l'atto perpetrato dagli uomini. Il titolo è L'ora che non ha più sorelle, riprendendo un verso di uno dei più grandi poeti del Novecento, Paul Celan, che sceglieva di morire nelle acque della Senna. 

Scrive Borgna nell'introduzione: 

«L'ora che non ha più sorelle è l'ultima ora della vita. Quando l'ora del vivere diviene l'ora del morire. […] Ci sono suicidi che nascono da condizioni di vita depressiva e suicidi che nascono da condizioni di vita non patologiche».

E ancora: 

«Nella donna le emozioni si modulano e si modificano in una stretta correlazione tematica con l'ambiente in cui si vive. Sono emozioni nobili e altere, liquide e sensibili all'accoglienza, o al rifiuto, da parte degli altri».

Analizza i casi di Simone Weil, Antonia Pozzi (che ama in particolare) Virginia Woolf, Amelia Rosselli, scava nelle loro parole per osservare e far emergere la bruciante disperazione e fa lo stesso con Margherita, Emilia, Stefania, sue anonime pazienti. Ma c'è spazio per le angosce e i tormenti interiori di Cesare Pavese (col quale confess di non avere assonanza) e Leopardi. I loro orizzonti, gli orizzonti di tutti loro, sono il motore propulsore del libro e del pensiero di Eugenio Borgna di cui, in questi tempi complicati e frenetici, dove siamo esseri socievoli e "social" più di nome che di fatto, c'è un gran bisogno.









23 novembre 2024

L'empatia e la lettura di romanzi





Si riprende oggi il filo del discorso sull'empatia. Un concetto che ha avuto i suoi percorsi anche tormentati. E lo si è visto in un articolo precedente a proposito della filosofa e mistica tedesca Edith Stein

Può la lettura di romanzi influire o rafforzare  un sentimento o una condizione dell'animo umano, come l'empatia? 

Attingendo alla storia della cultura ci prova nel 2010 la studiosa americana Lynn Hunt, con il saggio intitolato "La forza dell'empatia", nella traduzione di Paola Marangon, edito da Laterza. 

Partendo dal tema dei diritti umani (il sotto titolo infatti è "Una storia dei diritti dell'uomo") con sullo sfondo lenti ma radicali cambiamenti intervenuti a livello di senso comune, inteso come collettore di nuovi modi di sentire individuali, Lynn Hunt si domanda se sia del tutto casuale la pubblicazione dei tre più grandi romanzi "psicologici" del Settecento - Pamela (1740) e Clarissa (1747-1748) di Richardson e Giulia (1761) di Rousseau - nel periodo immediatamente precedente la comparsa del concetto di "diritti dell'uomo". 

L'empatia non fu "inventata" nel XVIII secolo. La capacità di provare empatia è universale perché è radicata nella biologia; dipende dalla capacità, che ha basi biologiche, di comprendere la soggettività di altre persone e di immaginare che le loro esperienze intime siano simili alle nostre. I bambini che soffrono di autismo, per esempio, hanno gravi difficoltà a decodificare le espressioni del viso come manifestazioni di sentimenti, e in generale hanno problemi ad attribuire uno stato soggettivo alle altre persone. L'autismo, in breve, è caratterizzato dall'incapacità di immedesimarsi negli altri .

Di norma, l'empatia si apprende in giovane età. Anche se la biologia assicura una predisposizione essenziale, ogni cultura conferisce un'impronta specifica alla sua espressione. L'empatia si sviluppa soltanto attraverso l'interazione sociale; pertanto, le forme che tale interazione assume esercitano un'influenza significativa. Nel XVIII secolo i lettori di romanzi impararono ad ampliare la loro visione dell'empatia. Leggendo, l'immedesimazione nei personaggi oltrepassava i limiti sociali tradizionali tra nobili e comuni cittadini, tra padroni e servi, tra uomini e donne, forse persino tra adulti e bambini. Di conseguenza, finivano per vedere gli altri - persone che non conoscevano personalmente - come se stessi, come se provassero lo stesso tipo di emozioni interiori. Senza questo processo di apprendimento, l'«uguaglianza» non avrebbe potuto assumere un significato profondo, in particolare non avrebbe avuto alcuna conseguenza politica . Credere nell'uguaglianza delle anime in cielo non equivale a riconoscere pari diritti sulla terra. Prima del XVIII secolo i cristiani accettavano facilmente il primo postulato senza ammettere il secondo.

La capacità di identificarsi al di là delle divisioni sociali può essere stata acquisita in vari modi, non si può certo affermare che la lettura dei romanzi sia l'unico. Eppure la lettura dei romanzi sembra particolarmente attinente, in parte perché l'apogeo di un genere letterario specifico - il romanzo epistolare - coincide cronologicamente con la nascita dei diritti umani.

Nel romanzo epistolare non esiste un punto di vista esterno dell’autore, come accadrà invece, nel romanzo realista del XIX secolo, semplicemente perché tale punto di vista emerge dalle idee espresse nei carteggi dei personaggi. I “curatori” delle lettere, come si facevano chiamare Richardson e Rousseau, creavano un forte senso della realtà proprio perché la paternità dell’opera si nascondeva nello scambio di lettere. Ciò permise di accentuare la sensazione di immedesimazione, come se il personaggio fosse reale, non immaginario.

«Grazie alla sua stessa forma, il romanzo epistolare era in grado di dimostrare che l'individualità dipendeva dalle caratteristiche dell'«interiorità» (avere una vita interiore), perché i personaggi nelle lettere esprimono i loro sentimenti intimi. Il romanzo epistolare dimostrò inoltre che ogni “io” era dotato di tale interiorità (molti personaggi scrivono), e di conseguenza tutti gli “io” in un certo senso erano uguali, perché tutti possedevano allo stesso modo un'interiorità. Lo scambio di lettere trasforma la giovane serva Pamela, per esempio, in un modello di fiera autonomia e individualità, più che in uno stereotipo dell'oppresso. Come Pamela, Clarissa e Giulia finiscono per simboleggiare l'individualità stessa. I lettori diventano più consapevoli di avere la capacità di interiorizzare le loro esperienze, così come tutti gli altri individui».

Ovviamente non tutti provavano gli stessi sentimenti leggendo questo tipo di romanzi. C’è chi li definiva “tediosi” o “sentimentalisti”, per non parlare del clero cattolico che ne denunciava l’oscenità e la degradazione morale. Richardson e Rousseau rivendicarono il ruolo di “curatori” e non di “autori” per poter arginare il discredito associato ai loro romanzi.

Nonostante le preoccupazioni dei due autori sulla loro reputazione, alcuni critici cominciarono a capire le dinamiche create dai romanzi, richiamando l’attenzione sull’empatia. In questa nuova prospettiva, i romanzi agivano sui lettori in modo da renderli più sensibili agli altri, invece che isolarsi, e quindi la loro moralità veniva rafforzata. Uno dei più importanti difensori del romanzo fu Diderot, anch’egli romanziere. Diderot non usa le parole “empatia” o “identificazione” ma ne dà una spiegazione persuasiva dicendo che ci si immedesima nei personaggi, si provano gli stessi sentimenti dei protagonisti; in pratica ci si immedesima in qualcuno diverso da sé. Prende, quindi, consapevolezza del fatto che anche gli altri hanno un “io”. Ed è questo sentimento interiore importante per capire i diritti umani. Inoltre, Diderot comprende che l’effetto del romanzo è inconscio: “ci si sente spingere verso il bene con una impetuosità che non si conosceva. Si prova, di fronte all’ingiustizia, una rivolta che non saremmo in grado di spiegarci”. Questo è molto importante perché significa che il romanzo ha esercitato il suo effetto attraverso il processo di coinvolgimento della narrazione, non per mezzo di un moralismo esplicito.

Anche Thomas Jefferson era dello stesso avviso, in quanto sosteneva che leggendo Shakespeare, Sterne, Home si provava il desiderio di compiere atti caritatevoli, di atti di emulazione morale.

«Il magico incantesimo operato dal romanzo rivelava così di avere effetti di vasta portata. Anche se non lo affermarono espressamente, i sostenitori del romanzo compresero che scrittori come Richardson e Rousseau di fatto attiravano i loro lettori nella vita quotidiana come una sorta di esperienza religiosa sostitutiva. I lettori impararono a riconoscere l'intensità emotiva dell'ordinario e la capacità di persone simili a loro di creare autonomamente un mondo morale. I diritti umani nacquero dal terreno seminato con questi sentimenti. I diritti umani riuscirono a fiorire soltanto quando gli individui impararono a pensare agli altri come a loro pari, fondamentalmente uguali a loro. Impararono questa uguaglianza, almeno in parte, attraverso l'esperienza dell'identificazione con personaggi comuni che sembravano drammaticamente presenti e familiari, anche se in definitiva erano immaginari».

Nei tre romanzi epistolari esaminati da Hunt, per spiegare la sua teoria, le protagoniste sono tutte di sesso femminile e gli autori sono di sesso maschile. Le eroine erano più affascinanti perché la loro autonomia non poteva esplicarsi appieno in quel periodo storico. Le donne, come sappiamo, godevano di scarsi diritti giuridici separati dai padri o dai mariti. I lettori trovavano la ricerca di indipendenza da parte dell’eroina particolarmente struggente, perché capivano le restrizioni che tale tipo di donna inevitabilmente subiva. Nelle tre storie vediamo che solo in “Pamela” c’è un lieto fine perché la protagonista si sposerà con Mr B accettando l’implicita limitazione della propria libertà personale mentre Clarissa muore piuttosto che sposare l’uomo che l’ha violentata e Giulia sembra accettare la volontà del padre e rinuncia all’uomo che ama ma morirà nella scena finale.

Alcuni critici moderni hanno rilevato in queste storie elementi di masochismo o di martirio ma la forza dell’identificazione prendeva il sopravvento sugli elementi di critica in quanto i lettori e le lettrici non solo volevano salvare le eroine ma volevano essere come loro, persino come Clarissa e Giulia che alla fine muoiono. In ciascun romanzo tutto ruota intorno alla personalità della protagonista. Le azioni dei personaggi maschili servivano solo a dare risalto a questa volontà femminile. Immedesimandosi nelle protagoniste, i lettori imparavano che tutte le persone, e quindi anche le donne, aspiravano a una maggiore autonomia, e con l’immaginazione sperimentavano la fatica psicologica di questa “impresa” .

Nei romanzi del XVIII secolo si rifletteva un’inquietudine culturale più profonda legata all’autonomia. I filosofi illuministi erano convinti di aver compiuto un importante passo avanti in questo senso. Quando parlavano di libertà, intendevano autonomia individuale, che si trattasse della libertà di esprimere un’opinione o di praticare la religione che si voleva, o dell’indipendenza insegnata ai ragazzi se si seguivano i precetti indicati da Rousseau nella sua guida pedagogica, Emilio nel 1762. La narrativa illuminista sulla conquista dell’autonomia raggiunse il culmine nel 1784 con il saggio di Kant Che cos’è l’illuminismo? Per il filosofo tedesco l’illuminismo era l’uscita dell’uomo dallo stato di minorità che egli deve imputare a se stesso. Minorità è l’incapacità di valersi del proprio intelletto senza la guida di un altro. Quindi, illuminismo per Kant significava autonomia intellettuale, capacità di pensare con la propria testa.

L’accento posto dall’illuminismo sull’autonomia individuale nacque dalla rivoluzione del pensiero politico del XVII secolo, avviata da Grozio e John Locke. I due filosofi avevano sostenuto che l’unico fondamento possibile dell’autorità politica legittima era l’uomo autonomo che stringe un patto sociale con altri suoi simili. Se l’autorità giustificata dal diritto divino, dalla Scrittura e dalla storia doveva essere sostituita da un contratto tra uomini autonomi, era necessario insegnare ai ragazzi a pensare con la propria testa. La pedagogia, sulla quale Locke e Rousseau lasciarono un’impronta profonda, spostò quindi l’accento dall’ubbidienza imposta attraverso le punizioni a un’attenta coltivazione della ragione come strumento preciso d’indipendenza .

Quindi è chiaro che per pensare e decidere da sé erano necessari cambiamenti psicologici oltre che politici e filosofici. Infatti Rousseau nel suo Emilio invitava le madri a costruire pareti psicologiche tra i loro figli e le pressioni sociali e politiche esterne.

I riformatori che si ispiravano all’Illuminismo volevano andare anche oltre la protezione del corpo o la recinzione dell’anima raccomandata da Rousseau. Essi miravano ad ampliare l’ambito di decisione individuale. Le leggi rivoluzionarie francesi sulla famiglia dimostrano quanto fosse reale la preoccupazione destata dai limiti imposti dall’indipendenza. Ad esempio, nel 1790 si abolì la primogenitura, che conferiva diritti ereditari speciali al primogenito maschio o ancora nello stesso anno l’Assemblea decretò che tutti i discendenti, maschi e femmine, avevano pari diritto all’eredità; nell’anno successivo i deputati ridussero la maggiore età da venticinque a ventun anni, dichiararono che gli adulti non potevano più essere soggetti all’autorità paterna e istituirono il divorzio per la prima volta nella storia francese, rendendolo accessibile sia agli uomini che alle donne .

Anche la Gran Bretagna e le sue colonie nordamericane si muovevano sulla stessa linea e il potere patriarcale vecchio stile subì un declino. Dal Robison Crusoe di Daniel Defoe (1719) all’Autobiografia di Benjamin Franklin (scritta tra il 1771 e il 1788), gli autori inglesi e americani esaltarono l’indipendenza come virtù cardinale. Il romanzo di Defoe sul marinaio naufragato fornì un vademecum su come un uomo poteva imparare a provvedere a se stesso .

Questi cambiamenti ci furono anche nella vita reale. I giovani pretendevano sempre di più di compiere le proprie scelte matrimoniali, anche se le famiglie esercitavano ancora grandi pressioni su di loro, come si poteva notare in qualsiasi romanzo la cui trama riguardasse proprio quest’aspetto (per esempio il già citato Clarissa). Cambiarono anche i metodi adottati per allevare i figli. Gli inglesi, ad esempio, smisero di fasciare i neonati prima dei francesi ma continuarono a picchiare i ragazzi nelle scuole più a lungo. Negli anni Cinquanta del Settecento le famiglie aristocratiche inglesi avevano smesso di utilizzare le redinelle di sicurezza per guidare i primi passi dei figli, li svezzavano prima e, poiché non erano più fasciati, i bambini imparavano prima ad usare il gabinetto, tutti segni della maggiore importanza data all’indipendenza. 



Lynn Hunt, foto tratta dal sito dell'Università della California, Los Angeles (Ucla) 



10 novembre 2024

Il reale e il racconto del reale: "Disclaimer"

 Le serie tv non sono tutte di qualità e nella loro abbondanza capita di vedere di tutto. Ormai hanno preso piede le piattaforme a pagamento, ma non è detto che il pagare sia direttamente proporzionale al servizio reso. Il problema è anche un altro, e cioè che il servizio pubblico per primo dovrebbe essere di qualità, ma il discorso si allunga e si complica. Meglio attenersi all'arte. Se entri nel mondo dell'artista perché ha detto o fatto qualcosa di universale, valido per tutti e tutto, accade che quell'esperienza non è la tua ma è come se lo fosse. Ed è bello viverla. Tutto qui, e non è poco. 
Dunque, è pieno il mondo di prodotti poco significativi, soprattutto se si adotta un giudizio critico obbiettivo. Poche sono le serie tv davvero valide sul mercato. Molte sono di puro intrattenimento o agiscono sulle emozioni degli spettatori senza apportare nulla di nuovo, così come succede nei libri.

Su Apple tv è in onda una mini serie in sette puntate. Non un capolavoro, ma interessante per l'argomento e come viene affrontato. Diversi aspetti di trama sono esili. Un po' thriller ad alta tensione, un po' melodramma: Disclaimer. Poco originale è il sotto titolo italiano: La vita perfetta. Come per tante altre serie in circolazione, è tratta da un romanzo (scritto da Renée Knight).
Cos'è il disclaimer? È un termine inglese che indica la postilla legale con cui si mettono le mani avanti, per così dire, con l'intento di escludersi da una certa responsabilità. 
Si utilizza anche nella narrativa: "Ogni fatto o atto descritto è opera di fantasia... ". 

Nella serie tv in questione la fantasia non è solo il dato ovvio, come per tutti i prodotti di fiction, ma è come fosse un personaggio al pari degli altri. 

Sono tutti grandi nomi, a cominciare dal regista, Alfonso Cuarón, pluripremiato vincitore di premi Oscar, il primo ad averlo ottenuto nella storia del suo Paese, il Messico, nonché di altri riconoscimenti prestigiosi come Il leone d'oro e il David di Donatello. 
Protagonista Cate Blanchett nei panni di una affermata documentarista londinese, sposata e madre di un adolescente, che un giorno riceve per posta un libro intitolato Un perfetto sconosciuto e leggendolo le sembra di rivedersi e di ripercorrere una vecchia storia che la riguarda. Ad averglielo spedito è un anziano vedovo (interpretato da Kevin Kline, il co-protagonista) sebbene lo abbia scritto non lui ma la moglie quando era in vita. I dettagli della storia li apprendiamo da una voce narrante fuori campo. Da quel momento la vita della protagonista della serie tv e al contempo dell'opera romanzesca – una meta narrazione e nemmeno l'unica, a dire il vero – cade a pezzi. Pezzi che cadono lentamente, proprio come lo spettatore quando riceve le informazioni, fino allo svelamento ultimo.

Come agisce la nostra immaginazione sulla realtà, e quanto? Dov'è inizia l'una e finisce l'altra? Questi gli interrogativi che si palesano di fronte allo schermo. 
Perché un conto è il reale, sembrano dirci gli autori di Disclaimer, un conto è come lo raccontiamo a noi stessi o come ce lo raccontano gli altri.






12 ottobre 2024

Tutta l'umanità del non-umano


 



«Sì, Flush era degno di Madamigella Barret; Madamigella Barret era degna di Flush. Il sacrificio era grave; ma doveva pur compiersi. Così fu che un bel giorno, con tutta probabilità ai primordi dell'estate del 1842, si poteva vedere una singolare coppia incamminarsi giù per Wimpole Street - una signora anziana piccoletta, rotondetta, dal lucido viso rubicondo e dai lucidi capelli d'argento, la quale vestiva dimesso e conduceva al guinzaglio un giovane Cocker Spaniel dal pelo dorato, tutto brio, tutto vivacità, e assai ben allevato. Giunti quasi in fondo alla via sostarono finalmente al n. 50. Non senza trepidazione, Madamigella Mitford tirò il campanello».

La citazione descrive la scena che prelude a un cambiamento di vita e di padrona per un cagnolino di nobili origini, razza cocker spaniel, protagonista di un breve testo che Virginia Woolf scrisse nel 1933: Flush. Biografia di un cane. Diverse le edizioni italiane. Qui è nella versione tradotta da Alessandra Scalero per La tartaruga, 2012.

Narrato dal punto di vista dell'animale la scrittrice inglese sonda in modo ironico e solo in apparenza leggero, le vicende personali della poetessa Elizabeth Barrett Browning. Costretta a casa per una malattia,  riceve una visita che cambierà le sorti di tutti.  Da quel momento si instaurerà un rapporto di simbiosi fra lei e il suo nuovo amico: Flush. La compagnia fedele del cane l'accompagnerà nei momenti allegri e spensierati e in quelli difficili. Dalla conoscenza e matrimonio (in gran segreto) col poeta Robert Browning, al viaggio in Italia tra Firenze e Pisa e la nascita di un figlio. 

Ponendosi nella prospettiva inedita non umana, Woolf mostra sentimenti umani. La devozione, la rabbia, la gelosia - quando Flush per esempio ritorna ad essere solo un cane in seguito all'amore della padrona verso l'uomo - e il lettore non può che venirne trascinato e coinvolto. La padrona invece, riuscirà ad affrontare una banda di malviventi che rapisce Flush a fini di estorsione. Un escomatage narrativo che mette in evidenza il contrasto tra le umide, buie vie della Londra vittoriana e le contraddizioni della stessa, con il sole delle due città d'arte italiane del viaggio. Viaggio inteso non solo in senso fisico ma anche dell'anima e dei sentimenti. 

L'idea del libro venne all'autrice, per sua stessa ammissione,  quando conobbe i dettagli della storia d'amore fra Elisabeth Barrett, di cui era fiera estimatrice, e Robert Browning, appunto, e ne rimase colpita. 

Virginia Woolf curiosamente amava identificarsi con varie specie animali e lo faceva spesso per comunicare con gli altri, per descrivere il suo essere ed esserci nel mondo e nelle cose. 

Flush è un'opera ingiustamente considerata fra le minori nella produzione woolfiana ma è difficile forse, per quello che oggi abbiamo, operare in termini di classificazione. In ogni caso, merita anch'essa la lettura.