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15 settembre 2024

I diari di Sylvia Plath

 


I Diari di Sylvia Plath sono da leggere per la loro intensità, e per quello sguardo particolare sulle cose che va oltre le cose stesse. Così come i diari di Virginia Woolf, anch'essi pubblicati, o quelli di Cesare Pavese: tutti scrittori, fra l'altro, accomunati da una scelta estrema. È sufficiente la citazione qui sotto, che ricorda in un certo senso sia Woolf che Pavese con Il mestiere di vivere, per intuirne la potenza espressiva:

"Il mestiere di scrivere. Lo scrittore fabbrica illusioni per l'uomo comune - e si ammanta di mistero: a nessuno piace pensare che le proprie emozioni possano essere usate o suscitate da abili letterati di professione. A nessuno piace pensare: questo tizio è capace di guardarmi dentro e di frugarmi l'anima per far soldi. Così, quando gli chiedono come gli vengano le idee, lo scrittore risponde: «Mi sdraio sul divano e Dio mi parla. E' l'ispirazione». E fa contenti tutti". 

In Italia i Diari sono editi da Adelphi nella traduzione di Simona Fefè. Leggere diari, e scriverli anche, può aiutare l'introspezione, a guardarsi dentro con sincerità. A trovare risposte. Ad agire di scarto. Le linee temporali di Sylvia Plath ci conducono dove mai ti aspetteresti. Scrive pagine di resistenza e fatica. È fragile e tenace, malinconica e divertente. Una sensibilità fuori dal comune, la sua. Lirica anche quando descrive banali attività quotidiane. Una volta terminata la lettura vorresti soltanto averla di fronte, guardarla negli occhi, l'autrice di questo diario, e dopo abbracciarla. Ascoltare il silenzio insieme a lei. Poetessa e scrittrice che s'impegna, che studia, che lavora, ma anche donna che ama e vuole essere amata. Null'altro. E che vuole scrivere, e tanto. 

Nacque a Boston nel 1932. Anche lei, come Virginia Woolf e Cesare Pavese, ha scelto il suicidio per l'ultimo sentiero della vita. Dove c'è una fine però c'è un nuovo inizio. La immaginiamo, la immagino, nella quiete che desiderava e nell'arte che tanto amava, con alcune parole lasciate in un giorno in cui il freddo dell'inverno se n'era andato e una nuova stagione entrava:

"Con la mia ripresa e l'arrivo irruente e testardo della primavera sto vivendo la pace e la gioia profonda che non provavo più da quando ero piccolissima e sognavo poesie e favole in technicolor".



27 agosto 2024

Quella vita che è mestiere

 Non potevo, oggi, non ricordarlo. Dopotutto è a lui che devo il nome di questo blog: Cesare Pavese e al suo "Il Mestiere di vivere".

Il "Mestiere di Vivere" è tra le sue opere più conosciute e non è né un romanzo né una raccolta di poesie. E' il diario che lo scrittore ha tenuto tra il 1935 e il 1950 e interrotto nove giorni prima di decidere che nulla aveva più senso se non dandogli un senso preciso: la morte. Era il 27 agosto 1950. 

Il libro lo acquistai quasi alla cieca, per così dire. Lo vidi in vetrina in una libreria, a Cagliari, dove mi trovavo in vacanza dalla nonna materna. Mi colpii il titolo. Sapevo vagamente che era un diario. Anche io ne scrivevo e chissà pensavo fosse qualcosa di più alla mia portata. Erano gli anni Ottanta. Avevo quattordici anni. 

Leggendolo mi soffermavo per capire alcune frasi, ma a volte se non spesso, non capivo. L'ho riletto molti anni dopo trovando nelle pagine ormai ingiallite ancora più mistero e dolore. Un dolore lacerante e persino ironico.

Così quando due anni fa mi è venuto in mente di aprire un blog con l'intento di scrivere quello che non metto sui social, mi sono ripromessa che le prime parole che avrei visto un po' per caso un po' no, e a seconda dell'ispirazione e della frase,  avrebbero dato il nome al blog. E così è avvenuto: "Quest'oggi, niente". Non aveva forse altro da dire quel giorno, Cesare Pavese. Era il 25 aprile 1936, eppure qualcosa ha scritto lo stesso. Il diario come parte di se stessi. Imprescindibile e inscindibile dalla vita. 

Perché la vita è un mestiere, e mistero.