venerdì 3 ottobre 2025
Il mondo di Ingeborg Bachmann
lunedì 15 settembre 2025
A lezione da Vladimir Nabokov
Da quest'anno anche nella versione elettronica, è ormai un classico della saggistica letteraria: Lezioni di Letteratura di Vladimir Nabokov. Una raccolta organica degli appunti e dei numerosi fascicoli preparatori delle lezioni in classe da lui tenute in America, dove arrivò nel 1940, ovvero il periodo in cui pensava di scrivere quello che poi diverrà il suo capolavoro, Lolita, completato nel 1953. Grazie alla moglie Véra e al figlio Dmitri è stato possibile concludere un lavoro, per così dire di assemblaggio, che ha portato a questo corposo libro e Fredson Bower, nella prefazione, specifica di non aspettarsi di trovare il lessico o la sintassi che il celebre scrittore russo avrebbe usato sapendo di farne un libro. Non è stato riscritto tutto alla lettera, sarebbe stato impossibile farlo, spiega.
Nabokov approdò prima alla Stanford University e al Wellesley College; poi alla Cornell University a Ithaca dove fu nominato Associate Professor di letteratura slava e dove insegnò nel corso sui "Maestri della narrativa europea" e su "Letteratura russa in traduzione inglese". Furono gli anni trascorsi in quell’ultima accademia i più prolifici: terminò il memoriale autobiografico Parla, ricordo e fu nello stesso periodo che la moglie gli impedì di bruciare le prime pagine della sua opera più famosa con protagonista Humbert Humbert. Divenne infine Visiting Professor nel 1952 ad Harvard e nel 1958 abbandonò in modo definitivo l'insegnamento. In particolare, le lezioni qui riunite costituiscono il programma svolto al Wellesley e alla Cornell. Nel nostro Paese hanno fatto la loro prima comparsa nei primi anni Ottanta, poi Adelphi ha eseguito una rivisitazione nel 2018 con introduzione del Premio Pulitzer John Updike che si è occupato della parte biografica, mentre la traduzione è di Franca Pece. L'ultima edizione è del 2022.
Vladimir Nabokov (1899-1977) era figlio di una antica e nobile famiglia di San Pietroburgo; crebbe in un ambiente colto e raffinato dove si parlava oltre al russo anche l'inglese, che conobbe meglio della sua lingua madre. La rivoluzione del 1917 costrinse tutti i membri a fuggire in Europa dove il giovane Vladmir poté proseguire gli studi. Si laureò infatti al Trinity College di Cambridge.
Visse in Francia e in Germania dove il padre, un noto politico, venne assassinato. Uomo eclettico e versatile, fu anche un bravo scacchista - non solo come giocatore ma anche come teorico - e un entomologo, nonché saggista e critico; è stato certamente influenzato dal genitore alla cultura occidentale, pur rimanendo fedele alla tradizione drammaturgica russa.
In esergo di Lezioni di Letteratura troviamo questa frase semplice e diretta:
«Il mio corso è, tra le altre cose, una sorta di indagine poliziesca sul mistero delle strutture letterarie».
Descrizione che rende l'idea del metodo-Nabokov: far ragionare gli studenti sui meccanismi letterari e su come e perché nasce una narrazione, e le sue annotazioni e i disegni presenti nel testo rendono più chiaro e visibile il lavoro certosino eseguito ogni volta. Non solo mappe a corredo.
Sono sette «i giocattoli meravigliosi» europei sotto la sua lente di ingrandimento: Mansfield Park di Jane Austen, l'Ulisse di Joyce, Casa desolata di Charles Dickens; Gustave Flaubert con Madame Bovary, Lo strano caso del dottor Jekyll e Mr Hyde di Stevenson, il primo volume della Recherche di Proust, Dalla parte di Swann, e La Metamorfosi di Kafka, con opportuni confronti a Gogol' e Tolstoj.
«Sebbene ogni essere umano abbia il proprio stile, l'unico su cui valga la pena soffermarsi è quello dello scrittore di genio, e il genio non può esprimersi nello stile letterario dello scrittore se egli non lo possiede nell'anima».
Quindi se lo stile per Nabokov non si può insegnare, tutto il resto può e dev'essere oggetto di studio. Non si preoccupava più di tanto dei fatti d'interesse umano, era un anti freudiano, nè del senso comune ma solo dell'opera in quanto tale. Con ironia agli allievi diceva che il libro segue il suo destino e proprio come il destino che può essere imprevedibile, anche la vita di uno scrittore alle volte lo può essere, ricalcando la storia da lui stesso generata: come Tolstoj che trovò la morte presso una stazione ferroviaria seguendo le orme di Anna Karenina o come Stevenson quando gli venne un colpo apoplettico, e prima di morire ha detto: “Cosa succede, mi è cambiata la faccia?”.
I discorsi sempre arguti, a volte taglienti, ma da Nabokov nelle vesti di docente non ci si poteva aspettare nulla di diverso:
«La letteratura è invenzione. Le opere di fantasia rimangono sempre fantasia, e dire che un'opera di fantasia è una storia vera è un insulto sia all'arte che alla verità. Tutti i grandi scrittori sono grandi imbroglioni, proprio come quella grandissima imbrogliona della Natura».
Nemico dell'identificazione, riteneva che il vero lettore deve sapere quando e in che momento tenere a bada la propria immaginazione e per farlo deve conoscere il mondo che un autore gli pone perché «il romanzo non si deve leggere né col cuore e neanche col cervello ma con la spina dorsale». Non lascia spazio a dubbi o equivoci.
Lezioni di letteratura unisce l'utile al dilettevole in quanto valido strumento se ci si pone nell'ottica di acquisizione dello spirito critico nella lettura, e anche un libro appassionato e appassionante, per non dimenticare che la letteratura è arte e che un buon scrittore è innanzitutto un buon lettore.
Anche su Gli Stati generali. Link all'articolo A lezione da Vladimir Nabokov
lunedì 21 luglio 2025
Pensare da scrittori prima di esserlo. “La scrittura non si insegna”, di Vanni Santoni
Forse non si può insegnare a scrivere, ma si può insegnare a pensare da scrittori e per farlo ci sono una serie di abitudini che è necessario acquisire. La prima è la più banale, eppure in quanto banale ha un fondamento pratico: leggere tanto, e ancora leggere, prendere appunti, ricopiare.
Parla di questo e di altro un breve saggio del 2020, ancora più attuale data la varietà di pubblicazioni a cui assistiamo ogni giorno, di Vanni Santoni, scrittore e docente alla Scuola del libro (Minimum Fax, Collana Filigrana). Il titolo è alquanto perentorio: La scrittura non si insegna ed è nato dall'esperienza di aver avuto troppi allievi che volevano scrivere senza aver letto abbastanza. Perché allora, si domanda e domanda Santoni, voler scrivere se non si è letti almeno Alla ricerca del tempo perduto di Proust e l'Ulisse di Joyce? Un interrogativo provocatorio ma neanche tanto se ci si pensa bene, semmai è pertinente. Tenendo conto che quanto abbiamo di fronte non è un manuale di scrittura creativa, bensì un pamphlet, e dunque per sua natura sfidante. Di per sé non è un male che tante persone vogliano scrivere, ma lo diventa quando si vuole scrivere e pubblicare senza cognizione di causa. Oltre ai due citati, l'autore elenca una serie di altri libri corposi, una trentina circa, da Roberto Bolaño a David Forster Wallace, da Sebald a Tolstoj e Dostoevskij, da Jane Austen a Borges, e altri da leggere una volta affinate le basi e in relazione al genere a cui ci si vuole avvicinare. Questione di sensibilità che si apprende leggendo e scrivendo. Testi che ritiene imprescindibili per chi vuole scrivere seriamente. La scelta è ricaduta su dei capolavori non solo in quanto tali, ma perché in essi si celano variegate suggestioni dovute anche alle numerose pagine che li compongono. Opere imperfette, come vengono definite, perché capaci di provocare sommovimenti, dare consapevolezza delle infinite possibilità del romanzo contemporaneo. Quindi per esempio non Lo straniero di Camus in quanto «piccolo diamante che si può ammirare ma dal quale non è immediato imparare qualcosa».
È importante inoltre far parte di una comunità: confrontarsi, fondare una rivista o scrivervi per mettersi alla prova, conoscere o farsi conoscere. In sostanza, creare e dotarsi di una rete di interessi umanistici. Che non significa in seguito pubblicare un libro, sarebbe una ingenuità anche solo pensarlo. Può capitare ma anche no. Le variabili sono tante e l'editoria è impresa, settore economico.
Dopo la scrittura c'è un ulteriore processo inevitabile ed è la revisione. In particolare farsi leggere da chi è al nostro livello, cioè da coloro che hanno più interesse a farlo per il fatto che lo facciamo o possiamo farlo noi con loro. Non amici o parenti, vuoi perché non intenditori, vuoi perché difficilmente vi diranno che quanto hanno appena letto non gli è piaciuto, e nemmeno rivolgersi, senza retribuirli, ai professionisti dell'editoria che proprio perché professionisti vanno pagati per il lavoro che svolgono.
Se si vuole scrivere un romanzo bisogna aver chiaro, avverte ancora Vanni Santoni, che l'impegno è totalizzante; è la letteratura a imporlo. Deve prima diventare uno stile di vita. Se non ci si nutre di buone letture l'impresa è ardua. La scrittura infatti non è come comunemente si pensa un'attività facile da praticare. Ci si mette al computer e si aspetta la musa. Non è esattamente così. Si tratta di un'arte e l'arte richiede studio. L'arte richiede di eccellere. Averlo presente è un primo importante passo.
martedì 17 giugno 2025
Giorgio Manganelli e la scrittura come esercizio di libertà
Quando la morte lo coglie all'improvviso nel 1990, Giorgio Manganelli aveva pronto un dattiloscritto (non l'unico, tra l'altro) composto da saggi e interventi pubblicati fra il 1966 e quello stesso anno su diversi quotidiani e riviste, riguardanti i temi del leggere, dello scrivere e del recensire libri. Un corpus omogeneo, pensato e organicamente strutturato dallo scrittore: una vera e propria ‘raccolta d’autore’ poi divenuto un libro edito da Adelphi nel 1994. All'inizio il titolo doveva essere Frantumaxione di parole per decisione di chi si occupava di trascrivere il materiale, Ebe Flamini. Quando il testo è stato seguito per la stampa si è preferito, come spiega la curatrice Paola Italia, Il rumore sottile della prosa, titolo di uno degli articoli presenti, perché rendeva meglio cosa intendesse Manganelli per letteratura: lo spessore della pagina, l'intensità della scrittura. Qualità che hanno contraddistinto l'intera sua opera. Le parole non solo devono avere un senso, ma essere portatrici di un disegno. Ed è soltanto con l'inganno, con l'artificio che si può chiudere il cerchio.
Manganelli rompe ogni legame con la tradizione letteraria e ha pochi eguali, ma numerosi seguaci; al di là alle legittime aspirazioni o degli accostamenti che vengono fatti dalla critica. È diventato anche un personaggio letterario, reso da Romana Petri in Cuore di furia (Marsilio, 2020). Lo stile manganelliano è labirintico, volutamente provocatorio. Un racconto-incantesimo che mescola il lirismo all’indagine filosofica, alternandolo alla dissertazione. Esplora la potenza del linguaggio come strumento di esorcismo, sottolineando che chi non padroneggia le regole della scrittura rischia di rimanerne schiacciato. Il suo rapporto con la parola è quello di un illusionista, un alchimista, capace di rendere la sintassi un organismo vivente, una “lava in perpetuo movimento” che si anima nella scrittura, nella lettura e nella rilettura. Tre concetti chiave di un intenso percorso. La prosa di Giorgio Manganelli è un’esplorazione vertiginosa della lingua, un gioco di costruzione e de-costruzione che affonda le radici nella letteratura rinascimentale e barocca. Così facendo trasforma la scrittura in un esercizio di disobbedienza, demolisce l’idea che la letteratura debba avere intenti educativi, meno che mai moralistici. “L'estrosità intellettuale si guasta come un niente”. Non ultimo è l'affondo spietato e ironico nei confronti dei successi letterari (o insuccessi) e dei premi.
Giorgio Manganelli ci insegna dunque a non avere paura della complessità, a non fermarci all'ovvio, ad andare oltre il puro e semplice dualismo del mi piace/non mi piace. Perché uno sguardo critico «introduce oscurità dove è illusoria chiarezza, porta notte dove è la menzogna del giorno, cattura e tesaurizza l’errore dove apparentemente si dà pertinenza».
(anche su Gli Stati Generali, link all'articolo Giorgio Manganelli e la scrittura come esercizio di libertà)
Sopra, un'immagine di Giorgio Manganelli (fonte, Modlet).
lunedì 9 giugno 2025
Invisibili sogni
martedì 20 maggio 2025
Flannery O'Connor e l'arte di scrivere
domenica 30 marzo 2025
La scrittura come un coltello, di Annie Ernaux (su Solo Libri)
La scrittura come un coltello, di Annie Ernaux. Premio Nobel per la letteratura nel 2022. Ne parlo su Solo Libri.
Link all'articolo La scrittura come un coltello
lunedì 24 marzo 2025
Scrivere è un atto politico
Si scrive per essere letti da un pubblico, ho letto.
Certo, certamente. Innegabile.
Si scrive però anche se non si viene letti, altrimenti vorrebbe dire che ci si mette al tavolino solo e soltanto se sai che verrai letto da "un pubblico". Scrivere é un atto politico, ma questo l'ho già detto, proprio qui. Che non è politica, beninteso di nuovo, perché la politica ha bisogno di sostenitori. L'atto politico invece esiste lo stesso, è più forte di tutto e tutti.
Se fosse uno solo che poi ci legge, che sia un revisore o un amico o uno sconosciuto, a nessuno verrebbe mai in mente di dire che un revisore, un nostro amico, e pure lo sconosciuto non valgono perché sono pochi. Mai e poi mai. Intanto hanno letto. Sono i primi lettori. Benché probabile rimangano gli unici.
Che scrivere è un atto politico non lo dice la presente sottoscritta. Io lo penso e lo scrivo, è vero, e poco ho fatto. Questo blog è letto da pochissimi, ma non per questo non ci scrivo. Lo sostiene molto meglio e molto prima di me Annie Ernaux, che con la sua scrittura come atto politico ha vinto il Nobel o Cesare Pavese, al quale è dedicato il nome di questo blog, che ha dato la vita per la scrittura come atto politico.
In caso contrario non avrebbero nemmeno cominciato, e in seguito proseguito, entrambi e altri, e non credo avessero in mente, almeno all'inizio, il numero dei loro lettori.
giovedì 26 dicembre 2024
Leggere per scrivere
Anche quest'anno il mio leggere è stato in prevalenza per scrivere. Ovvero, non per farmi trascinare esclusivamente dalla storia, bensì per ragionare su stile, trama, punti di vista, punteggiature e quali punteggiature e quante, quanti avverbi, quanti aggettivi, poetica dell'autore o autrice (parlo dei grandi del passato, più o meno recente) cosa vuole dirmi, perché vuole dirmelo, che libri leggeva, a chi si ispirava, in che periodo viveva, che studi ha compiuto, che lavoro ha svolto, che vita ha condotto, chi erano i genitori, fortuna o sfortuna nei sentimenti, problemi di salute, eccetera, eccetera. Non per un giudizio morale o etico, o peggio, moralistico, ma proprio e solamente per conoscere, capire da dove (più che dove, direi quando e perché, da dove è il giusto mistero dell'arte. Il come, forse il più importante di tutti) quella determinata creazione artistica è venuta, e imparare. Conscia che i grandi del passato, più o meno recente, stanno lì a guardare e a guardarci, e chissà con quale reazione. A loro, e solo a loro, è necessario rimanere attaccati se non si vuole finire col cervello ammorbato dall'insulsaggine imperante e finire schiacciati dal peso di libri inutili (sì, ci sono libri inutili, non cadete nella trappola del romanticismo della lettura). Conoscere i maestri del pensiero e della letteratura dunque, imitarli, copiarli - anche copiando s'impara, ma non per replicarli tali e quali quanto piuttosto per nutrirsi.
Questo discorso, oltretutto, non significa affatto che siano state, le mie, delle letture cosiddette professionali, perché non sono né un critico letterario né un docente di scrittura o un editor. A me interessa scrivere, quando e se ho qualcosa da dire di possibilmente interessante o bello o, perché no, utile, nel senso di non inutile, e leggere con attenzione. Difficile tornare indietro. La pubblicazione, quella col timbro "visto si stampi", appartiene invece a un'altra dimensione, direi, spazio-temporale.
Ovviamente non c'è nulla di male a leggere per un personale piacere, è il bello della lettura, e nemmeno a scrivere con intenti commerciali, per così dire. Ognuno fa le sue scelte e ha i suoi obiettivi.
A nuove letture.
A nuove scritture.
A nuovi piaceri.
giovedì 19 dicembre 2024
Cortázar sui colleghi scrittori
Julio Cortázar (foto gettyimagines)
Siamo sull'orlo della catastrofe, delle bombe atomiche, e il libro mi sembra solo una delle armi (estetica o politica o entrambe, ciascuno deve poter fare quel che vuole, basta che lo faccia bene) che ancora può difenderci dall'autogenocidio universale. Mi fa ridere che un romanziere si faccia venire l'ulcera perché il suo libro non è abbastanza famoso e si metta a organizzare «eventi» di autopromozione per non farsi dimenticare da editori e critici. Di fronte a quel che ci fanno vedere le prime pagine dei giornali ogni giorno, non sembrano ridicoli questi spasmodici attacchi d'ansia? Uno scrittore vero è quello che tende l'arco al massimo mentre scrive, e poi lo appende a un chiodo e se ne va a bere vino con gli amici. La freccia sarà già partita e raggiungerà o non raggiungerà il bersaglio, solo gli imbecilli pretenderanno di modificarne la traiettoria, o correrle dietro per aiutarla con opportune spinte mirate all'immortalità e alle edizioni internazionali.
Julio Cortázar, 1969
mercoledì 13 novembre 2024
La critica come genere letterario e Giuseppe Pontiggia (su Solibri)
Su Solo libri ho parlato della critica come genere letterario a partire dal libro che riunisce una selezione di pareri editoriali di Giuseppe Pontiggia, Un libro che divorerei , a cura di Daniela Marcheschi.
Link all'articolo: Un libro che divorerei
Giuseppe Pontiggia, foto dal web.
venerdì 16 agosto 2024
Dentro la scrittura di Stephen King
giovedì 20 giugno 2024
Vitaliano Trevisan e la scrittura
«Perché scrivi? Io la guardo nei suoi occhi azzurri, poi guardo lo scrittore, dunque guardo di nuovo lei, quindi di nuovo lui, e lui, invece di venirmi in aiuto dice: già, volevo chiedertelo anch’io, ma visto che te l’ha chiesto lei… perché scrivi? Non solo non mi ha aiutato, penso, ma mi ha addirittura rifatto la domanda, e me l’ha rifatta in presenza della sua allieva che sta per essere pubblicata nell’antologia di under venticinque di Transeuropa che lui stesso cura insieme a Brizzi e alla Ballestra; allieva che lui stesso ha invitato, mettendomi in grandissimo imbarazzo, perché avendo letto le mie cose mi voleva conoscere, e me l’ha rifatta con la stessa serietà con cui un attimo prima mi era stata posta dall’under venticinque! Perché respirate? chiesi allo scrittore e alla sua allieva, nello studio dello scrittore. D’altronde non si può mica pretendere che uno risponda seriamente a una domanda del genere, pensavo aspettando l’ascensore. Gli ascensori non arrivano mai, e gli ascensori dell’ospedale arrivano anche più tardi degli altri» (Vitaliano Trevisan, “Un mondo meraviglioso”, Einaudi, 2003).









