L'alchimia del sommelier
Si era svegliato molto prima del previsto. All’emozione si era aggiunta una notte afosa di tarda primavera. Aveva contato tutte le ore più volte e alle sei aveva deciso di alzarsi. Alle nove e trenta avrebbe sostenuto l’esame per diventare sommelier professionista. Era approdato a questo traguardo poco alla volta, fino a dargli un significato più consapevole, ovvero quanto è scritto.
Quando aveva iniziato facendo il cameriere stagionale godendosi il sole una volta a settimana, e quando di anni ne hai diciassette quel giorno libero diventa una goliardata lunga ventiquattr’ore, non avrebbe mai pensato di diventare sommelier. Non sapeva nemmeno cosa fosse, un sommelier. Sempre disponibile e cortese anche quando stanco, i piedi gonfi e indolenziti, e i turisti che chiedono l’inverosimile e quanto più sono ricchi più lo pretendono. A Giorgio, barba e capelli rossi dorati, ereditati dal nonno materno, non pesava e faceva tutto con una tale naturalezza e senza sforzo da fare invidia ai colleghi. La prima esperienza con Amedeo, patron e chef del piccolo ristorante omonimo, gli insegnò la cura e l'attenzione, e l'arte per gli accostamenti all'olfatto e al gusto. Il 2005 poi, la svolta. Era ancora un lavoratore stagionale e aveva anche superato quel fatidico esame, quando da una telefonata di Giacomo, compagno di classe all'Alberghiero, con cui era rimasto in contatto, diventato eccellente pizzaiolo, aveva saputo a sua volta dal socio Tullio, che un ristorante della città ambiva alla fatidica “stella”. I proprietari stavano studiando il progetto da tempo e avevano questa ambizione. Cercavano un sommelier professionista per un’assunzione stabile.
- Provo, rispose, con un po’ di titubanza.
- Devi, perché te l’ho detto, scemo, disse Giacomo.
Dentro il locale rimase colpito dalla raffinatezza degli ambienti, eleganti ma sobri e subito dopo poté constatare che i titolari lo erano altrettanto. Una coppia dolce e affiatata i cui cognomi uniti, quello di lui sardo, quello di lei, ligure, secondo Giorgio davano una parvenza di nobiltà: Camerada-Parodi. Il colloquio glielo fecero insieme. Sarà che aveva una visione romantica dell'amore, aspettava ancora di trovarlo, il grande amore della sua vita, ma già la stretta di mano di entrambi gli diede fiducia. I dettagli stanno nascosti dappertutto, come nel vino, pensò. Fu reciproco, ma questo non lo seppe subito.
Dopo due settimane, faceva parte dello staff del ristorante Il faro di Terranova, il cui nome non era dedicato ad alcun faro della zona, ma faceva riferimento al romanzo della scrittrice preferita della proprietaria: Virginia Woolf. Dovrò leggerlo, pensò Giorgio quando seppe. Una particolare alchimia lo legò da subito a quel posto. Non era l’aver trovato un lavoro fisso, come desiderava la madre che quando ebbe la notizia non proferì nemmeno una parola, fece soltanto un sospiro di sollievo, fu un qualcosa in più. L’alchimia è un po’ come la chimica: le spiegazioni arrivano quando la combinazione giusta si è materializzata ai tuoi occhi e devi trovarne in qualche modo le fondamenta. La signora Parodi ama ricordare ancora adesso di quella volta che il suo dipendente fece breccia con un cliente fra i più esigenti: Palmieri, noto penalista, che offriva la cena di fine anno ai suoi collaboratori. Proprio il severo dominus si lasciò andare a numerosi complimenti, cosa che non faceva mai, almeno espressamente, e non era conosciuto per la sua simpatia. Giorgio in questi casi arrossiva, ringraziava con un leggero inchino da orientale e si dirigeva spedito come una saetta verso un altro tavolo.
In una giornata di un insolito freddo ottobre una donna dal portamento fiero venne per pranzo, sola. Graziosa, di piccola statura, capelli neri lucidi raccolti in un chignon con un fiore giallo ocra che si abbinava perfettamente alla giacca. Il consiglio che diede per iniziare fu un deciso Monica di Sardegna Doc da abbinare alla varietà di salumi e formaggi stagionati che scelse come antipasti, per poi proseguire con il menù di terra del giorno. Di poche parole, la cliente si mostrò più difficile e forse anche più diffidente dell'avvocato Palmieri. L’ospite era un’ispettrice incaricata di assegnare le stelle tanto ambite. Quella volta andò male. «Ci riproveremo» disse risoluto il signor Camerada. L’anno successivo ce la fecero. Una stella che ha brillato a lungo nella zona.
Oggi Giorgio non lavora più. La stanchezza e qualche acciacco gli stavano dando dei problemi. Vorrei essere come un vino invecchiato, invece sono solo vecchio, scherza con gli amici al bar. Non si è sposato e non ha avuto figli. Spesso, soprattutto la domenica, va a pranzo nel suo ristorante (lo considera così, tuttora) nonostante sia gestito da altri che gli hanno dato un nome che con la letteratura c'entra molto poco. L’unico figlio degli ormai ex titolari ha intrapreso una carriera nella finanza e di pietanze e abbinamenti non ne ha voluto sentir parlare, con un po’ di dispiacere mai celato dei genitori. Certe attività si tramandano di generazione in generazione e non sempre le cose vanno come si vorrebbe.
(foto dal web)