martedì 26 agosto 2025

Il manifesto di Duchamp contro il conformismo

 


Prima o poi capita a tutti di trovarsi in un importante museo o galleria di qualche città e farsi largo tra la folla per riuscire a vedere un'opera famosa, mentre le altre che gli stanno intorno, se si fa caso, vengono ignorate dai più. 

Continua a leggere su «Gli Stati Generali». Link all'articolo Il manifesto di Duchamp contro il conformismo



lunedì 21 luglio 2025

Pensare da scrittori prima di esserlo. "La scrittura non si insegna", di Vanni Santoni

 Forse non si può insegnare a scrivere, ma si può insegnare a pensare da scrittori e per farlo ci sono una serie di abitudini che è necessario acquisire. La prima è la più banale, eppure in quanto banale ha un fondamento pratico: leggere tanto, e ancora leggere, prendere appunti, ricopiare.

Parla di questo e di altro un breve saggio del 2020, ancora più attuale data la varietà di pubblicazioni a cui assistiamo ogni giorno, di Vanni Santoni, scrittore e docente alla Scuola del libro (Minimum Fax, Collana Filigrana). Il titolo è alquanto perentorio: La scrittura non si insegna ed è nato dall'esperienza di aver avuto troppi allievi che volevano scrivere senza aver letto abbastanza. Perché allora, si domanda e domanda Santoni, voler scrivere se non si è letti almeno Alla ricerca del tempo perduto di Proust e l'Ulisse di Joyce? Un interrogativo provocatorio ma neanche tanto se ci si pensa bene, semmai è pertinente. Tenendo conto che quanto abbiamo di fronte non è un manuale di scrittura creativa, bensì un pamphlet, e dunque per sua natura sfidante. Di per sé non è un male che tante persone vogliano scrivere, ma lo diventa quando si vuole scrivere e pubblicare senza cognizione di causa. Oltre ai due citati, l'autore elenca una serie di altri libri corposi, una trentina circa, da Roberto Bolaño a David Forster Wallace, da Sebald a Tolstoj e Dostoevskij, da Jane Austen a Borges, e altri da leggere una volta affinate le basi  e in relazione al genere a cui ci si vuole avvicinare. Questione di sensibilità che si apprende leggendo e scrivendo. Testi che ritiene imprescindibili per chi vuole scrivere seriamente. La scelta è ricaduta su dei capolavori non solo in quanto tali, ma perché in essi si celano variegate suggestioni dovute anche alle numerose pagine che li compongono. Opere imperfette, come vengono definite, perché capaci di provocare sommovimenti, dare consapevolezza delle infinite possibilità del romanzo contemporaneo. Quindi per esempio non Lo straniero di Camus in quanto «piccolo diamante che si può ammirare ma dal quale non è immediato imparare qualcosa».

È importante inoltre far parte di una comunità: confrontarsi, fondare una rivista o scrivervi per mostrare le proprie doti, conoscere. In sostanza, creare e dotarsi di una rete di interessi umanistici. 

Dopo la scrittura c'è un ulteriore processo inevitabile ed è la revisione. In particolare farsi leggere da chi è al nostro livello, cioè da coloro che hanno più interesse a farlo per il fatto che lo facciamo o possiamo farlo noi con loro. Non amici o parenti, e nemmeno gratuitamente rivolgersi ai professionisti dell'editoria che proprio perché professionisti vanno retribuiti per il lavoro che svolgono. 

Se si vuole scrivere un romanzo bisogna aver chiaro, avverte ancora Vanni Santoni, che l'impegno è totalizzante; è la letteratura a imporlo. Deve prima diventare uno stile di vita. Se non ci si nutre di buone letture l'impresa è ardua. La scrittura infatti non è come comunemente si pensa un'attività facile da praticare. Ci si mette al computer e si aspetta la musa. Non è esattamente così. Si tratta di un'arte e l'arte richiede studio. L'arte richiede di eccellere. Averlo presente è un primo importante passo.




mercoledì 16 luglio 2025

Alla scoperta di Vali Myers: "Cara Vali", di Chiara Centioni (su Solo Libri)

Ho scritto del romanzo Cara Vali, (Castelvecchi, 2025) di Chiara Centioni e della scoperta di se stessa attraverso la ballerina e pittrice australiana Vali Myers, vissuto a lungo a Positano.

Link all'articolo Cara Vali,




Vali Myers, 1959, in un ritratto di Norman Ikin


venerdì 4 luglio 2025

L'uomo allo specchio

L'uomo che non conosciamo è seduto di fronte a uno specchio bordato d'argento. 

L'immagine riflessa fa da sfondo a un'apparente realtà. La gente intorno a lui si muove e intorno vaga, alla ricerca delle illusioni. Le forme sprofondano nella gelata atmosfera di parole mancate, di abbracci perduti, amori celati. 

Laggiù, la sua anima persa nel vuoto, 
anima di un viandante 
che trema di stanchezza nelle ore più buie.
Le luci della sera, ora, sono sempre più vicine. 
L'uomo in noi che non conosciamo, trova nell'indefinito
il suo mondo dipinto d'azzurro. 
Il dolore non sarà vano forse, 
o forse no, lo sarà.
L'uomo che non conosciamo, solo vede se stesso
solo nella luce febbrile di un cielo luminoso, e ci osserva beffardo.


    René Magritte, Il falso specchio, 1928
                          

martedì 17 giugno 2025

Giorgio Manganelli e la scrittura come esercizio di libertà



Quando la morte lo coglie all'improvviso nel 1990, Giorgio Manganelli aveva pronto un dattiloscritto (non l'unico, tra l'altro) composto da saggi e interventi pubblicati fra il 1966 e quello stesso anno su diversi quotidiani e riviste, riguardanti i temi del leggere, dello scrivere e del recensire libri. Un corpus omogeneo, pensato e organicamente strutturato dallo scrittore: una vera e propria ‘raccolta d’autore’ poi divenuto un libro edito da Adelphi nel 1994. All'inizio il titolo doveva essere Frantumaxione di parole per decisione di chi si occupava di trascrivere il materiale, Ebe Flamini. Quando il testo è stato seguito per la stampa si è preferito, come spiega la curatrice Paola Italia, Il rumore sottile della prosa, titolo di uno degli articoli presenti, perché rendeva meglio cosa intendesse Manganelli per letteratura: lo spessore della pagina, l'intensità della scrittura. Qualità che hanno contraddistinto l'intera sua opera. Le parole non solo devono avere un senso, ma essere portatrici di un disegno. Ed è soltanto con l'inganno, con l'artificio che si può chiudere il cerchio. 

Manganelli rompe ogni legame con la tradizione letteraria e ha pochi eguali, ma numerosi seguaci; al di là alle legittime aspirazioni o degli accostamenti che vengono fatti dalla critica. È diventato anche un personaggio letterario, reso da Romana Petri in Cuore di furia (Marsilio, 2020). Lo stile manganelliano è labirintico, volutamente provocatorio. Un racconto-incantesimo che mescola il lirismo all’indagine filosofica, alternandolo alla dissertazione. Esplora la potenza del linguaggio come strumento di esorcismo, sottolineando che chi non padroneggia le regole della scrittura rischia di rimanerne schiacciato. Il suo rapporto con la parola è quello di un illusionista, un alchimista, capace di rendere la sintassi un organismo vivente, una “lava in perpetuo movimento” che si anima nella scrittura, nella lettura e nella rilettura. Tre concetti chiave di un intenso percorso. La prosa di Giorgio Manganelli è un’esplorazione vertiginosa della lingua, un gioco di costruzione e de-costruzione che affonda le radici nella letteratura rinascimentale e barocca. Così facendo trasforma la scrittura in un esercizio di disobbedienza, demolisce l’idea che la letteratura debba avere intenti educativi, meno che mai moralistici. “L'estrosità intellettuale si guasta come un niente”. Non ultimo è l'affondo spietato e ironico nei confronti dei successi letterari (o insuccessi) e dei premi.

Giorgio Manganelli ci insegna dunque a non avere paura della complessità, a non fermarci all'ovvio, ad andare oltre il puro e semplice dualismo del mi piace/non mi piace. Perché uno sguardo critico «introduce oscurità dove è illusoria chiarezza, porta notte dove è la menzogna del giorno, cattura e tesaurizza l’errore dove apparentemente si dà pertinenza»

(anche su Gli Stati Generali, link all'articolo Giorgio Manganelli e la scrittura come esercizio di libertà)




Sopra, un'immagine di Giorgio Manganelli (fonte, Modlet). 









lunedì 9 giugno 2025

Invisibili sogni

Nessun luogo mi lega, e tutto mi lega. 
Desiderio senza fine, con un fine. 
Smanio per qualcosa che non so cosa sia nell'infinito accadere -
Vivo di sogni sognati e vedo ciò che non sento
Hanno chiuso le porte ma non ho chiavi, mi hanno vietato i banchetti. Hanno scoperchiato i tombini. 
Nella via ritrovata non c'è il numero. 
Mi sono svegliata nella stessa vita in cui mi ero addormentata e non l'ho più riconosciuta
I miei sogni si sono sentiti falsi per essere stati sognati. La vita desiderata mi raggela - persino la vita.
Comprendo a intervalli sconnessi; penso nella mente e scrivo. 
Il vento mi scaraventa su una spiaggia sconosciuta
Non so quale destino o quale futuro spetti alla mia incertezza senza direzione; 
Invisibile sogno. 
È nel profondo del mio spirito, dove sogno ciò che ho sognato, nei campi estremi dell'anima in cui rammento senza una causa, nelle strade lontane dove ho ipotizzato di essere, fuggono ormai smantellati gli ultimi rimasugli di illusioni perdute,
i miei eserciti sognanti, sconfitti in partenza. 
Un'altra volta ti rivedo, 
città lontana dell'infanzia, ancora una volta sono qui a sognare. Ma sono lo stessa che torna. La stessa che sono. 
Ti vedo orizzonte invisibile 
con il cuore distante da me
Un'altra volta ti rivedo e tutto passa e quanto più passa, resta. 
Errante dovunque vada, cammino, stancamente cammino 
Un'altra volta ti rivedo, ombra che passa fra altre ombre, e riluce un istante sotto le tenebre, ed entra come la scia di una nave che si perde nelle acque nere. 
Un'altra volta ti rivedo, città dei sogni. 
È in frantumi lo specchio magico in cui mi guardo, e in ogni frammento eterno vedo soltanto pezzi di me - pezzi di noi. 

 
Salvador Dalí, L'uomo invisibile, 1929-32, Olio su tela, 140x80 cm, Museo Nacional  Centro de Arte Reina Sofia di Madrid 

sabato 7 giugno 2025

Flannery O'Connor e l'arte di scrivere - Citazioni

Brano tratto da Un ragionevole uso dell'irragionevole. Saggi sulla scrittura e lettere sulla creatività, Minimum Fax, 2019, cap. "Natura e scopo della narrativa". 


San Tommaso chiamava l’arte «ragione in atto». È una definizione molto fredda e molto bella, e se oggigiorno è impopolare, è perché la ragione ha perso terreno fra noi. Come la grazia e la natura sono state separate, così è stato per l’immaginazione e la ragione, e questo significa sempre la fine dell’arte. L’artista usa la propria ragione per trovarne una corrispondente in tutto quel che vede. Per lui, essere ragionevole è trovare, nell’oggetto, nella situazione, nella sequenza, lo spirito che li rende tali. Non è cosa facile, né semplice. È un’invasione dell’eterno, e viene fatta solo con la violenza di un rispetto assoluto per la verità. Ne deriva che non esiste una tecnica da scoprire e applicare che renda possibile scrivere. Se frequentate una scuola dove si tengono corsi di scrittura, dovrebbero insegnarvi non a scrivere, ma piuttosto i limiti e le potenzialità delle parole, e il rispetto loro dovuto. 



 
    Flannery O'Connor e i suoi amati pennuti 



 


mercoledì 28 maggio 2025

venerdì 9 maggio 2025

Il talento nella serie tv sulla danza, Étoile (su Gli Stati Generali)

 Scrivo oggi di talento su Gli Stati Generali, prendendo spunto da una serie tv sul mondo della danza classica , uscita il 24 aprile scorso su Prime Video.

Link all'articolo: Étoile






martedì 29 aprile 2025

L'alchimia del sommelier (un vecchio racconto)


Si era svegliato molto prima del previsto. All’emozione si era aggiunta una notte afosa di tarda primavera che aveva peggiorato la situazione. Aveva contato tutte le ore e alle sei aveva deciso di alzarsi. Alle nove e trenta avrebbe sostenuto l’esame per diventare sommelier professionista. Era approdato a questo traguardo poco alla volta, fino a dargli un significato più consapevole, ovvero quanto è scritto. Tra destino e volontà. 

Aveva iniziato facendo il cameriere stagionale godendosi il sole una volta a settimana, e quando di anni ne hai diciassette quel giorno libero diventa una goliardata lunga ventiquattr’ore, non avrebbe mai pensato di diventare sommelier. Non sapeva nemmeno cosa fosse, un sommelier. Sempre disponibile e cortese anche quando stanco, i piedi gonfi e indolenziti, e i turisti che chiedono l’inverosimile e quanto più sono ricchi più lo pretendono. A Giorgio, barba e capelli rossi dorati, ereditati dal nonno materno, non pesava e faceva tutto con una tale naturalezza e senza sforzo da fare invidia ai colleghi. La prima esperienza con Amedeo, patron e chef del piccolo ristorante omonimo, gli insegnò la cura e l'attenzione, e l'arte per gli accostamenti all'olfatto e al gusto. Il 2005 poi, la svolta.  Era ancora  precario e aveva anche superato quel fatidico esame, quando Giacomo, compagno di classe all'Alberghiero, con cui era rimasto in contatto, diventato eccellente pizzaiolo, gli disse di aver saputo dal socio Tullio, che un ristorante della città ambiva alla fatidica “stella”. I proprietari stavano studiando il progetto da tempo e avevano questa ambizione. Cercavano un sommelier professionista per un’assunzione stabile. 

-   Provo, rispose, con un po’ di titubanza.

- Devi, perché te l’ho detto? scemo, fece Giacomo.  

Si trovò di fronte una coppia dolce e affiatata i cui cognomi uniti, quello di lui sardo, quello di lei, ligure, secondo Giorgio davano una parvenza di nobiltà: Camerada-Parodi. Il colloquio glielo fecero insieme. Sarà che aveva una visione romantica dell'amore, aspettava ancora di trovarlo, il grande amore della sua vita, ma già la stretta di mano di entrambi gli diede fiducia. I dettagli si nascondono dappertutto, come nel vino, pensò. Fu reciproco, ma questo non lo seppe subito.

Dopo due settimane, faceva parte dello staff del ristorante Il faro di Terranova, il cui nome non era dedicato ad alcun faro della zona, ma faceva riferimento al romanzo, Gita al faro, della scrittrice preferita della proprietaria: Virginia Woolf. Dovrò leggerlo, pensò Giorgio quando seppe. Una particolare alchimia lo legò da subito a quel posto. Un locale raffinato, dalle linee minimal. Non era l’aver trovato un lavoro fisso, come pregava la madre che quando ebbe la notizia non proferì parola, fece soltanto un sospiro di sollievo, fu un qualcosa in più. L’alchimia è un po’ come la chimica: le spiegazioni arrivano quando la combinazione giusta si è materializzata ai tuoi occhi e devi trovarne in qualche modo le fondamenta. La signora Parodi ama ricordare ancora adesso di quella volta che il suo dipendente fece breccia con un cliente fra i più esigenti: Palmieri, noto penalista, che offriva la cena di fine anno ai suoi collaboratori. Proprio il severo dominus si lasciò andare a numerosi complimenti, cosa che non faceva mai, almeno espressamente, e non era conosciuto per la sua simpatia. Giorgio in questi casi arrossiva, ringraziava con un leggero inchino da orientale e si dirigeva spedito come una saetta verso un altro tavolo.

In una giornata di ottobre insolitamente fredda, una donna dal portamento fiero venne per pranzo, sola. Graziosa, di piccola statura, capelli neri lucidi raccolti in un chignon con un fiore giallo ocra che si abbinava perfettamente alla giacca. Il consiglio che Giorgio diede per iniziare il pasto fu un brioso Spéra di Siddura, per il menù di mare scelto. Di poche parole, la cliente si mostrò più difficile dell'avvocato Palmieri. L'ospite, come si seppe, era un’ispettrice incaricata di assegnare le stelle tanto ambite. Quella volta andò male. «Ci riproveremo» disse risoluto il signor Camerada. L’anno successivo ce la fecero. Una stella che ha brillato a lungo nella zona.

Oggi Giorgio non lavora più. La stanchezza e qualche acciacco gli stavano dando dei problemi. Vorrei essere come un vino invecchiato, invece sono solo vecchio, scherza con gli amici al bar. Non si è sposato e non ha avuto figli. Spesso, soprattutto la domenica, va a pranzo nel suo ristorante (lo considera così, tuttora) nonostante sia gestito da altri che gli hanno dato un nome che con la letteratura c'entra molto poco. L’unico figlio degli ormai ex titolari ha intrapreso una carriera nella finanza e di pietanze e abbinamenti non ne ha voluto sentir parlare, con un po’ di dispiacere mai celato dei genitori. Certe attività si tramandano di generazione in generazione e non sempre le cose, come tante altre cose, vanno come si vorrebbe.


                                                (foto dal web)