lunedì 15 settembre 2025

A lezione da Vladimir Nabokov

 


Da quest'anno anche nella versione elettronica, è ormai un classico della saggistica letteraria: Lezioni di Letteratura di Vladimir Nabokov. Una raccolta organica degli appunti e dei numerosi fascicoli preparatori delle lezioni in classe da lui tenute in America, dove arrivò nel 1940, ovvero il periodo in cui pensava di scrivere quello che poi diverrà il suo capolavoro, Lolita, completato nel 1953. Grazie alla moglie Véra e al figlio Dmitri è stato possibile concludere un lavoro, per così dire di assemblaggio, che ha portato a questo corposo libro e Fredson Bower, nella prefazione, specifica di non aspettarsi di trovare il lessico o la sintassi che il celebre scrittore russo avrebbe usato sapendo di farne un libro. Non è stato riscritto tutto alla lettera, sarebbe stato impossibile farlo, spiega. 

Nabokov approdò prima alla Stanford University e al Wellesley College; poi alla Cornell University a Ithaca dove fu nominato Associate Professor di letteratura slava e dove insegnò nel corso sui "Maestri della narrativa europea" e su "Letteratura russa in traduzione inglese". Furono gli anni trascorsi in quell’ultima accademia i più prolifici: terminò il memoriale autobiografico Parla, ricordo e fu nello stesso periodo che la moglie gli impedì di bruciare le prime pagine della sua opera più famosa con protagonista Humbert Humbert. Divenne infine Visiting Professor nel 1952 ad Harvard e nel 1958 abbandonò in modo definitivo l'insegnamento. In particolare, le lezioni qui riunite costituiscono il programma svolto al Wellesley e alla Cornell. Nel nostro Paese hanno fatto la loro prima comparsa nei primi anni Ottanta, poi Adelphi ha eseguito una rivisitazione nel 2018 con introduzione del Premio Pulitzer John Updike che si è occupato della parte biografica, mentre la traduzione è di Franca Pece. L'ultima edizione è del 2022. 

Vladimir Nabokov (1899-1977) era figlio di una antica e nobile famiglia di San Pietroburgo; crebbe in un ambiente colto e raffinato dove si parlava oltre al russo anche l'inglese, che conobbe meglio della sua lingua madre. La rivoluzione del 1917 costrinse tutti i membri a fuggire in Europa dove il giovane Vladmir poté proseguire gli studi. Si laureò infatti al Trinity College di Cambridge.

Visse in Francia e in Germania dove il padre, un noto politico, venne assassinato. Uomo eclettico e versatile, fu anche un bravo scacchista - non solo come giocatore ma anche come teorico - e un entomologo, nonché saggista e critico; è stato certamente influenzato dal genitore alla cultura occidentale, pur rimanendo fedele alla tradizione drammaturgica russa.

In esergo di Lezioni di Letteratura troviamo questa frase semplice e diretta:

«Il mio corso è, tra le altre cose, una sorta di indagine poliziesca sul mistero delle strutture letterarie».

Descrizione che rende l'idea del metodo-Nabokov: far ragionare gli studenti sui meccanismi letterari e su come e perché nasce una narrazione, e le sue annotazioni e i disegni presenti nel testo rendono più chiaro e visibile il lavoro certosino eseguito ogni volta. Non solo mappe a corredo. 

Sono sette «i giocattoli meravigliosi» europei sotto la sua lente di ingrandimento: Mansfield Park di Jane Austen, l'Ulisse di Joyce, Casa desolata di Charles Dickens; Gustave Flaubert con Madame Bovary, Lo strano caso del dottor Jekyll e Mr Hyde di Stevenson, il primo volume della Recherche di Proust, Dalla parte di Swann, e La Metamorfosi di Kafka, con opportuni confronti a Gogol' e Tolstoj.


Con vivacità scompone e ricompone ognuna di queste individuando le tecniche utilizzate, due su tutte la cosiddetta “mossa del cavallo”, ripresa dall'esperienza col gioco degli scacchi, o quella del “contrappunto”, vale a dire lo spezzare con interruzioni o inserti paralleli due o più conversazioni o flussi di pensiero. Il discorso diretto e quello indiretto, anch'essi spiegati e mostrati con gli esempi. I personaggi, i temi e le ambientazioni, con gli elementi negativi e fallaci, le battute d'arresto o al contrario le basi solide su cui poggiano gli argomenti utilizzati dai romanzieri per raccontare le loro storie, comprese le influenze letterarie e il motivo per cui tali opere si devono considerare espressione di talento, ossia di consapevolezza letteraria. Com'è riuscito Dickens a tenere uniti protagonisti e avvenimenti mantenendoli vivi con costanza per tutto il tempo di una lunga narrazione oppure come il creatore di Jekyll e Hyde con una sola mirabile scena, quella della trasformazione, ha permesso al suo protagonista di entrare nella memoria collettiva, o Proust che ha saputo ricreare un intero mondo in retrospettiva attraverso personaggi dai molteplici aspetti, e così gli altri.

«Sebbene ogni essere umano abbia il proprio stile, l'unico su cui valga la pena soffermarsi è quello dello scrittore di genio, e il genio non può esprimersi nello stile letterario dello scrittore se egli non lo possiede nell'anima». 

Quindi se lo stile per Nabokov non si può insegnare, tutto il resto può e dev'essere oggetto di studio. Non si preoccupava più di tanto dei fatti d'interesse umano, era un anti freudiano, nè del senso comune ma solo dell'opera in quanto tale. Con ironia agli allievi diceva che il libro segue il suo destino e proprio come il destino che può essere imprevedibile, anche la vita di uno scrittore alle volte lo può essere, ricalcando la storia da lui stesso generata: come Tolstoj che trovò la morte presso una stazione ferroviaria seguendo le orme di Anna Karenina o come Stevenson quando gli venne un colpo apoplettico, e prima di morire ha detto: “Cosa succede, mi è cambiata la faccia?”.

I discorsi sempre arguti, a volte taglienti, ma da Nabokov nelle vesti di docente non ci si poteva aspettare nulla di diverso:

«La letteratura è invenzione. Le opere di fantasia rimangono sempre fantasia, e dire che un'opera di fantasia è una storia vera è un insulto sia all'arte che alla verità. Tutti i grandi scrittori sono grandi imbroglioni, proprio come quella grandissima imbrogliona della Natura».

Nemico dell'identificazione, riteneva che il vero lettore deve sapere quando e in che momento tenere a bada la propria immaginazione e per farlo deve conoscere il mondo che un autore gli pone perché «il romanzo non si deve leggere né col cuore e neanche col cervello ma con la spina dorsale». Non lascia spazio a dubbi o equivoci.

Lezioni di letteratura unisce l'utile al dilettevole in quanto valido strumento se ci si pone nell'ottica di acquisizione dello spirito critico nella lettura, e anche un libro appassionato e appassionante, per non dimenticare che la letteratura è arte e che un buon scrittore è innanzitutto un buon lettore. 

Anche su Gli Stati generali. Link all'articolo A lezione da Vladimir Nabokov









giovedì 4 settembre 2025

"L'emicrania" di Antonio Alatorre (su SoloLibri.net)

Ho scritto su Sololibri.net di L'emicrania di Antonio Alatorre. Non un manuale di medicina, bensì un memoir letterario di uno dei più importanti saggisti e critici messicani, tradotto per la prima volta in italiano. 

Link all'articolo L'emicrania



Antonio Alatorre (fonte foto, porcierto.com) 

martedì 26 agosto 2025

Il manifesto di Duchamp contro il conformismo

 


Prima o poi capita a tutti di trovarsi in un importante museo o galleria di qualche città e farsi largo tra la folla per riuscire a vedere un'opera famosa, mentre le altre che gli stanno intorno, se si fa caso, vengono ignorate dai più. 

Continua a leggere su «Gli Stati Generali». Link all'articolo Il manifesto di Duchamp contro il conformismo



lunedì 21 luglio 2025

Pensare da scrittori prima di esserlo. "La scrittura non si insegna", di Vanni Santoni

 Forse non si può insegnare a scrivere, ma si può insegnare a pensare da scrittori e per farlo ci sono una serie di abitudini che è necessario acquisire. La prima è la più banale, eppure in quanto banale ha un fondamento pratico: leggere tanto, e ancora leggere, prendere appunti, ricopiare.

Parla di questo e di altro un breve saggio del 2020, ancora più attuale data la varietà di pubblicazioni a cui assistiamo ogni giorno, di Vanni Santoni, scrittore e docente alla Scuola del libro (Minimum Fax, Collana Filigrana). Il titolo è alquanto perentorio: La scrittura non si insegna ed è nato dall'esperienza di aver avuto troppi allievi che volevano scrivere senza aver letto abbastanza. Perché allora, si domanda e domanda Santoni, voler scrivere se non si è letti almeno Alla ricerca del tempo perduto di Proust e l'Ulisse di Joyce? Un interrogativo provocatorio ma neanche tanto se ci si pensa bene, semmai è pertinente. Tenendo conto che quanto abbiamo di fronte non è un manuale di scrittura creativa, bensì un pamphlet, e dunque per sua natura sfidante. Di per sé non è un male che tante persone vogliano scrivere, ma lo diventa quando si vuole scrivere e pubblicare senza cognizione di causa. Oltre ai due citati, l'autore elenca una serie di altri libri corposi, una trentina circa, da Roberto Bolaño a David Forster Wallace, da Sebald a Tolstoj e Dostoevskij, da Jane Austen a Borges, e altri da leggere una volta affinate le basi  e in relazione al genere a cui ci si vuole avvicinare. Questione di sensibilità che si apprende leggendo e scrivendo. Testi che ritiene imprescindibili per chi vuole scrivere seriamente. La scelta è ricaduta su dei capolavori non solo in quanto tali, ma perché in essi si celano variegate suggestioni dovute anche alle numerose pagine che li compongono. Opere imperfette, come vengono definite, perché capaci di provocare sommovimenti, dare consapevolezza delle infinite possibilità del romanzo contemporaneo. Quindi per esempio non Lo straniero di Camus in quanto «piccolo diamante che si può ammirare ma dal quale non è immediato imparare qualcosa».

È importante inoltre far parte di una comunità: confrontarsi, fondare una rivista o scrivervi per mostrare le proprie doti, conoscere. In sostanza, creare e dotarsi di una rete di interessi umanistici. 

Dopo la scrittura c'è un ulteriore processo inevitabile ed è la revisione. In particolare farsi leggere da chi è al nostro livello, cioè da coloro che hanno più interesse a farlo per il fatto che lo facciamo o possiamo farlo noi con loro. Non amici o parenti, e nemmeno gratuitamente rivolgersi ai professionisti dell'editoria che proprio perché professionisti vanno retribuiti per il lavoro che svolgono. 

Se si vuole scrivere un romanzo bisogna aver chiaro, avverte ancora Vanni Santoni, che l'impegno è totalizzante; è la letteratura a imporlo. Deve prima diventare uno stile di vita. Se non ci si nutre di buone letture l'impresa è ardua. La scrittura infatti non è come comunemente si pensa un'attività facile da praticare. Ci si mette al computer e si aspetta la musa. Non è esattamente così. Si tratta di un'arte e l'arte richiede studio. L'arte richiede di eccellere. Averlo presente è un primo importante passo.




mercoledì 16 luglio 2025

Alla scoperta di Vali Myers: "Cara Vali", di Chiara Centioni (su Solo Libri)

Ho scritto del romanzo Cara Vali, (Castelvecchi, 2025) di Chiara Centioni e della scoperta di se stessa attraverso la ballerina e pittrice australiana Vali Myers, vissuto a lungo a Positano.

Link all'articolo Cara Vali,




Vali Myers, 1959, in un ritratto di Norman Ikin


venerdì 4 luglio 2025

L'uomo allo specchio

L'uomo che non conosciamo è seduto di fronte a uno specchio bordato d'argento. 

L'immagine riflessa fa da sfondo a un'apparente realtà. La gente intorno a lui si muove e intorno vaga, alla ricerca delle illusioni. Le forme sprofondano nella gelata atmosfera di parole mancate, di abbracci perduti, amori celati. 

Laggiù, la sua anima persa nel vuoto, 
anima di un viandante 
che trema di stanchezza nelle ore più buie.
Le luci della sera, ora, sono sempre più vicine. 
L'uomo in noi che non conosciamo, trova nell'indefinito
il suo mondo dipinto d'azzurro. 
Il dolore non sarà vano forse, 
o forse no, lo sarà.
L'uomo che non conosciamo, solo vede se stesso
solo nella luce febbrile di un cielo luminoso, e ci osserva beffardo.


    René Magritte, Il falso specchio, 1928
                          

martedì 17 giugno 2025

Giorgio Manganelli e la scrittura come esercizio di libertà



Quando la morte lo coglie all'improvviso nel 1990, Giorgio Manganelli aveva pronto un dattiloscritto (non l'unico, tra l'altro) composto da saggi e interventi pubblicati fra il 1966 e quello stesso anno su diversi quotidiani e riviste, riguardanti i temi del leggere, dello scrivere e del recensire libri. Un corpus omogeneo, pensato e organicamente strutturato dallo scrittore: una vera e propria ‘raccolta d’autore’ poi divenuto un libro edito da Adelphi nel 1994. All'inizio il titolo doveva essere Frantumaxione di parole per decisione di chi si occupava di trascrivere il materiale, Ebe Flamini. Quando il testo è stato seguito per la stampa si è preferito, come spiega la curatrice Paola Italia, Il rumore sottile della prosa, titolo di uno degli articoli presenti, perché rendeva meglio cosa intendesse Manganelli per letteratura: lo spessore della pagina, l'intensità della scrittura. Qualità che hanno contraddistinto l'intera sua opera. Le parole non solo devono avere un senso, ma essere portatrici di un disegno. Ed è soltanto con l'inganno, con l'artificio che si può chiudere il cerchio. 

Manganelli rompe ogni legame con la tradizione letteraria e ha pochi eguali, ma numerosi seguaci; al di là alle legittime aspirazioni o degli accostamenti che vengono fatti dalla critica. È diventato anche un personaggio letterario, reso da Romana Petri in Cuore di furia (Marsilio, 2020). Lo stile manganelliano è labirintico, volutamente provocatorio. Un racconto-incantesimo che mescola il lirismo all’indagine filosofica, alternandolo alla dissertazione. Esplora la potenza del linguaggio come strumento di esorcismo, sottolineando che chi non padroneggia le regole della scrittura rischia di rimanerne schiacciato. Il suo rapporto con la parola è quello di un illusionista, un alchimista, capace di rendere la sintassi un organismo vivente, una “lava in perpetuo movimento” che si anima nella scrittura, nella lettura e nella rilettura. Tre concetti chiave di un intenso percorso. La prosa di Giorgio Manganelli è un’esplorazione vertiginosa della lingua, un gioco di costruzione e de-costruzione che affonda le radici nella letteratura rinascimentale e barocca. Così facendo trasforma la scrittura in un esercizio di disobbedienza, demolisce l’idea che la letteratura debba avere intenti educativi, meno che mai moralistici. “L'estrosità intellettuale si guasta come un niente”. Non ultimo è l'affondo spietato e ironico nei confronti dei successi letterari (o insuccessi) e dei premi.

Giorgio Manganelli ci insegna dunque a non avere paura della complessità, a non fermarci all'ovvio, ad andare oltre il puro e semplice dualismo del mi piace/non mi piace. Perché uno sguardo critico «introduce oscurità dove è illusoria chiarezza, porta notte dove è la menzogna del giorno, cattura e tesaurizza l’errore dove apparentemente si dà pertinenza»

(anche su Gli Stati Generali, link all'articolo Giorgio Manganelli e la scrittura come esercizio di libertà)




Sopra, un'immagine di Giorgio Manganelli (fonte, Modlet). 









lunedì 9 giugno 2025

Invisibili sogni

Nessun luogo mi lega, e tutto mi lega. 
Desiderio senza fine, con un fine. 
Smanio per qualcosa che non so cosa sia nell'infinito accadere -
Vivo di sogni sognati e vedo ciò che non sento
Hanno chiuso le porte ma non ho chiavi, mi hanno vietato i banchetti. Hanno scoperchiato i tombini. 
Nella via ritrovata non c'è il numero. 
Mi sono svegliata nella stessa vita in cui mi ero addormentata e non l'ho più riconosciuta
I miei sogni si sono sentiti falsi per essere stati sognati. La vita desiderata mi raggela - persino la vita.
Comprendo a intervalli sconnessi; penso nella mente e scrivo. 
Il vento mi scaraventa su una spiaggia sconosciuta
Non so quale destino o quale futuro spetti alla mia incertezza senza direzione; 
Invisibile sogno. 
È nel profondo del mio spirito, dove sogno ciò che ho sognato, nei campi estremi dell'anima in cui rammento senza una causa, nelle strade lontane dove ho ipotizzato di essere, fuggono ormai smantellati gli ultimi rimasugli di illusioni perdute,
i miei eserciti sognanti, sconfitti in partenza. 
Un'altra volta ti rivedo, 
città lontana dell'infanzia, ancora una volta sono qui a sognare. Ma sono lo stessa che torna. La stessa che sono. 
Ti vedo orizzonte invisibile 
con il cuore distante da me
Un'altra volta ti rivedo e tutto passa e quanto più passa, resta. 
Errante dovunque vada, cammino, stancamente cammino 
Un'altra volta ti rivedo, ombra che passa fra altre ombre, e riluce un istante sotto le tenebre, ed entra come la scia di una nave che si perde nelle acque nere. 
Un'altra volta ti rivedo, città dei sogni. 
È in frantumi lo specchio magico in cui mi guardo, e in ogni frammento eterno vedo soltanto pezzi di me - pezzi di noi. 

 
Salvador Dalí, L'uomo invisibile, 1929-32, Olio su tela, 140x80 cm, Museo Nacional  Centro de Arte Reina Sofia di Madrid 

sabato 7 giugno 2025

Flannery O'Connor e l'arte di scrivere - Citazioni

Brano tratto da Un ragionevole uso dell'irragionevole. Saggi sulla scrittura e lettere sulla creatività, Minimum Fax, 2019, cap. "Natura e scopo della narrativa". 


San Tommaso chiamava l’arte «ragione in atto». È una definizione molto fredda e molto bella, e se oggigiorno è impopolare, è perché la ragione ha perso terreno fra noi. Come la grazia e la natura sono state separate, così è stato per l’immaginazione e la ragione, e questo significa sempre la fine dell’arte. L’artista usa la propria ragione per trovarne una corrispondente in tutto quel che vede. Per lui, essere ragionevole è trovare, nell’oggetto, nella situazione, nella sequenza, lo spirito che li rende tali. Non è cosa facile, né semplice. È un’invasione dell’eterno, e viene fatta solo con la violenza di un rispetto assoluto per la verità. Ne deriva che non esiste una tecnica da scoprire e applicare che renda possibile scrivere. Se frequentate una scuola dove si tengono corsi di scrittura, dovrebbero insegnarvi non a scrivere, ma piuttosto i limiti e le potenzialità delle parole, e il rispetto loro dovuto. 



 
    Flannery O'Connor e i suoi amati pennuti 



 


mercoledì 28 maggio 2025