domenica 23 novembre 2025

Il falso mito dell'autorealizzazione nel saggio di Raffaele Alberto Ventura



La cultura è una salvezza e al contempo una condanna: lo dice Raffaele Alberto Ventura nel suo nuovo saggio edito da Einaudi. Il titolo è La conquista dell'infelicità (sottotitolo: Come siamo diventati classe disagiata). L'autore, che ha già affrontato in passato tematiche simili, è nato negli anni Ottanta mentre io nei Settanta, ma poco importa. Siamo entrambi figli di una ideologia tipicamente borghese secondo la quale basta crederci ai sogni affinché si avverino, soprattutto quando sei iperqualificato. Che non significa non studiare o non avere ambizioni, bensì tenere i piedi ben piantati a terra e non fingere che l'autorealizzazione sia il rimedio per i mali contemporanei. Secondo alcuni questa è, con molta probabilità, una visione pessimistica, secondo altri vittimistica, dipende dalla visione del mondo e dalle esperienze. 

La scrittura e le arti in genere sono fra gli esempi più lampanti. Scrivere senza guadagnarci nulla lo si fa perché ci si può permettere di farlo (e perché è bello) ma credere al successo perché si pubblica un libro o perché si scrive su giornali, blog o riviste (di solito sottopagati o gratis) è da ingenui, e Ventura affronta anche tale spinoso argomento italico. L'economia vocazionale, così la definisce, va ad alimentare lo stesso sistema già distorto. 

Tutti vogliamo essere apprezzati e riconosciuti per quello che facciamo, ed è normale. Eppure, non abbiamo tutti le stesse chance di farcela, come qualcuno, mentendo sapendo di mentire, afferma. Non fatevi ingannare. Ne gioverà la vostra salute e sarete più felici. 

sabato 22 novembre 2025

Incognite


Nell'incognita dell'universo 
nulla è dato 
sapere infranto, 
ammantato di bianco 
cenere.
Il brusio si muove attorno
nella notte gelida
che non ha casa. 
L'anima trema 
e non sa di che dolore.

*

Immagine: Leonor Fini, Le bout du monde II (La fine del mondo II), 1953.

mercoledì 19 novembre 2025

Francesco Ciusa, artista dimenticato (su Gli Stati Generali)

Su Gli Stati Generali ho scritto dello scultore Francesco Ciusa, ora in una mostra in corso che lo riguarda.

Link all'articolo francesco ciusa artista dimenticato



Francesco Ciusa (fonte immagine: Wikipedia)



lunedì 17 novembre 2025

Il rischio di una società tecnologica. A proposito del saggio di Jacques Ellul (su SoloLibri)

Nella metà del Novecento, il sociologo francese Jacques Ellul aveva già previsto il nostro attuale legame con la tecnologia scrivendo il saggio La società tecnologica. Il rischio del secolo, riproposto ora in una nuova edizione. 

Ne scrivo su SoloLibri.net

Link all'articolo: La società tecnologica. Il rischio del secolo



Jacques Ellul (fonte immagine: Wikipedia)

venerdì 14 novembre 2025

La sorte, il tempo e Walter Benjamin


Succede di leggere in alcuni giornali di quei programmi televisivi in cui si possono vincere soldi senza alcun merito se non la fortuna, che non è un merito dovuto ad abilità, ma al caso. A volte è solo gossip, altre volte invece riportano come candidarsi, i requisiti richiesti per partecipare, come un'offerta di lavoro qualsiasi. Bisogna tuttavia dire che non si tratta di offerte di lavoro, anzi, non si tratta proprio di offerte. Dietro ogni offerta si cela il vero dramma. 

Walter Benjamin, filosofo, scrittore e critico letterario tedesco — morto nel 1940 e il cui lascito intellettuale ha permesso una chiave di accesso al nostro contemporaneo — sosteneva che il giocare d'azzardo, ovvero tentare la sorte all'unico scopo di aggiudicarsi somme di denaro, si modella sul sempre-uguale, sulla ripetizione, come un operaio automa di fronte alla macchina, in questo sì come il lavoro. 

Tra i numerosi temi da lui affrontati, il principale è la critica alla modernità capitalistica, che trova espressione letteraria nell’opera del maggior poeta della «Parigi capitale del secolo XIX», ossia Charles Baudelaire (1821-1867). Un libro che offre l'immagine più articolata del pensiero di Benjamin in proposito è Charles Baudelaire. Un poeta lirico nell'età del capitalismo avanzato.
Benjamin sceglie il vate francese non tanto o non solo per la sua estetica decadente, quanto perché nei suoi testi — soprattutto nei poemetti in prosa, Le spleen de Paris —ravvusa unicità di sguardo nei confronti di chi viveva ai margini della società. Facendo per la prima volta della folla urbana un soggetto poetico, egli rappresenta le contraddizioni della vita metropolitana e per Benjamin è così che l'artista ha percepito la “Ville Lumière”. Gesti, ripetizioni, azioni in un vortice che travolge il flâneur, personaggio centrale in quanto colui che si ritrova immerso nella città, come in un sogno a occhi aperti. Questo choc diventa un nuovo modo di fare esperienza del moderno, completamente diverso dal precedente. 

Nell'esortazione all'ebbrezza di Baudelaire contenuta nel noto passo: «Bisogna essere sempre ubriachi. Tutto sta in questo: è l’unico problema. Per non sentire l’orribile fardello del Tempo che vi spezza le spalle e vi piega verso terra, ubriacatevi senza tregua! Di vino, di poesia o di virtù, come vi pare» Benjamin vi legge così una ribellione implicita verso il tempo meccanizzato del lavoro. 

Forse è questo che andrebbe ricordato: nel tentare la sorte si nasconde una ribellione contro il tempo. 



Walter Benjamin nel 1928 (fonte immagine: Wikipedia) 

sabato 1 novembre 2025

Tra amore e lotta per il lavoro: “Era andata a finire così”, di Maddalena Vianello (su SoloLibri)

Ho scritto su SoloLibri.net del romanzo di Maddalena Vianello, Era andata a finire così (Fandango Libri, 2025). Una storia di formazione al femminile tra amore e lotta per la dignità e la salute sui luoghi di lavoro. 

Link all'articolo Era andata a finire così






Diego Rivera, Detroit Industry South Wall Pharmaceutics, 1932-33. 











sabato 11 ottobre 2025

A Francis Bacon





Volto indecifrabile e ribelle, 
inafferrabile e presente. 
È brama di amore. È frutto di dolore. 
Pensieri nell'ombra si agitano 
lasciando piccole tracce
e grandi i passaggi. 
Osservatore instancabile, guarda
non visto. 
La gente cammina distratta dalla vita,
sorda, non saprà della magia. 
Scende la notte calma, 
e tu con lei. 

*


Immagine: Francis Bacon, Autoritratto, 1969. 

venerdì 3 ottobre 2025

Il mondo di Ingeborg Bachmann


«Esisto solo quando scrivo, non sono nulla se non scrivo, sono estranea a me stessa, fuori di me se non scrivo» diceva Ingeborg Bachmann, poetessa e scrittrice austriaca nata nel 1926 e morta nel 1973 in circostanze drammatiche e mai del tutto chiarite, nella sua casa di Roma. Una frase che non venne pronunciata per fare colpo su qualcuno, non era nel suo stile, bensì detta con la consapevolezza che la scrittura non è né passatempo, né forma di egocentrismo. 

Nel saggio "L'uomo deve affrontare la verità" contenuto nella raccolta di scritti intitolata A occhi aperti, a cura di Barbara Agnese, edita quest'anno da Adelphi, troviamo dichiarato: 

«Compito dello scrittore non può essere quello di negare il dolore. Al contrario deve riconoscerlo e poi ancora restituirlo in quanto reale, in modo che noi possiamo vederlo». 

Scopo della letteratura e dell'arte è quindi togliere il velo, senza paure o ipocrisie. Bachmann non scriveva per compiacere, per avere l'approvazione altrui, quanto piuttosto per rispetto nei confronti delle parole. 

In Letteratura come utopia, testo utile per comprendere come considerava la letteratura, ovvero “Un’etica del pensiero” (Adelphi, 1993) esprimeva la sua verità:

«L'operare dello scrittore non sarebbe forse hybrid, e non dovrebbe egli diffidare di ogni parola, persino di se stesso?». Chi scrive dunque si esercita su una lingua utilizzata da altri e in tal modo se ne abbevera in un processo apocrifo e inevitabile. 

Negli anni della sua poliedrica attività, iniziata con i versi e conclusa con la prosa (passaggio tra l'altro affrontato dalla critica in vari studi) i suoi interventi anche radiofonici sono stati numerosi.
In linea col pensiero del filosofo del linguaggio Ludwig Wittgenstein, suo connazionale, Bachmann riconosce che il mondo è ciò che può essere detto, ma è proprio nell’attrito con l’indicibile che la scrittura trova il suo slancio più radicale. Non c'è spazio per le questioni metafisiche o morali; nulla può la filosofia. Tale limitazione del dicibile a ciò che può essere dimostrato porta a un vuoto che non è più solo linguistico ma, per Bachmann, esistenziale. Ed è nel desiderio di superare questo ostacolo che si esplicita la sua personale visione, evocata nel titolo A occhi aperti. Non solo perché vi si trovano racchiusi diversi contributi su ciò che più la premevano – autori, tematiche, ma perché rivelano il suo animo di artista. Nell'articolo sul già citato Wittgenstein di cui aveva svolto la tesi di dottorato, vi è un'articolata disamina sugli enunciati sensati e insensati del linguaggio comune. Come ricorda Barbara Agnese nella postfazione: «L’intero percorso intellettuale di Bachmann è stato improntato all’etica del sospetto verso le frasi fatte». Ci sono inoltre e tra altri, Thomas Bernhard, Witold Gombrowicz, Kafka, Giuseppe Ungaretti, Sylvia Plath, nonché uno splendido omaggio a Maria Callas: «una che sa per certo cos’è un’espressione»; non poteva mancare il Gruppo 47, movimento culturale nato all’indomani della Seconda guerra mondiale con l’intento di risollevare le sorti della Germania e rigettare l’assunto della “colpa collettiva”, formato dalla migliore intellighenzia tedesca (oltre a lei, entrata nel 1952, ne hanno fatto parte per esempio, Paul Celan, Heinrich Böll, Günter Grass, Peter Handke, tuttora vivente). Presente altresì il profondo legame, per lei imprescindibile, fra poesia e musica. Entrambe appartengono cioè a un linguaggio universale e si appartengono l'una all'altra.

Sempre rigorosa e tersa, Ingeborg Bachmann.
«Ho sentito che nel mondo si ha più tempo che senno, ma anche che gli occhi ci sono dati per vedere» scrive a conclusione del racconto sull'esperienza di vita a Roma, inserito anch'esso nel libro. Città amata e osservata, fino all'ultimo, nella sua dignità, nella più intima essenza.

Anche su «Gli Stati Generali», link all'articolo Il mondo di Ingeborg Bachmann





Nell'immagine sopra, Ingeborg Bachmann. 






domenica 28 settembre 2025

“Il mago”, di John Fowles (su SoloLibri)

In tempi in cui è difficile distinguere il vero dal falso ho scritto su SoloLibri.net della versione definitiva del romanzo Il mago, di John Fowles (Safarà, 2025) conosciuto in Italia per La donna del tenente francese

Link all'articolo Il mago

        John Fowles (fonte immagine: amsaw.org) 

lunedì 15 settembre 2025

A lezione da Vladimir Nabokov

 


Da quest'anno anche nella versione elettronica, è ormai un classico della saggistica letteraria: Lezioni di Letteratura di Vladimir Nabokov. Una raccolta organica degli appunti e dei numerosi fascicoli preparatori delle lezioni in classe da lui tenute in America, dove arrivò nel 1940, ovvero il periodo in cui pensava di scrivere quello che poi diverrà il suo capolavoro, Lolita, completato nel 1953. Grazie alla moglie Véra e al figlio Dmitri è stato possibile concludere un lavoro, per così dire di assemblaggio, che ha portato a questo corposo libro e Fredson Bower, nella prefazione, specifica di non aspettarsi di trovare il lessico o la sintassi che il celebre scrittore russo avrebbe usato sapendo di farne un libro. Non è stato riscritto tutto alla lettera, sarebbe stato impossibile farlo, spiega. 

Nabokov approdò prima alla Stanford University e al Wellesley College; poi alla Cornell University a Ithaca dove fu nominato Associate Professor di letteratura slava e dove insegnò nel corso sui "Maestri della narrativa europea" e su "Letteratura russa in traduzione inglese". Furono gli anni trascorsi in quell’ultima accademia i più prolifici: terminò il memoriale autobiografico Parla, ricordo e fu nello stesso periodo che la moglie gli impedì di bruciare le prime pagine della sua opera più famosa con protagonista Humbert Humbert. Divenne infine Visiting Professor nel 1952 ad Harvard e nel 1958 abbandonò in modo definitivo l'insegnamento. In particolare, le lezioni qui riunite costituiscono il programma svolto al Wellesley e alla Cornell. Nel nostro Paese hanno fatto la loro prima comparsa nei primi anni Ottanta, poi Adelphi ha eseguito una rivisitazione nel 2018 con introduzione del Premio Pulitzer John Updike che si è occupato della parte biografica, mentre la traduzione è di Franca Pece. L'ultima edizione è del 2022. 

Vladimir Nabokov (1899-1977) era figlio di una antica e nobile famiglia di San Pietroburgo; crebbe in un ambiente colto e raffinato dove si parlava oltre al russo anche l'inglese, che conobbe meglio della sua lingua madre. La rivoluzione del 1917 costrinse tutti i membri a fuggire in Europa dove il giovane Vladmir poté proseguire gli studi. Si laureò infatti al Trinity College di Cambridge.

Visse in Francia e in Germania dove il padre, un noto politico, venne assassinato. Uomo eclettico e versatile, fu anche un bravo scacchista - non solo come giocatore ma anche come teorico - e un entomologo, nonché saggista e critico; è stato certamente influenzato dal genitore alla cultura occidentale, pur rimanendo fedele alla tradizione drammaturgica russa.

In esergo di Lezioni di Letteratura troviamo questa frase semplice e diretta:

«Il mio corso è, tra le altre cose, una sorta di indagine poliziesca sul mistero delle strutture letterarie».

Descrizione che rende l'idea del metodo-Nabokov: far ragionare gli studenti sui meccanismi letterari e su come e perché nasce una narrazione, e le sue annotazioni e i disegni presenti nel testo rendono più chiaro e visibile il lavoro certosino eseguito ogni volta. Non solo mappe a corredo. 

Sono sette «i giocattoli meravigliosi» europei sotto la sua lente di ingrandimento: Mansfield Park di Jane Austen, l'Ulisse di Joyce, Casa desolata di Charles Dickens; Gustave Flaubert con Madame Bovary, Lo strano caso del dottor Jekyll e Mr Hyde di Stevenson, il primo volume della Recherche di Proust, Dalla parte di Swann, e La Metamorfosi di Kafka, con opportuni confronti a Gogol' e Tolstoj.


Con vivacità scompone e ricompone ognuna di queste individuando le tecniche utilizzate, due su tutte la cosiddetta “mossa del cavallo”, ripresa dall'esperienza col gioco degli scacchi, o quella del “contrappunto”, vale a dire lo spezzare con interruzioni o inserti paralleli due o più conversazioni o flussi di pensiero. Il discorso diretto e quello indiretto, anch'essi spiegati e mostrati con gli esempi. I personaggi, i temi e le ambientazioni, con gli elementi negativi e fallaci, le battute d'arresto o al contrario le basi solide su cui poggiano gli argomenti utilizzati dai romanzieri per raccontare le loro storie, comprese le influenze letterarie e il motivo per cui tali opere si devono considerare espressione di talento, ossia di consapevolezza letteraria. Com'è riuscito Dickens a tenere uniti protagonisti e avvenimenti mantenendoli vivi con costanza per tutto il tempo di una lunga narrazione oppure come il creatore di Jekyll e Hyde con una sola mirabile scena, quella della trasformazione, ha permesso al suo protagonista di entrare nella memoria collettiva, o Proust che ha saputo ricreare un intero mondo in retrospettiva attraverso personaggi dai molteplici aspetti, e così gli altri.

«Sebbene ogni essere umano abbia il proprio stile, l'unico su cui valga la pena soffermarsi è quello dello scrittore di genio, e il genio non può esprimersi nello stile letterario dello scrittore se egli non lo possiede nell'anima». 

Quindi se lo stile per Nabokov non si può insegnare, tutto il resto può e dev'essere oggetto di studio. Non si preoccupava più di tanto dei fatti d'interesse umano, era un anti freudiano, nè del senso comune ma solo dell'opera in quanto tale. Con ironia agli allievi diceva che il libro segue il suo destino e proprio come il destino che può essere imprevedibile, anche la vita di uno scrittore alle volte lo può essere, ricalcando la storia da lui stesso generata: come Tolstoj che trovò la morte presso una stazione ferroviaria seguendo le orme di Anna Karenina o come Stevenson quando gli venne un colpo apoplettico, e prima di morire ha detto: “Cosa succede, mi è cambiata la faccia?”.

I discorsi sempre arguti, a volte taglienti, ma da Nabokov nelle vesti di docente non ci si poteva aspettare nulla di diverso:

«La letteratura è invenzione. Le opere di fantasia rimangono sempre fantasia, e dire che un'opera di fantasia è una storia vera è un insulto sia all'arte che alla verità. Tutti i grandi scrittori sono grandi imbroglioni, proprio come quella grandissima imbrogliona della Natura».

Nemico dell'identificazione, riteneva che il vero lettore deve sapere quando e in che momento tenere a bada la propria immaginazione e per farlo deve conoscere il mondo che un autore gli pone perché «il romanzo non si deve leggere né col cuore e neanche col cervello ma con la spina dorsale». Non lascia spazio a dubbi o equivoci.

Lezioni di letteratura unisce l'utile al dilettevole in quanto valido strumento se ci si pone nell'ottica di acquisizione dello spirito critico nella lettura, e anche un libro appassionato e appassionante, per non dimenticare che la letteratura è arte e che un buon scrittore è innanzitutto un buon lettore. 

Anche su Gli Stati generali. Link all'articolo A lezione da Vladimir Nabokov



                     Vladimir Nabokov (fonte immagine: getty)






giovedì 4 settembre 2025

“L'emicrania” di Antonio Alatorre (su SoloLibri)

Ho scritto su Sololibri.net di L'emicrania, di Antonio Alatorre. Non un manuale di medicina, bensì un memoir letterario di uno dei più importanti saggisti e critici messicani, tradotto per la prima volta in italiano. 

Link all'articolo L'emicrania



               Antonio Alatorre (fonte: porcierto.com) 

martedì 26 agosto 2025

Il manifesto di Duchamp contro il conformismo (su Gli Stati Generali)

 


Prima o poi capita a tutti di trovarsi in un importante museo o galleria di qualche città e farsi largo tra la folla per riuscire a vedere un'opera famosa, mentre le altre che gli stanno intorno, se si fa caso, vengono ignorate dai più. 

Continua a leggere su «Gli Stati Generali». Link all'articolo Il manifesto di Duchamp contro il conformismo



lunedì 21 luglio 2025

Pensare da scrittori prima di esserlo. “La scrittura non si insegna”, di Vanni Santoni

Forse non si può insegnare a scrivere, ma si può insegnare a pensare da scrittori e per farlo ci sono una serie di abitudini che è necessario acquisire. La prima è la più banale, eppure in quanto banale ha un fondamento pratico: leggere tanto, e ancora leggere, prendere appunti, ricopiare.

Parla di questo e di altro un breve saggio del 2020, ancora più attuale data la varietà di pubblicazioni a cui assistiamo ogni giorno, di Vanni Santoni, scrittore e docente alla Scuola del libro (Minimum Fax, Collana Filigrana). Il titolo è alquanto perentorio: La scrittura non si insegna ed è nato dall'esperienza di aver avuto troppi allievi che volevano scrivere senza aver letto abbastanza. Perché allora, si domanda e domanda Santoni, voler scrivere se non si è letti almeno Alla ricerca del tempo perduto di Proust e l'Ulisse di Joyce? Un interrogativo provocatorio ma neanche tanto se ci si pensa bene, semmai è pertinente. Tenendo conto che quanto abbiamo di fronte non è un manuale di scrittura creativa, bensì un pamphlet, e dunque per sua natura sfidante. Di per sé non è un male che tante persone vogliano scrivere, ma lo diventa quando si vuole scrivere e pubblicare senza cognizione di causa. Oltre ai due citati, l'autore elenca una serie di altri libri corposi, una trentina circa, da Roberto Bolaño a David Forster Wallace, da Sebald a Tolstoj e Dostoevskij, da Jane Austen a Borges, e altri da leggere una volta affinate le basi  e in relazione al genere a cui ci si vuole avvicinare. Questione di sensibilità che si apprende leggendo e scrivendo. Testi che ritiene imprescindibili per chi vuole scrivere seriamente. La scelta è ricaduta su dei capolavori non solo in quanto tali, ma perché in essi si celano variegate suggestioni dovute anche alle numerose pagine che li compongono. Opere imperfette, come vengono definite, perché capaci di provocare sommovimenti, dare consapevolezza delle infinite possibilità del romanzo contemporaneo. Quindi per esempio non Lo straniero di Camus in quanto «piccolo diamante che si può ammirare ma dal quale non è immediato imparare qualcosa».

È importante inoltre far parte di una comunità: confrontarsi, fondare una rivista o scrivervi per mettersi alla prova, conoscere o farsi conoscere. In sostanza, creare e dotarsi di una rete di interessi umanistici. Che non significa in seguito pubblicare un libro, sarebbe una ingenuità anche solo pensarlo. Può capitare ma anche no. Le variabili sono tante e l'editoria è impresa, settore economico. 

Dopo la scrittura c'è un ulteriore processo inevitabile ed è la revisione. In particolare farsi leggere da chi è al nostro livello, cioè da coloro che hanno più interesse a farlo per il fatto che lo facciamo o possiamo farlo noi con loro. Non amici o parenti, vuoi perché non intenditori, vuoi perché difficilmente vi diranno che quanto hanno appena letto non gli è piaciuto, e nemmeno rivolgersi, senza retribuirli, ai professionisti dell'editoria che proprio perché professionisti vanno pagati per il lavoro che svolgono. 

Se si vuole scrivere un romanzo bisogna aver chiaro, avverte ancora Vanni Santoni, che l'impegno è totalizzante; è la letteratura a imporlo. Deve prima diventare uno stile di vita. Se non ci si nutre di buone letture l'impresa è ardua. La scrittura infatti non è come comunemente si pensa un'attività facile da praticare. Ci si mette al computer e si aspetta la musa. Non è esattamente così che funziona o che si spera funzioni. Si tratta di un'arte e l'arte richiede studio. L'arte richiede di eccellere. Averlo presente è un primo importante passo.




mercoledì 16 luglio 2025

Alla scoperta di Vali Myers: “Cara Vali”, di Chiara Centioni (su SoloLibri)

Ho scritto su Sololibri.net del romanzo Cara Vali, (Castelvecchi, 2025) di Chiara Centioni e della scoperta di se stessa attraverso la ballerina e pittrice australiana Vali Myers, vissuto a lungo a Positano.

Link all'articolo Cara Vali,




Vali Myers, 1959, in un ritratto di Norman Ikin


venerdì 4 luglio 2025

L'uomo allo specchio

L'uomo che non conosciamo è seduto di fronte a uno specchio bordato d'argento. 

L'immagine riflessa fa da sfondo a un'apparente realtà. La gente intorno a lui si muove e intorno vaga, alla ricerca delle illusioni. Le forme sprofondano nella gelata atmosfera di parole mancate, di abbracci perduti, amori celati. 

Laggiù, la sua anima persa nel vuoto, 
anima di un viandante 
che trema di stanchezza nelle ore più buie.
Le luci della sera, ora, sono sempre più vicine. 
L'uomo in noi che non conosciamo, trova nell'indefinito
il suo mondo dipinto d'azzurro. 
Il dolore non sarà vano forse, 
o forse no, lo sarà.
L'uomo che non conosciamo, solo vede se stesso
solo nella luce febbrile di un cielo luminoso, e ci osserva beffardo.


    René Magritte, Il falso specchio, 1928