Quest'oggi, niente - Blog di Alessandra Piras
Scritture, letture e divagazioni personali
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Recensione per Solo Libri: "Le pianure"
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Recensione per Solo Libri: "Un libro che divorerei"
Su Solo libri ho parlato della critica come genere letterario a partire dal libro che riunisce una selezione di pareri editoriali di Giuseppe Pontiggia, Un libro che divorerei , a cura di Daniela Marcheschi.
Link all'articolo: Un libro che divorerei
Giuseppe Pontiggia, foto dal web.
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Il reale e il racconto del reale: "Disclaimer"
6 novembre 2024
Recensione per Sololibri: "Finché Marte non ci separi"
Ho parlato per Sololibri di un saggio che affronta un argomento spesso trascurato, ovvero i viaggi spaziali a scopo commerciale a opera di pochi miliardari e la colonizzazione di un altro pianeta: Marte.
Link all'articolo: Finché Marte non ci separi
25 ottobre 2024
Edith Stein e l'empatia: da problema a stile di vita
Si sentono spesso termini che, soprattutto nei social, fanno presa sugli utenti. Non sempre però se ne intuisce la loro portata. Resilienza, talento, empatia, per citarne alcuni. Cosa sono veramente? Sono risorse o barriere? L'empatia, per esempio, appare sempre più necessaria in un mondo dove gli egoismi o anche solo l'isolamento - com'e avvenuto a seguito della pandemia - hanno portato a dei cambi di prospettiva nelle vite di molte persone. Può essere utile capire qualcosa in più grazie a chi, all'empatia, ha dedicato l'esistenza e se ha dedicato l'esistenza ci sarà stata ragione per dare una ragione a noi.
La parola 'empatia' deriva dal greco εμπαθεία (empatéia, a sua volta composta da en- "dentro", e pathos, "sofferenza o sentimento"), che veniva usata per indicare il rapporto emozionale di partecipazione che legava l'autore-cantore al suo pubblico. Il termine "empatia" è stato equiparato a quello tedesco Einfühlung o per meglio dire, traduce il termine tedesco. Coniato, quest'ultimo, dal filosofo Robert Vischer (1847-1933) e, solo più tardi, tradotto in inglese come empathy. Vischer ne ha anche definito per la prima volta il significato specifico di simpatia estetica. In pratica il sentimento, non altrimenti definibile, che si prova di fronte ad un'opera d'arte. Già suo padre Friedrich Theodor Vischer aveva usato il termine evocativo einfühlen per lo studio dell'architettura applicato secondo i principi dell'Idealismo.
Nelle scienze umane, l'empatia designa un atteggiamento verso gli altri caratterizzato da un impegno di comprensione dell'altro, escludendo ogni attitudine affettiva personale (simpatia, antipatia) e ogni giudizio morale. Fondamentali, in questo contesto, sia gli studi pionieristici di Darwin sulle emozioni e sulla comunicazione mimica delle emozioni, sia gli studi recenti sui neuroni specchio scoperti da Giacomo Rizzolatti, scopritore dei neuroni-specchio, che confermano che l'empatia non nasce da uno sforzo intellettuale, ma è bensì parte del corredo genetico della specie.
Nel linguaggio corrente, l'empatia è l'attitudine a offrire la propria attenzione per un'altra persona, mettendo da parte le preoccupazioni e i pensieri personali. La qualità della relazione si basa sull'ascolto non valutativo e si concentra sulla comprensione dei sentimenti e bisogni fondamentali dell'altro.
Le innumerevoli definizioni che sull’empatia si sono succedute nel corso degli anni e che l’hanno collocata ora nell’ambito della dimensione prettamente affettiva, ora in quella prettamente cognitiva, ne hanno ridotto il significato profondo. Molti sono stati i ricercatori che si sono interessati a questo tema con l’intento di sottolinearne la complessità che ne caratterizza l’anima stessa. Proprio in questa prospettiva si colloca la definizione di empatia della scienziata tedesca Bischof-Kohler, secondo la quale l’empatia è la capacità di comprendere l’altro attraverso la condivisione diretta e immediata del suo stato affettivo, dove malgrado tale condivisione, il soggetto che empatizza conserva la coscienza che tale stato affettivo è lo stato affettivo dell’altro. Questo, in altri termini, sta a significare che considerare il processo empatico un’esperienza emotiva di condivisione, mediato dalla dimensione cognitiva, diventa garanzia a supporto della natura multidimensionale dell’empatia stessa.
L'empatia è stata più volte analizzata anche da filosofi come Max Scheler, Sigmund Freud o Carl Rogers. Una sola però ha dedicato la sua vita al tema a partire dalla sua tesi di laurea che è diventata poi un'opera di riferimento imprescindibile. Si tratta di Edith Stein. Nata a Breslavia nella bassa Slesia (allora in Germania) il 12 ottobre 1891; era l’ultima di undici fratelli di una coppia di commercianti di origini ebraiche. Il giorno in cui nacque era anche quello dedicato alla massima festa ebraica, lo Yom Kippur, giorno della riconciliazione. Il padre, Sigfrid Stein, commerciante di legname, muore improvvisamente durante un viaggio d’affari, quando Edith ha solo ventuno mesi. È allora la madre, Auguste Stein Courant, a doversi fare carico da sola di tutta la famiglia e mandare avanti anche l’azienda di commercio di legnami, ereditata dal marito. Auguste Stein educa i figli ad un comportamento responsabile ed operoso, all’altruismo, ad uno stile di vita sobrio e parsimonioso.
Edith si convertì al cattolicesimo dopo un periodo di ateismo iniziato ai tempi dell'adolescenza. Entrò nel monastero carmelitano a Colonia nel 1934 e prese il nome di Teresa Benedetta della Croce. Venne arrestata nei Paesi Bassi dai nazisti e rinchiusa nel campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau dove trovò la morte. Nel 1998 papa Giovanni Paolo II l'ha proclamata santa e l'anno successivo l'ha dichiarata compatrona d'Europa.
L’interesse principale per Edith Stein è l’io, centro della persona, e questo interesse risale al tempo, appunto, della sua dissertazione accademica, discussa nel 1916 (relatore il grande filosofo Edmund Husserl), intitolata Sul problema dell’empatia. Già dalle prime pagine di questo lavoro la ricerca appare focalizzata sull’essenza dell’empatia, verso cui ci indirizza "il metodo della riduzione fenomenologica" (Bettinelli).
Sostiene Stein: "si può dubitare se ciò che io vedo esiste prima di me. È possibile ingannarsi […] Ma ciò che non posso escludere, ciò che non è soggetto a dubbio, è la mia esperienza della cosa insieme col correlato fenomeno. Dunque l’esperienza che io ho di me è legata anche alla conoscenza dell’altro che, a sua volta, mi consente di afferrare “strati inferiori” che io stesso non conosco. In questo senso l’empatia è un sentimento calato nel nostro esperire vivente rivolto verso gli altri e, dunque, si colloca come ponte tra le due rive del fiume della vita personale e collettiva; benché infatti l’interesse primario sia rivolto alla persona nella sua unicità, il valore della persona risalta nell’incontro con gli altri e nell’interazione dinamica che culmina appunto nel momento empatico: luogo privilegiato di ricerca della verità".
Così la ricerca sull’empatia non si circoscrive al limite angusto del singolo elemento psicologico, ma con essa si gioca una sfida più grande, afferma Stein, ovvero, prendere coscienza dell’alterità e individuare il rapporto fra elemento soggettivo e oggettivo.
L’empatia costituì per Edith Stein un tema dominante fin dagli anni di studio a Breslavia dei quali ricorda come Husserl, nel corso su Natura e Spirito, avesse messo in luce il fatto che un mondo oggettivo esterno può essere sperimentato solo da diversi soggetti in rapporto fra loro, cioè da una molteplicità di individui conoscenti in rapporto di scambievole comprensione, per cui l’esperienza di altri individui sarebbe presupposta alla conoscenza del mondo esterno . Che l’io e l’altro vivano un rapporto di scambievole conoscenza senza che nessuno dei due risulti annullato o subordinato, ma invece ciascuno sia in certo modo avviato ad essere se stesso attraverso l’esperienza dell’alterità, implica però anche il forte rischio dell’invasione di stereotipi culturali, di convenzioni sociali, della natura, come anche il rischio di perdersi o trasfigurarsi in entità oggettive, in ideali sovraindividuali o, ancora, quello di voler essere uno e di ricostruire una mitica fusione amorosa del due o dei molti. In questi rischi c’è però il germe di ciò che salva: l’empatia, che Edith Stein ha liberato dallo stereotipo romantico ed estetizzante, mettendola con audacia nello stesso luogo in cui, per il maestro Husserl si costituisce il rapporto con il mondo oggettivo. L’empatia è l’atto paradossale attraverso cui la realtà di qualcos'altro, "di ciò che non siamo (…) diventa elemento dell’esperienza intima: quella del sentire insieme, del desiderio dell’altra, dell’altro, che produce ampliamento ed espansione verso ciò che è oltre, imprevisto" (Butterelli-Boella). Dell’empatia si possono vivere differenti esperienze: nel linguaggio, nelle relazioni amorose o amicali, tra insegnante ed allievo, nella narrazione e lettura, in tutta la vasta dimensione in cui nella nostra vita irrompe con forza l’alterità; "ed è proprio in questo scambio reciproco di esperienze e di relazioni umane che si comprende in modo pieno l’umanità. Senza la possibilità del confronto e del rapporto con l’altro non si riesce neppure a guardare nella profondità di se stessi" (Brezzi). L’apertura agli altri è condizione per la fondazione di una vera comunità umana, che si può realizzare attraverso l’esperienza corporea dell’espressione teatrale con dei piccoli allievi, oppure con il vissuto della compassione che, per la filosofa contemporanea Martha Nussbaum, è il punto di partenza della nostra umanità .
L'empatizzare è molto distinto anche dal cosentire. In questo caso, Stein sceglie l'esempio della gioia di uno studente per aver superato un esame: nel cosentire mi immetto nell'avvenimento del buon esito dell'esame, e quindi in quello per cui egli (cioè il compagno di studi) gioisce"; io gioisco con lui per questo evento. Empatia al contrario significa percepire la stessa gioia che lo studente ha in sé: "Nell'empatizzare, colgo la sua gioia e ciò facendo mi traspongo in essa" .
Allo stesso modo, l'empatizzare (Einfühlen) e l'unisentire (Einsfühlen) sono due atti diversi. Quando gioisco di uno stesso avvenimento o di uno stesso oggetto di cui un altro gode, questo mi può condurre al fatto che non più solo io e lui, ma noi godiamo, noi ci uni-sentiamo nella gioia dello stesso oggetto. Ma anche questo è un processo nel quale l'atto conoscitivo è indirizzato all'oggetto comune della gioia, ma non alla stessa gioia dell'altro. Quindi "non è mediante l'unisentire che facciamo esperienza vitale degli altri, ma mediante l'empatizzare", in quanto solo "mediante l'empatia l'unisentire e l'arricchimento della propria esperienza vitale diviene possibile" o può divenirlo.
Nel caso dell'empatia, afferma Stein, abbiamo a che fare con una specie di atti di esperienza vitale sui generis: l'empatia, che abbiamo cercato di prendere in considerazione e di descrivere, è, in generale, "esperienza della coscienza estranea" . Dunque affronta la questione di come si sviluppa un tale empatizzare in "una coscienza estranea". Per questo premette alcune definizioni: secondo la teoria dell'imitazione (Nachahmungtheorie), per esempio, elaborata da Theodor Lipps, in me si realizza l'esperienza della vita psichica estranea, mediante la quale imito ("non esteriormente, ma “interiormente”) l'azione di un altro o la sua reazione ad una corrispondente sopravvenienza (nell'esempio portato, l’ "atto visto fare" da lui), partecipando così al vissuto interiore in tal modo espresso. Allora io giungo in questo dato modo, non al fenomeno del vissuto altrui, ma ad una mia propria esperienza, che l'azione vista fare dall'altro, risveglia in me.
Come l'imitazione, così anche l'associazione ad essa collegata, non conduce realmente a "cogliere la vita psichica altrui"; in questo caso si escludono le sensazioni che, in seguito ad una certa azione, io stesso ho od ho avuto intorno alle sensazioni dell'altro. Nel caso esemplare proposto da Edith: "Vedo qualcuno battere un piede rabbiosamente; mi viene in mente come io stessa ho battuto il piede con rabbia; nello stesso tempo mi si rappresenta la rabbia che mi aveva allora colto, per cui dico a me stessa: l'altro è ora arrabbiato come lo sono stata io" . In questo modo ho ricevuto in rappresentazione non il percepire dell'altro, ma la mia propria percezione richiamata alla memoria, e di qui proiettata nell'altro.
Lo stesso vale per la inferenza per analogia (Analogieschluß), che coglie l'esperienza psichica dell'altro, semplicemente sapendo che di norma alcuni modi comportamentali esteriori determinano altrettante sensazioni interiori. Sebbene questo nel singolo caso possa colpire veramente, si deve però pensare secondo la studiosa che: "L'inferenza per analogia può prendere il posto dell'empatia che forse non ha luogo, e non comporta l'acquisizione di un'esperienza, ma realizza una conoscenza più o meno attendibile del vissuto estraneo".
L'empatia, così come Stein la intende, è certamente distinguibile rispetto ad atti conoscitivi simili, ma non sufficientemente identificabile in definizioni positive. In che modo avvenga l'empatia, si può infatti solo descrivere e le parole che la descrivono sono come delle finestre, attraverso cui siamo costretti a sbirciare la realtà significata. Possiamo intravedere l'empatia che avviene in un altro: un esempio evidente è rappresentato dalla stessa Edith Stein, che secondo Waltraud Herbstrith, carmelitana tedesca, era per natura un "genio dell'amicizia”, ma possiamo anche intravedere, nella propria coscienza, la capacità di potersi empatizzare in un dolore così come nella gioia. Forse è necessaria proprio l'empatia, per poter comprendere l'empatia. Posso effettivamente, come afferma la stessa Edith, "anche empatizzare delle empatie; cioè, tra gli atti di un altro, che colgo nell'empatizzare, possono esserci anche atti di empatia, nei quali uno coglie gli atti di un altro. Questo 'altro' può essere una terza persona oppure io stesso" .
Si mostra, nell'analisi di Edith Stein, che l'oggetto conoscitivo dell'atto empatico, l’esperienza vitale degli altri, può avere contenuti molto diversi. In modo corrispondente alla composizione dell'essere umano come una unità di corpo, anima e spirito, si può trattare di una esperienza vitale dell'altro corporale, psichica o spirituale. Edith Stein dedica perciò due dei tre capitoli della sua opera a una riflessione molto estesa sulla costituzione ontologica dell'essere umano, che lei considera come "individuo psicofisico" (capitolo III) e successivamente come "persona spirituale" (capitolo IV), per giungere in questo modo a descrizioni ancora più dettagliate dell'atto empatico. Così ella parla ad esempio della "presentificazione empatizzante" in relazione all'esperienza vitale corporale dell'altro (un po' come il soffrire di dolori fisici), della "empatia sensoriale" oppure della "endosensazione" (nei suoi sentimenti e sensazioni psichiche, come pressapoco la gioia o la paura) di "comprensione post-vitale" o "coglimento empatizzante" del mondo spirituale.
Nel campo dell'esperienza vitale spirituale si apre al soggetto empatizzante "un nuovo regno di oggetti: il mondo dei valori": viene incontro cioè l'intero "mondo della storia e delle culture", dal quale un essere umano è plasmato e che egli stesso in un certo modo continuamente conforma, e che è appunto l'intero mondo dei valori, nei quali egli pensa, sente e opera.
Viene incontro anche e soprattutto l'essere umano stesso nel suo valore peculiare. L'empatia conduce ad una sensazione di valore, nella quale ci è data la persona dell'altro e, scrive Stein: "Come negli atti propri originari dello spirito si costituisce la propria persona, così negli atti vissuti empaticamente si costituisce l'altra persona". È in definitiva lo stesso altro, che attraverso l'empatia viene percepito .
Stein non teme, in questo contesto pur all'interno del linguaggio dell'analisi scientifica, di parlare di questo atto dell'empatia come di un "atto di amore": nell'atto d'amore" si compie "un afferrare, ossia un intendere del valore della persona"; e conclude: "Noi non amiamo una persona perché fa il bene, il suo valore non consiste nel fatto che fa il bene (anche se il suo valore può rivelarsi in ciò), ma nel fatto che la persona stessa è pregevole e noi la amiamo per se stessa" .
L'empatia è possibile essenzialmente solo nel typos essere umano. Ma poiché questo typos è simile, almeno nel suo carattere corporale, ad altri esseri, posso empatizzare in un certo grado anche nel dolore di un animale. "Quanto più tuttavia ci allontaniamo dal typos essere umano, tanto minore diviene la quantità di possibilità di attuazione" dell'atto empatico. E poiché nel campo dello spirito "ogni singola persona è per se stessa un typos, potrò d'altra parte empatizzare in un'altra persona, solo nella misura in cui io stesso sono divenuta persona: "Solo chi si sperimenta come persona, come totalità che possiede un senso, può capire altre persone"; se no "ci rinchiudiamo nella prigione della nostra particolarità; gli altri ci diventano un enigma oppure, ancora peggio, li modelliamo a nostra immagine e distorciamo così la verità".
Quanto più un essere umano ha trovato il proprio "se stesso", tanto più può diventare un "maestro di comprensione" o, come dice, Edith Stein: "un maestro dell'amore".
Mediante l'empatia percepisco l'altra persona nel suo valore peculiare e con il mondo di valori che essa si è fatto proprio. Ma questo ha anche come conseguenza una retroazione su di me: empatizzando nell'altro, si costituisce in me, soggetto empatizzante, un nuovo Io. "Ogni coglimento di altre persone diverse", secondo Edith, "può divenire fondamento di una comparazione di valore"; l'essere umano, che è stato percepito nell'empatia nel suo valore e con i suoi valori ci chiarisce "quello che noi siamo in più o in meno degli altri". Allora, "empatizzando, noi ci imbattiamo in campi di valori a noi preclusi, ci rendiamo coscienti di un proprio difetto o disvalore"; in questo modo, nella comprensione dell'altro, può giungere a sviluppo, "quanto in noi sonnecchia".
Giovanni della Croce (1542-1591), che due decenni dopo con le sue opere, tanto influsso avrà su Edith, ha forse voluto significare la stessa esperienza quando ha scritto: "L'amore rende simili l'amante e l'amato" un "principio fundamental indiscutible" per il mistico spagnolo, determinando l'intero suo pensiero.
Ritroviamo qui del tutto la situazione personale dell'autrice al tempo in cui lavorava alla sua dissertazione quando, come esempio per questa esperienza vitale, nota sobriamente: "Così empatizzando, riesco a comprendere il tipo dell'homo religiosus, a me essenzialmente estraneo, e lo capisco, sebbene quanto di nuovo là mi si presenti, mi rimane sempre incompleto".
Vale la pena evidenziare che la filosofa era ancora lontana dalla fede quando termina il suo lavoro giovanile con una provocazione interessante che vale certamente la pena raccogliere. Essendo la persona anche spirito, a questo livello, dunque, con chi può empatizzare? Solo con altre persone?
Se dunque l'empatia ha una componente spirituale anche lontani dalla fede, perché non considerarla come stile di vita. E se fosse una pratica culturale?
Bibliografia
Bettinelli C., Il pensiero di Edith Stein, Vita e pensiero, Milano, 1976.
Bella L. - Buttarelli A., Per amore di altro. L’empatia a partire da Edith Stein, Edizioni Cortina, Milano 2000, p.8-9.
Brezzi F. (a cura di) Amore ed empatia, Franco Angeli, Milano, 2003, p. 50.
Enciclopedia della Filosofia e delle scienze umane, Istituto Geografico De Agostini, Novara 1996.
Herbstrith W., Edith Stein. Vita e testimonianze, Città Nuova, Roma, 1999.