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martedì 17 giugno 2025

Giorgio Manganelli e la scrittura come esercizio di libertà



Quando la morte lo coglie all'improvviso nel 1990, Giorgio Manganelli aveva pronto un dattiloscritto composto da saggi e interventi pubblicati fra il 1966 e quello stesso anno su diversi quotidiani e riviste, riguardanti i temi del leggere, dello scrivere e del recensire libri. Un corpus omogeneo, pensato e organicamente strutturato dallo scrittore: una vera e propria ‘raccolta d’autore’ poi divenuto un libro edito da Adelphi nel 1994. All'inizio il titolo doveva essere Frantumaxione di parole per decisione di chi si occupava di trascrivere il materiale, Ebe Flamini. Quando il testo è stato seguito per la stampa si è preferito, come spiega la curatrice Paola Italia, Il rumore sottile della prosa, titolo di uno degli articoli presenti, perché rendeva meglio cosa intendesse Manganelli per letteratura: lo spessore della pagina, l'intensità della scrittura. Qualità che hanno contraddistinto l'intera sua opera. Le parole non solo devono avere un senso, ma essere portatrici di un disegno. Ed è soltanto con l'inganno, con l'artificio che si può chiudere il cerchio. 

Manganelli rompe ogni legame con la tradizione letteraria e ha pochi eguali, ma numerosi seguaci; al di là alle legittime aspirazioni o degli accostamenti che vengono fatti dalla critica. È diventato anche un personaggio letterario, reso da Romana Petri in Cuore di furia (Marsilio, 2020). Lo stile manganelliano è labirintico, volutamente provocatorio. Un racconto-incantesimo che mescola il lirismo all’indagine filosofica, alternandolo alla dissertazione. Esplora la potenza del linguaggio come strumento di esorcismo, sottolineando che chi non padroneggia le regole della scrittura rischia di rimanerne schiacciato. Il suo rapporto con la parola è quello di un illusionista, un alchimista, capace di rendere la sintassi un organismo vivente, una “lava in perpetuo movimento” che si anima nella scrittura, nella lettura e nella rilettura. Tre concetti chiave di un intenso percorso. La prosa di Giorgio Manganelli è un’esplorazione vertiginosa della lingua, un gioco di costruzione e de-costruzione che affonda le radici nella letteratura rinascimentale e barocca. Così facendo trasforma la scrittura in un esercizio di disobbedienza, demolisce l’idea che la letteratura debba avere intenti educativi, meno che mai moralistici. “L'estrosità intellettuale si guasta come un niente”. Non ultimo è l'affondo spietato e ironico nei confronti dei successi letterari (o insuccessi) e dei premi.

Giorgio Manganelli ci insegna dunque a non avere paura della complessità, a non fermarci all'ovvio, ad andare oltre il puro e semplice dualismo del mi piace/non mi piace. Perché uno sguardo critico «introduce oscurità dove è illusoria chiarezza, porta notte dove è la menzogna del giorno, cattura e tesaurizza l’errore dove apparentemente si dà pertinenza»

(anche su Gli Stati Generali, link all'articolo Giorgio Manganelli e la scrittura come esercizio di libertà)




Sopra, un'immagine di Giorgio Manganelli (fonte, Modlet). 









lunedì 9 giugno 2025

Invisibili sogni

Nessun luogo mi lega, e tutto mi lega. 
Desiderio senza fine, con un fine. 
Smanio per qualcosa che non so cosa sia nell'infinito accadere -
Vivo di sogni sognati e vedo ciò che non sento
Hanno chiuso le porte ma non ho chiavi, mi hanno vietato i banchetti. Hanno scoperchiato i tombini. 
Nella via ritrovata non c'è il numero. 
Mi sono svegliata nella stessa vita in cui mi ero addormentata e non l'ho più riconosciuta
I miei sogni si sono sentiti falsi per essere stati sognati. La vita desiderata mi raggela - persino la vita.
Comprendo a intervalli sconnessi; penso nella mente e scrivo. 
Il vento mi scaraventa su una spiaggia sconosciuta
Non so quale destino o quale futuro spetti alla mia incertezza senza direzione; 
Invisibile sogno. 
È nel profondo del mio spirito, dove sogno ciò che ho sognato, nei campi estremi dell'anima in cui rammento senza una causa, nelle strade lontane dove ho ipotizzato di essere, fuggono ormai smantellati gli ultimi rimasugli di illusioni perdute,
i miei eserciti sognanti, sconfitti in partenza. 
Un'altra volta ti rivedo, 
città lontana dell'infanzia, ancora una volta sono qui a sognare. Ma sono lo stessa che torna. La stessa che sono. 
Ti vedo orizzonte invisibile 
con il cuore distante da me
Un'altra volta ti rivedo e tutto passa e quanto più passa, resta. 
Errante dovunque vada, cammino, stancamente cammino 
Un'altra volta ti rivedo, ombra che passa fra altre ombre, e riluce un istante sotto le tenebre, ed entra come la scia di una nave che si perde nelle acque nere. 
Un'altra volta ti rivedo, città dei sogni. 
È in frantumi lo specchio magico in cui mi guardo, e in ogni frammento eterno vedo soltanto pezzi di me - pezzi di noi. 

 
Salvador Dalí, L'uomo invisibile, 1929-32, Olio su tela, 140x80 cm, Museo Nacional  Centro de Arte Reina Sofia di Madrid 

sabato 7 giugno 2025

Flannery O'Connor e l'arte di scrivere - Citazioni

Brano tratto da Un ragionevole uso dell'irragionevole. Saggi sulla scrittura e lettere sulla creatività, Minimum Fax, 2019, cap. "Natura e scopo della narrativa". 


San Tommaso chiamava l’arte «ragione in atto». È una definizione molto fredda e molto bella, e se oggigiorno è impopolare, è perché la ragione ha perso terreno fra noi. Come la grazia e la natura sono state separate, così è stato per l’immaginazione e la ragione, e questo significa sempre la fine dell’arte. L’artista usa la propria ragione per trovarne una corrispondente in tutto quel che vede. Per lui, essere ragionevole è trovare, nell’oggetto, nella situazione, nella sequenza, lo spirito che li rende tali. Non è cosa facile, né semplice. È un’invasione dell’eterno, e viene fatta solo con la violenza di un rispetto assoluto per la verità. Ne deriva che non esiste una tecnica da scoprire e applicare che renda possibile scrivere. Se frequentate una scuola dove si tengono corsi di scrittura, dovrebbero insegnarvi non a scrivere, ma piuttosto i limiti e le potenzialità delle parole, e il rispetto loro dovuto. 



 
    Flannery O'Connor e i suoi amati pennuti 



 


domenica 30 marzo 2025

La scrittura come un coltello, di Annie Ernaux (su Solo Libri)

La scrittura come un coltello, di Annie Ernaux. Premio Nobel per la letteratura nel 2022. Ne parlo su Solo Libri.

Link all'articolo La scrittura come un coltello



Annie Ernaux (fonte, Getty images)  

lunedì 24 marzo 2025

Scrivere è un atto politico

Si scrive per essere letti da un pubblico, ho letto. 

Certo, certamente. Innegabile. 

Si scrive però anche se non si viene letti, altrimenti vorrebbe dire che ci si mette al tavolino solo e soltanto se sai che verrai letto da "un pubblico". Scrivere é un atto politico, ma questo l'ho già detto, proprio qui. Che non è politica, beninteso di nuovo, perché la politica ha bisogno di sostenitori. L'atto politico invece esiste lo stesso, è più forte di tutto e tutti. 

Se fosse uno solo che poi ci legge, che sia un revisore o un amico o uno sconosciuto, a nessuno verrebbe mai in mente di dire che un revisore, un nostro amico, e pure lo sconosciuto non valgono perché sono pochi. Mai e poi mai. Intanto hanno letto. Sono i primi lettori. Benché probabile rimangano gli unici. 

Che scrivere è un atto politico non lo dice la presente sottoscritta. Io lo penso e lo scrivo, è vero, e poco ho fatto. Questo blog è letto da pochissimi, ma non per questo non ci scrivo. Lo sostiene molto meglio e molto prima di me Annie Ernaux, che con la sua scrittura come atto politico ha vinto il Nobel o Cesare Pavese, al quale è dedicato il nome di questo blog, che ha dato la vita per la scrittura come atto politico. 

In caso contrario non avrebbero nemmeno cominciato, e in seguito proseguito, entrambi e altri, e non credo avessero in mente, almeno all'inizio, il numero dei loro lettori. 




giovedì 26 dicembre 2024

Leggere per scrivere

Anche quest'anno il mio leggere è stato in prevalenza per scrivere. Ovvero, non per farmi trascinare esclusivamente dalla storia, bensì per ragionare su stile, trama, punti di vista, punteggiature e quali punteggiature e quante, quanti avverbi, quanti aggettivi, poetica dell'autore o autrice (parlo dei grandi del passato, più o meno recente) cosa vuole dirmi, perché vuole dirmelo, che libri leggeva, a chi si ispirava, in che periodo viveva, che studi ha compiuto, che lavoro ha svolto, che vita ha condotto, chi erano i genitori, fortuna o sfortuna nei sentimenti, problemi di salute, eccetera, eccetera. Non per un giudizio morale o etico, o peggio, moralistico,  ma proprio e solamente per conoscere, capire da dove (più che dove, direi quando e perché, da dove è il giusto mistero dell'arte. Il come, forse il più importante di tutti) quella determinata creazione artistica è venuta, e imparare. Conscia che i grandi del passato, più o meno recente, stanno lì a guardare e a guardarci, e chissà con quale reazione. A loro, e solo a loro, è necessario rimanere attaccati se non si vuole finire col cervello ammorbato dall'insulsaggine imperante. Conoscerli, imitarli, copiarli - anche copiando s'impara - e soprattutto leggerli. 

Questo discorso, oltretutto, non significa affatto che siano state, le mie, delle letture cosiddette  professionali, perché non sono né un critico letterario né un docente di scrittura o un editor. A me interessa scrivere, quando e se ho qualcosa da dire di possibilmente interessante o bello o, perché no, utile, nel senso di non inutile, e leggere con attenzione. Difficile tornare indietro. La pubblicazione, quella col timbro "visto si stampi", appartiene invece a un'altra dimensione, direi, spazio-temporale. 

Ovviamente non c'è nulla di male a leggere per un personale piacere, è il bello della lettura, e nemmeno a scrivere con intenti commerciali, per così dire. Ognuno fa le sue scelte e ha i suoi obiettivi. 

A nuove letture. 

A nuove scritture. 

A nuovi piaceri. 


giovedì 19 dicembre 2024

Citazioni


Julio Cortázar (foto gettyimagines) 


Siamo sull'orlo della catastrofe, delle bombe atomiche, e il libro mi sembra solo una delle armi (estetica o politica o entrambe, ciascuno deve poter fare quel che vuole, basta che lo faccia bene) che ancora può difenderci dall'autogenocidio universale. Mi fa ridere che un romanziere si faccia venire l'ulcera perché il suo libro non è abbastanza famoso e si metta a organizzare «eventi» di autopromozione per non farsi dimenticare da editori e critici. Di fronte a quel che ci fanno vedere le prime pagine dei giornali ogni giorno, non sembrano ridicoli questi spasmodici attacchi d'ansia? Uno scrittore vero è quello che tende l'arco al massimo mentre scrive, e poi lo appende a un chiodo e se ne va a bere vino con gli amici. La freccia sarà già partita e raggiungerà o non raggiungerà il bersaglio, solo gli imbecilli pretenderanno di modificarne la traiettoria, o correrle dietro per aiutarla con opportune spinte mirate all'immortalità e alle edizioni internazionali. 

Julio Cortázar, 1969



mercoledì 13 novembre 2024

"Un libro che divorerei" di Giuseppe Pontiggia (su Solibri)

Su Solo libri ho parlato della critica come genere letterario a partire dal libro che riunisce una selezione di pareri editoriali di Giuseppe Pontiggia, Un libro che divorerei , a cura di Daniela Marcheschi.


Link all'articolo: Un libro che divorerei





Giuseppe Pontiggia, foto dal web.








venerdì 16 agosto 2024

Dentro la scrittura di Stephen King

                               


"On writing", sottotitolo "Autobiografia di un mestiere", di Stephen King, pubblicato in America per la prima volta nel 2000 e l'anno successivo in Italia, con Sperling & Kupfer, tradotto da Tullio Dobner, non avrebbe bisogno di presentazioni talmente è noto o di ulteriori recensioni talmente ne sono state fatte. Eppure, se ne parla ancora. Perché certi libri rimangono, mentre altri si dimenticano. Chi pratica la scrittura, a qualunque titolo, dovrebbe leggerlo e ri-leggerlo. 
Non si tratta di un vero e proprio manuale di scrittura creativa, ma può essere usato come tale. È piuttosto la vita di chi si è avvicinato alla lettura e alla scrittura per alleviare i dolori della vita stessa. O meglio, come dice l'autore, "per rendere l'esistenza un posto più piacevole". Le sofferenze, fisiche e morali, e le gioie raccontate a cuore aperto ai lettori, senza perdere un istante di lucidità e consapevolezza. Il privato a servizio del pubblico. 
Il suo processo creativo è avvenuto, almeno all'inizio, più per imitazione che per creazione vera e propria. Le letture fatte dal piccolo Stephen infatti hanno agito nel suo animo per poi trasfigurarsi sulla carta. Come questo sia avvenuto o avvenga è un Mistero, con la M maiuscola. Potrà essere un ossimoro, ma lo si può affermare con sufficiente certezza. D'altro canto, è il mistero dell'arte. O c'è o non c'è. 

La seconda parte del libro è meno intimista ma non per questo meno privata. King esplora il significato dello scrivere, cosa fare per non cadere in banalità o sciatteria e cosa e come leggere, ovvero "centellinando e non solo a lunghe sorsate" .
I consigli elargiti sono numerosi e pratici, dai dialoghi all'uso degli avverbi, e non solo. La regola, ora un mantra per molti, nonché la più semplice è, e resta, sempre la stessa: scrivere molto e leggere altrettanto. 
Le regole vanno imparate perché la scrittura ha le proprie e la grammatica è la prima fra queste, definita con una splendida metafora "il bastone al quale aggrapparvi per rimettere in piedi i vostri pensieri e farli camminare". 
Stephan-narratore sa bene cosa vuol dire avere padronanza delle proprie capacità e dei propri mezzi proprio per aver prima imparato le regole. Dopotutto, per sovvertirle nel modo giusto bisogna conoscerle. 

<<Il fulcro qui è: «Se non è certo di fare bene». Se non avete una conoscenza rudimentale di come le parti del discorso si fondano in frasi coerenti, come potete essere certi di fare bene? Come, se è per questo, stabilire che state facendo male? La risposta, naturalmente, è che non potete>>.

A colpire, in questa autobiografia che abbraccia diversi generi letterari (benché lui preferisca parlare, forse con una punta di ironia, di curriculum vitae) -  è la condivisione. Stephen King diventa noi e noi ci rivediamo in lui. Coloro che leggono, coloro che anche scrivono hanno la propria esperienza di studio e formazione alle spalle, questo è ovvio. Tuttavia, poiché entrambe sono attività solitarie e allo stesso tempo di comunicazione verso l'esterno - ed è sufficiente sperimentarlo in un gruppo di lettura o soltanto parlare a un amico di un libro che si è letto, a un altro quindi all'infuori di noi - ci ritroviamo in quanto King dice, anche se la nostra indole, il nostro vissuto, sono nei fatti diversi dal suo. Pur se, molto probabilmente, non saremo mai "un King". 

Il romanzo della vita non è in fondo una vita per il romanzo? 




Stephen King, foto tratta dl sito ufficiale dell'autore stephenking.com




lunedì 10 ottobre 2022

Sullo scrivere

"Di quanto ho perduto, irrimediabilmente perduto,

desidero recuperare solo la disponibilità

quotidiana della mia scrittura, righe capaci di

prendermi per i capelli e tirarmi su quando il

mio corpo non vorrà più farcela".


Roberto Bolaño, "Anversa"


Scrittura come pratica quotidiana e necessaria, quindi, per Bolaño, grande autore cileno. Con parole forti esprime tutto il suo essere e il suo modo di intendere la scrittura che si fa vita anche quando essa sfuma.