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venerdì 14 novembre 2025

La sorte, il tempo e Walter Benjamin


Succede di leggere in alcuni giornali di quei programmi televisivi in cui si possono vincere soldi senza alcun merito se non la fortuna, che non è un merito dovuto ad abilità, ma al caso. A volte è solo gossip, altre volte invece riportano come candidarsi, i requisiti richiesti per partecipare, come un'offerta di lavoro qualsiasi. Bisogna tuttavia dire che non si tratta di offerte di lavoro, anzi, non si tratta proprio di offerte. Dietro ogni offerta si cela il dramma e l'ebbrezza. 

Walter Benjamin, filosofo, scrittore e critico letterario tedesco — morto nel 1940 e il cui lascito intellettuale ha permesso una chiave di accesso al nostro contemporaneo — sosteneva che il giocare d'azzardo, cioè tentare la sorte all'unico scopo di aggiudicarsi somme di denaro, si modella sul sempre-uguale, sulla ripetizione, come un operaio automa di fronte alla macchina, in questo sì come il lavoro. 

Tra i numerosi temi da lui affrontati, il principale è la critica alla modernità capitalistica, che trova espressione letteraria nell’opera del maggior poeta della «Parigi capitale del secolo XIX», ossia Charles Baudelaire (1821-1867). Un libro che offre l'immagine più articolata del pensiero di Benjamin in proposito è Charles Baudelaire. Un poeta lirico nell'età del capitalismo avanzato.
Benjamin sceglie il vate francese non tanto o non solo per la sua estetica decadente, quanto perché nei suoi testi — soprattutto nei poemetti in prosa, Le spleen de Paris —ravvisa unicità di sguardo nei confronti di chi viveva ai margini della società. Facendo per la prima volta della folla urbana un soggetto poetico, egli rappresenta le contraddizioni della vita metropolitana e per Benjamin è così che l'artista ha percepito la “Ville Lumière”. Gesti, ripetizioni, azioni, in un vortice che travolge il flâneur, colui che si ritrova immerso nella città, come in un sogno a occhi aperti. Questo choc diventa un nuovo modo di fare esperienza del moderno, completamente diverso dal precedente. 

Nell'esortazione all'ebbrezza di Baudelaire contenuta nel noto passo: «Bisogna essere sempre ubriachi. Tutto sta in questo: è l’unico problema. Per non sentire l’orribile fardello del Tempo che vi spezza le spalle e vi piega verso terra, ubriacatevi senza tregua! Di vino, di poesia o di virtù, come vi pare» Benjamin vi legge così una ribellione implicita verso il tempo meccanizzato del lavoro. 

Forse è questo: nel tentare la sorte si nasconde una ribellione contro il tempo. 



Walter Benjamin nel 1928 (fonte immagine: Wikipedia) 

mercoledì 29 gennaio 2025

Scrivere poesie dopo l'indicibile. Paul Celan e Theodor W. Adorno nel saggio di Paola Gnani



Il saggio Scrivere poesie dopo Auschwitz (Giuntina, 2010) della germanista Paola Gnani ricostruisce ed esamina nel dettaglio il complesso legame intellettuale fra due grandi personalità del Novecento. La questione, interessante, nacque da una frase diventata celebre del filosofo tedesco di padre ebreo e madre cattolica Theodor W. Adorno (il cognome è quello materno, l'altro è solo abbreviato) che dichiarò nel testo Critica della cultura e della società del 1949: «Scrivere una poesia dopo Auschwitz è barbaro e ciò avvelena la stessa consapevolezza del perché è diventato impossibile scrivere oggi poesie».

Il ragionamento era piuttosto articolato, ma quando c'è un nucleo difficile da ridurre si semplifica in un concetto e infatti così accadde, come succede anche adesso quando si estrapola da un discorso. Intendeva porre il problema della possibilità di una forma di pensiero e del bello che produce, come fa la poesia, dopo gli orrori dell'Olocausto. 

Invece un poeta, Paul Celan, pseudonimo di Paul Antschel, nato in Romania nel 1920 da famiglia ebrea tedesca, era mosso dall'urgenza della sua arte. Sopravvisse ai lavori forzati mentre i genitori morirono in un lager. Per dare voce a tutti coloro che non avevano più voce utilizzava i versi, da lui considerati come un tributo alla verità. 

Il punto di vista del primo espresso quando ancora non aveva letto nulla del secondo (tanto è vero che dopo ne riconobbe il grande valore) li divise e al contempo unì senza mai parlarsi direttamente, se non a distanza. L'attenzione dell'uno nei confronti dell'altro continuò a sussistere, nonostante le divergenze di opinione e atteggiamento. Adorno mitigò la sua affermazione negli anni successivi ammettendo con rammarico che le sue parole erano state prese alla lettera, ma l'interrogativo sul destino dell'arte dopo quella che fu vista come una sentenza, da Celan in particolare, rimase a lungo e animò artisti e intellettuali dell'epoca. 

Paul Celan lottò con tutte le forze per vedere riconosciuta dignità alla propria opera. La vita oltretutto gli diede colpi durissimi - la morte prematura del primo figlio appena nato e una falsa accusa di plagio - e cadde negli abissi della malattia mentale. Nel 1970 all'età di 50 anni decise di lasciarsi andare per sempre nelle acque della Senna. Viveva infatti a Parigi, sebbene continuò a scrivere in lingua tedesca. 

Per ironia della sorte, Adorno fu vittima anch'egli di una campagna diffamatoria rivelatasi in seguito infondata che andò a minare le sue già precarie condizioni di salute. Morirà un anno prima del poeta. 

I titoli dei capitoli corrispondono ad alcune bellissime liriche di Celan e quelle rilevanti per l'argomento vengono spiegate dall'autrice. 



Paul Celan (foto di Gisèle Celan-Lestrange, S. Fischer Verlag GmbH)



Theodor W.Adorno (Halbportrait – 1964)


mercoledì 6 dicembre 2023

Paul Celan e Ingeborg Bachmann

Attendere: anche questo ho considerato. Ma non significherebbe anche attendere che la vita in qualche modo venga verso di noi? E la vita non ci viene incontro, Ingeborg, attendere che ciò accada sarebbe per noi il modo meno adatto di esserci. 

Paul Celan in una lettera a Ingeborg Bachmann