Perché si scrive? Perché scrivo? Domanda che uno a volte si sente fare o si fa tra sé. Domanda rischiosa perché rischiosa e varia è la risposta. Ci sono diversi motivi per i quali una persona scrive. Per rivalsa, per sentirsi importanti, per passatempo oppure a scopo terapeutico.
Non c'è un senso nello scrivere, come non c'è un senso nell'arte. Forse però è proprio ciò che non ha senso ad avere un senso. Come la vita. Allora si potrebbe dire che l'arte è vita.
Una fra le risposte più genuine su questo punto l'ha data Vitaliano Trevisan (1960-2022) e non poteva essere altrimenti. L'autore veneto era fuori da schemi preordinati, estraneo a circoli autocompiaciuti e compiacenti e voce fuori dal coro della narrativa italiana:
«Perché scrivi? Io la guardo nei suoi occhi azzurri, poi guardo lo scrittore, dunque guardo di nuovo lei, quindi di nuovo lui, e lui, invece di venirmi in aiuto dice: già, volevo chiedertelo anch’io, ma visto che te l’ha chiesto lei… perché scrivi? Non solo non mi ha aiutato, penso, ma mi ha addirittura rifatto la domanda, e me l’ha rifatta in presenza della sua allieva che sta per essere pubblicata nell’antologia di under venticinque di Transeuropa che lui stesso cura insieme a Brizzi e alla Ballestra; allieva che lui stesso ha invitato, mettendomi in grandissimo imbarazzo, perché avendo letto le mie cose mi voleva conoscere, e me l’ha rifatta con la stessa serietà con cui un attimo prima mi era stata posta dall’under venticinque! Perché respirate? chiesi allo scrittore e alla sua allieva, nello studio dello scrittore. D’altronde non si può mica pretendere che uno risponda seriamente a una domanda del genere, pensavo aspettando l’ascensore. Gli ascensori non arrivano mai, e gli ascensori dell’ospedale arrivano anche più tardi degli altri».
(da Un mondo meraviglioso, Einaudi, 2003).
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Immagine: Vitaliano Trevisan (fonte, sito Adi).




