venerdì 27 giugno 2025

La truffa

 Quello che doveva essere è sempre stato e quello che è sempre stato non cambiava. Ci provai con tutte le mie forze a dare una svolta alla mia vita. Davvero. Ma dovevo avere pazienza per quanto ne avessi già avuta abbastanza e fare per bene. Tutti potevano avere occhi e orecchie e io dovevo comportarmi in modo assolutamente normale. Più facile a dirsi che a farsi. Né troppo tesa, né troppo sciolta. Né troppo felice, né troppo triste. Per prima cosa dovevo pensare a me stessa e questo era già da solo un evento; di ciambella ne prenderò una anziché due, decisi decisa, ma una la dovevo mangiare per forza altrimenti sarei svenuta all’improvviso. Non ero abituata, ma mi sarei abituata presto; tenere fermo il proposito, e così è stato. Già molto. Una volta dentro al panificio ho chiesto: Una sola ciambella per favore, e quattro panini, ben cotti, quelli di ieri erano un poco crudi, sai, Paola?. E lei: Va bene, come preferisci, tesoro, ora guardo. Sei strana stamattina! Che hai, tutto bene? Strana io? Tutto bene, certo, ho detto con una prontezza che mai mi sarei aspettata. Non ero mai pronta. La chiamavo Paola e lei mi chiamava tesoro. Forse eccessiva quella prontezza perché anche nell’essere pronta non andava mai bene e pur come volevo essere, sbagliavo. Se non altro avrebbe smesso di chiamarmi tesoro.

Sono arrivata in filiale alle sette e cinquantacinque; il direttore era già nella sua piccola stanza, mi sono affacciata per salutarlo, si è voltato appena, come al solito senza dire nulla.  Ho girato di spalle e mi sono diretta verso la mia postazione. Mentre digitavo la password ho visto le mie mani tremare. Il computer sembrava persino sorridere. Nel frattempo il collega di pacchi e corrispondenza seduto alla mia sinistra è arrivato e mi ha guardato con quella sua aria di sufficienza, o insufficienza. Tanto pensavo che un semplice invio faceva o avrebbe potuto stravolgere i destini. Un banale comando e l’ordine si ristabiliva nel disordine. Finalmente potevo stabilirlo io, l'ordine per me, il disordine per gli altri. Avere il potere immenso di condurre il gioco. Assumermi il rischio. Perché no? Cos'è il rischio di essere scoperti se non godere nella scoperta. Era tutto a portata di mano, perfino troppo. Uno fra i tanti gesti conosciuti da diventare meccanici. Poter attraversare la rete, diventare parte dei tre zeri che stavo digitando.  Ho cercato di non pensare alla piega che stavano prendendo gli eventi in una rapida successione che mai mi sarei immaginata, ma era impossibile e non volevo neanche. Era tutto molto più bello di così, o lo sarebbe stato. Al rientro le nuvole erano scure e compatte. Eppure stamattina era una bellissima giornata, ho pensato. Ho affrettato il passo perché avevo paura che piovesse e di certo non avevo l’ombrello. La strada da percorrere non era tanta. Ho tutto vicino, casa-lavoro, lavoro-casa. Così, la mia vita da vent'anni. Per l'esattezza diciannove e quattro mesi. Ancora mi tremavano le mani e me ne sono accorta come ho appoggiato le chiavi nello svuota tasche a forma di cuore, nel mobile del disimpegno all’ingresso. Sono entrata nel cucinino e ho visto Molly che dormiva beata sulla sedia. Beata lei. L'odore del sugo impregnava le narici. Mi è parso bruciato e non sarebbe stata la prima volta. Sono tornata, ho detto a bassa voce. L'ho detto più che altro a me stessa. Si sentiva mia madre russare dalla porta aperta della sala. Ho visto da dietro i ciuffi grigi dei capelli che spuntavano dalla poltrona. La tele accesa. Mio padre dormiva in camera. Non c'era bisogno di vederlo, tutto era uguale come sempre. Avevo già in mano il cellulare. Ormai da quasi un anno ci vivevo col cellulare in mano; lo controllavo ogni cinque minuti, alle volte meno. Cosicché ho inviato il secondo messaggio. Nel primo avevo scritto: Ci siamo, ultima parte. Poi la solita frenetica mattinata con i clienti e i loro problemi insulsi e i colleghi ancora più insulsi dei clienti non mi aveva permesso di mandarne altri. Cosicché finalmente gli ho scritto: Amore mio, li abbiamo tutti quei maledetti che ci servivano. Che abbia inizio la nostra nuova vita, lontano da questo posto di merda. I love you. 

Che sia messo a verbale.




martedì 17 giugno 2025

Giorgio Manganelli e la scrittura come esercizio di libertà



Quando la morte lo coglie all'improvviso nel 1990, Giorgio Manganelli aveva pronto un dattiloscritto composto da saggi e interventi pubblicati fra il 1966 e quello stesso anno su diversi quotidiani e riviste, riguardanti i temi del leggere, dello scrivere e del recensire libri. Un corpus omogeneo, pensato e organicamente strutturato dallo scrittore: una vera e propria ‘raccolta d’autore’ poi divenuto un libro edito da Adelphi nel 1994. All'inizio il titolo doveva essere Frantumaxione di parole per decisione di chi si occupava di trascrivere il materiale, Ebe Flamini. Quando il testo è stato seguito per la stampa si è preferito, come spiega la curatrice Paola Italia, Il rumore sottile della prosa, titolo di uno degli articoli presenti, perché rendeva meglio cosa intendesse Manganelli per letteratura: lo spessore della pagina, l'intensità della scrittura. Qualità che hanno contraddistinto l'intera sua opera. Le parole non solo devono avere un senso, ma essere portatrici di un disegno. Ed è soltanto con l'inganno, con l'artificio che si può chiudere il cerchio. 

Manganelli rompe ogni legame con la tradizione letteraria e ha pochi eguali, ma numerosi seguaci; al di là alle legittime aspirazioni o degli accostamenti che vengono fatti dalla critica. È diventato anche un personaggio letterario, reso da Romana Petri in Cuore di furia (Marsilio, 2020). Lo stile manganelliano è labirintico, volutamente provocatorio. Un racconto-incantesimo che mescola il lirismo all’indagine filosofica, alternandolo alla dissertazione. Esplora la potenza del linguaggio come strumento di esorcismo, sottolineando che chi non padroneggia le regole della scrittura rischia di rimanerne schiacciato. Il suo rapporto con la parola è quello di un illusionista, un alchimista, capace di rendere la sintassi un organismo vivente, una “lava in perpetuo movimento” che si anima nella scrittura, nella lettura e nella rilettura. Tre concetti chiave di un intenso percorso. La prosa di Giorgio Manganelli è un’esplorazione vertiginosa della lingua, un gioco di costruzione e de-costruzione che affonda le radici nella letteratura rinascimentale e barocca. Così facendo trasforma la scrittura in un esercizio di disobbedienza, demolisce l’idea che la letteratura debba avere intenti educativi, meno che mai moralistici. “L'estrosità intellettuale si guasta come un niente”. Non ultimo è l'affondo spietato e ironico nei confronti dei successi letterari (o insuccessi) e dei premi.

Giorgio Manganelli ci insegna dunque a non avere paura della complessità, a non fermarci all'ovvio, ad andare oltre il puro e semplice dualismo del mi piace/non mi piace. Perché uno sguardo critico «introduce oscurità dove è illusoria chiarezza, porta notte dove è la menzogna del giorno, cattura e tesaurizza l’errore dove apparentemente si dà pertinenza»

(anche su Gli Stati Generali, link all'articolo Giorgio Manganelli e la scrittura come esercizio di libertà)




Sopra, un'immagine di Giorgio Manganelli (fonte, Modlet). 









lunedì 9 giugno 2025

Invisibili sogni

Nessun luogo mi lega, e tutto mi lega. 
Desiderio senza fine, con un fine. 
Smanio per qualcosa che non so cosa sia nell'infinito accadere -
Vivo di sogni sognati e vedo ciò che non sento
Hanno chiuso le porte ma non ho chiavi, mi hanno vietato i banchetti. Hanno scoperchiato i tombini. 
Nella via ritrovata non c'è il numero. 
Mi sono svegliata nella stessa vita in cui mi ero addormentata e non l'ho più riconosciuta
I miei sogni si sono sentiti falsi per essere stati sognati. La vita desiderata mi raggela - persino la vita.
Comprendo a intervalli sconnessi; penso nella mente e scrivo. 
Il vento mi scaraventa su una spiaggia sconosciuta
Non so quale destino o quale futuro spetti alla mia incertezza senza direzione; 
Invisibile sogno. 
È nel profondo del mio spirito, dove sogno ciò che ho sognato, nei campi estremi dell'anima in cui rammento senza una causa, nelle strade lontane dove ho ipotizzato di essere, fuggono ormai smantellati gli ultimi rimasugli di illusioni perdute,
i miei eserciti sognanti, sconfitti in partenza. 
Un'altra volta ti rivedo, 
città lontana dell'infanzia, ancora una volta sono qui a sognare. Ma sono lo stessa che torna. La stessa che sono. 
Ti vedo orizzonte invisibile 
con il cuore distante da me
Un'altra volta ti rivedo e tutto passa e quanto più passa, resta. 
Errante dovunque vada, cammino, stancamente cammino 
Un'altra volta ti rivedo, ombra che passa fra altre ombre, e riluce un istante sotto le tenebre, ed entra come la scia di una nave che si perde nelle acque nere. 
Un'altra volta ti rivedo, città dei sogni. 
È in frantumi lo specchio magico in cui mi guardo, e in ogni frammento eterno vedo soltanto pezzi di me - pezzi di noi. 

 
Salvador Dalí, L'uomo invisibile, 1929-32, Olio su tela, 140x80 cm, Museo Nacional  Centro de Arte Reina Sofia di Madrid 

sabato 7 giugno 2025

Flannery O'Connor e l'arte di scrivere - Citazioni

Brano tratto da Un ragionevole uso dell'irragionevole. Saggi sulla scrittura e lettere sulla creatività, Minimum Fax, 2019, cap. "Natura e scopo della narrativa". 


San Tommaso chiamava l’arte «ragione in atto». È una definizione molto fredda e molto bella, e se oggigiorno è impopolare, è perché la ragione ha perso terreno fra noi. Come la grazia e la natura sono state separate, così è stato per l’immaginazione e la ragione, e questo significa sempre la fine dell’arte. L’artista usa la propria ragione per trovarne una corrispondente in tutto quel che vede. Per lui, essere ragionevole è trovare, nell’oggetto, nella situazione, nella sequenza, lo spirito che li rende tali. Non è cosa facile, né semplice. È un’invasione dell’eterno, e viene fatta solo con la violenza di un rispetto assoluto per la verità. Ne deriva che non esiste una tecnica da scoprire e applicare che renda possibile scrivere. Se frequentate una scuola dove si tengono corsi di scrittura, dovrebbero insegnarvi non a scrivere, ma piuttosto i limiti e le potenzialità delle parole, e il rispetto loro dovuto. 



 
    Flannery O'Connor e i suoi amati pennuti 



 


mercoledì 28 maggio 2025

"Il crepuscolo dei pensieri", di E.M. Cioran (sul Culturificio)

Ho scritto una riflessione sul filosofo-saggista Emil Cioran, a partire da "Il crepuscolo dei pensieri", Adelphi, 2024.

Link all'articolo pubblicato sul Culturificio Il crepuscolo dei pensieri




Emil Cioran 



venerdì 9 maggio 2025

Il talento nella serie tv sulla danza, Étoile (su Gli Stati Generali)

 Scrivo oggi di talento su Gli Stati Generali, prendendo spunto da una serie tv sul mondo della danza classica , uscita il 24 aprile scorso su Prime Video.

Link all'articolo: Étoile






martedì 29 aprile 2025

L'alchimia del sommelier (un vecchio, vecchissimo racconto)


Si era svegliato molto prima del previsto. All’emozione si era aggiunta una notte afosa di tarda primavera che aveva peggiorato la situazione. Aveva contato tutte le ore e alle sei aveva deciso di alzarsi. Alle nove e trenta avrebbe sostenuto l’esame per diventare sommelier professionista. Era approdato a questo traguardo poco alla volta, fino a dargli un significato più consapevole, ovvero quanto è scritto. Tra destino e volontà. 

Aveva iniziato facendo il cameriere stagionale godendosi il sole una volta a settimana, e quando di anni ne hai diciassette quel giorno libero diventa una goliardata lunga ventiquattr’ore, non avrebbe mai pensato di diventare sommelier. Non sapeva nemmeno cosa fosse, un sommelier. Sempre disponibile e cortese anche quando stanco, i piedi gonfi e indolenziti, e i turisti che chiedono l’inverosimile e quanto più sono ricchi più lo pretendono. A Giorgio, barba e capelli rossi dorati, ereditati dal nonno materno, non pesava e faceva tutto con una tale naturalezza e senza sforzo da fare invidia ai colleghi. La prima esperienza con Amedeo, patron e chef del piccolo ristorante omonimo, gli insegnò la cura e l'attenzione, e l'arte per gli accostamenti all'olfatto e al gusto. Il 2005 poi, la svolta.  Era ancora  precario e aveva anche superato quel fatidico esame, quando Giacomo, compagno di classe all'Alberghiero, con cui era rimasto in contatto, diventato eccellente pizzaiolo, gli disse di aver saputo dal socio Tullio, che un ristorante della città ambiva alla fatidica “stella”. I proprietari stavano studiando il progetto da tempo e avevano questa ambizione. Cercavano un sommelier professionista per un’assunzione stabile. 

-   Provo, rispose, con un po’ di titubanza.

- Devi, perché te l’ho detto? scemo, fece Giacomo.  

Si trovò di fronte una coppia dolce e affiatata i cui cognomi uniti, quello di lui sardo, quello di lei, ligure, secondo Giorgio davano una parvenza di nobiltà: Camerada-Parodi. Il colloquio glielo fecero insieme. Sarà che aveva una visione romantica dell'amore, aspettava ancora di trovarlo, il grande amore della sua vita, ma già la stretta di mano di entrambi gli diede fiducia. I dettagli si nascondono dappertutto, come nel vino, pensò. Fu reciproco, ma questo non lo seppe subito.

Dopo due settimane, faceva parte dello staff del ristorante Il faro di Terranova, il cui nome non era dedicato ad alcun faro della zona, ma faceva riferimento al romanzo della scrittrice preferita della proprietaria: Virginia Woolf. Dovrò leggerlo, pensò Giorgio quando seppe. Una particolare alchimia lo legò da subito a quel posto. Un locale raffinato, dalle linee minimal. Non era l’aver trovato un lavoro fisso, come pregava la madre che quando ebbe la notizia non proferì parola, fece soltanto un sospiro di sollievo, fu un qualcosa in più. L’alchimia è un po’ come la chimica: le spiegazioni arrivano quando la combinazione giusta si è materializzata ai tuoi occhi e devi trovarne in qualche modo le fondamenta. La signora Parodi ama ricordare ancora adesso di quella volta che il suo dipendente fece breccia con un cliente fra i più esigenti: Palmieri, noto penalista, che offriva la cena di fine anno ai suoi collaboratori. Proprio il severo dominus si lasciò andare a numerosi complimenti, cosa che non faceva mai, almeno espressamente, e non era conosciuto per la sua simpatia. Giorgio in questi casi arrossiva, ringraziava con un leggero inchino da orientale e si dirigeva spedito come una saetta verso un altro tavolo.

In una giornata di ottobre insolitamente fredda, una donna dal portamento fiero venne per pranzo, sola. Graziosa, di piccola statura, capelli neri lucidi raccolti in un chignon con un fiore giallo ocra che si abbinava perfettamente alla giacca. Il consiglio che Giorgio diede per iniziare il pasto fu un brioso Spéra di Siddura, per il menù di mare scelto. Di poche parole, la cliente si mostrò più difficile dell'avvocato Palmieri. L'ospite, come si seppe, era un’ispettrice incaricata di assegnare le stelle tanto ambite. Quella volta andò male. «Ci riproveremo» disse risoluto il signor Camerada. L’anno successivo ce la fecero. Una stella che ha brillato a lungo nella zona.

Oggi Giorgio non lavora più. La stanchezza e qualche acciacco gli stavano dando dei problemi. Vorrei essere come un vino invecchiato, invece sono solo vecchio, scherza con gli amici al bar. Non si è sposato e non ha avuto figli. Spesso, soprattutto la domenica, va a pranzo nel suo ristorante (lo considera così, tuttora) nonostante sia gestito da altri che gli hanno dato un nome che con la letteratura c'entra molto poco. L’unico figlio degli ormai ex titolari ha intrapreso una carriera nella finanza e di pietanze e abbinamenti non ne ha voluto sentir parlare, con un po’ di dispiacere mai celato dei genitori. Certe attività si tramandano di generazione in generazione e non sempre le cose, come tante altre cose, vanno come si vorrebbe.


                                                (foto dal web) 



domenica 27 aprile 2025

Antonio Gramsci e l'indifferenza alla Storia

Il messaggio di Antonio Gramsci contenuto nel testo Odio gli indifferenti si può considerare la summa, il manifesto del suo pensiero. Non per niente viene citato spesso, anche sui social. Come tutti i grandi pensatori però è meglio leggere, se non è possibile tutto, e tutto non sempre è possibile, almeno molto della vasta produzione, per comprenderlo appieno. Altrimenti rimane uno slogan per le pronte occasioni e le bacheche virtuali. 


Link all'articolo del 2019 su Solo Libri: Odio gli indifferenti















giovedì 24 aprile 2025

L'ultima dedica di Mario Vargas Llosa (su Gli Stati Generali)

Ho scritto dell'ultimo romanzo, ultimo o forse no, di Mario Vargas Llosa, su Gli Stati Generali.

La letteratura ha il potere di imprimere una direzione alla Storia? Con questo eterno interrogativo si è congedato Mario Vargas Llosa, in un libro intitolato al silenzio.

Link all'articolo Le dedico il mio silenzio



"I quattro musicisti", dipinto di Fernando Botero. 







sabato 19 aprile 2025

L'inno alla vita di Anna Maria Ortese - Citazioni

Brano tratto da Corpo Celeste di Anna Maria Ortese, Adelphi, 1997, p. 53

Sono lieta, in mezzo alle mie tristezze mediterranee, di essere qui. E dirvi com'è bello pensare strutture di luce, e gettare come reti aeree sulla terra, perché essa non sia più quel luogo buio e perduto che a molti appare, o quel luogo di schiavi che a molti si dimostra - se vengono a occupare i linguaggi, il respiro, la dignità delle persone. A dirvi come sia buona la Terra, e il primo dei valori, e da difendere in ogni momento. 



   Anna Maria Ortese





domenica 30 marzo 2025

La scrittura come un coltello, di Annie Ernaux (su Solo Libri)

La scrittura come un coltello, di Annie Ernaux. Premio Nobel per la letteratura nel 2022. Ne parlo su Solo Libri.

Link all'articolo La scrittura come un coltello



Annie Ernaux (fonte, Getty images)  

mercoledì 26 marzo 2025

Dal passato al presente - Citazioni

Scriveva Emil Cioran, in una lettera all'amico Arşavir (tratto da L'orgoglio del fallimento, Lettere ad Arşavir e Jeni Acterian, a cura di Antonio Di Gennaro, Mimesis, collana Volti, 2021, traduzione italiana di Magda Arhip e Laureto Rodoni):

Dieppe, 28 agosto 1972

Mio caro Arşavir,

condivido le tue opinioni disilluse sulle vacanze, su questa nuova religione, perché proprio di questo si tratta! – la peggiore. Negli ultimi anni non si può più viaggiare d’estate. È impossibile trovare una stanza da qualche parte. Milioni di persone in movimento. Una cosa del genere non accadeva dai tempi delle invasioni barbariche. Prima potevo visitare l’Inghilterra, la Spagna, l’Italia cambiando posto ogni giorno; ora non posso. Così ho concluso la mia carriera da turista. Sono qui, in riva al mare, in un luogo dove c’è poca gente, poiché fa freddo e la spiaggia è priva di sabbia… Meglio così! Vivere senza telefono, senza visite, senza connazionali, senza appuntamenti di qualsiasi tipo: è questo il paradiso. Non puoi immaginare il tempo che spreco a Parigi in chiacchiere. Gente di tutto il mondo viene lì, e io non vado da nessuna parte. Le ore che ho passato negli ultimi anni in conversazioni insipide, avrei potuto usarle per imparare il cinese o il sanscrito.


    Emil Cioran (fonte, Bridgeman images). 

lunedì 24 marzo 2025

Scrivere è un atto politico

Si scrive per essere letti da un pubblico, ho letto. 

Certo, certamente. Innegabile. 

Si scrive però anche se non si viene letti, altrimenti vorrebbe dire che ci si mette al tavolino solo e soltanto se sai che verrai letto da "un pubblico". Scrivere é un atto politico, ma questo l'ho già detto, proprio qui. Che non è politica, beninteso di nuovo, perché la politica ha bisogno di sostenitori. L'atto politico invece esiste lo stesso, è più forte di tutto e tutti. 

Se fosse uno solo che poi ci legge, che sia un revisore o un amico o uno sconosciuto, a nessuno verrebbe mai in mente di dire che un revisore, un nostro amico, e pure lo sconosciuto non valgono perché sono pochi. Mai e poi mai. Intanto hanno letto. Sono i primi lettori. Benché probabile rimangano gli unici. 

Che scrivere è un atto politico non lo dice la presente sottoscritta. Io lo penso e lo scrivo, è vero, e poco ho fatto. Questo blog è letto da pochissimi, ma non per questo non ci scrivo. Lo sostiene molto meglio e molto prima di me Annie Ernaux, che con la sua scrittura come atto politico ha vinto il Nobel o Cesare Pavese, al quale è dedicato il nome di questo blog, che ha dato la vita per la scrittura come atto politico. 

In caso contrario non avrebbero nemmeno cominciato, e in seguito proseguito, entrambi e altri, e non credo avessero in mente, almeno all'inizio, il numero dei loro lettori. 




sabato 22 marzo 2025

Wild swimming di Giorgia Tolfo (su Solo Libri)

Su Solo Libri scrivo di un esordio, quello di Giorgia Tolfo col suo Wild swimming (Bompiani, 2025), proposto da Laura Pugno per il Premio Strega di quest'anno. 

Link all'articolo  Wild swimming




mercoledì 19 marzo 2025

L'amore indissolubile nelle lettere di Salvatore Satta




[Dall'archivio di Solo Libri] 

«Laura, mia indissolubile compagna, io ti benedico per queste gioie improvvise che mi giungono dal tuo ricordo. Ogni lettera che leggo è un rivivere il tempo immemorabile che abbiamo insieme trascorso, ignoti prima l'uno all'altro, poi improvvisamente svelati nel nostro comune destino. Io credo che se questa gioia dovesse durare a lungo, di Bob non troveresti un giorno altro che il mito quasi pagano, poiché mi dissolverei in te, e altra sorte per me non vorrei».

Link all'articolo Mia indissolubile compagna

Salvatore Satta dimostra con le sue opere quanto diritto e letteratura viaggino su binari paralleli. Su questo si veda quanto espresso da Treccani on-line  https://www.treccani.it/enciclopedia/diritto-e-letteratura_(Enciclopedia-delle-scienze-sociali)/


Salvatore Satta e sua moglie, Laura Boschian (foto tratta dal "il manifesto"). 



martedì 4 marzo 2025

Le prime rivendicazioni per un mondo più giusto: da Olympe de Gouges a Franz Bernheim




 

La “questione femminile” emerse periodicamente in Europa durante il XVII e il XVIII secolo, soprattutto sul tema dell’educazione, sebbene i diritti delle donne non erano stati al centro di un’intensa discussione negli anni antecedenti le Rivoluzioni americana e francese. Diversamente da quanto avvenne per i protestanti, gli ebrei o persino gli schiavi, la condizione delle donne, infatti, non era stata argomento di approfondimento nelle discussioni pubbliche. I diritti per le donne figuravano a un livello inferiore della scala della “concepibilità” rispetto a quelli di altri gruppi. Questo disinteresse può essere dovuto al fatto che le donne non erano nemmeno considerate una minoranza, meno che mai perseguitata. Nonostante queste distinzioni fra categorie, i tempi si fecero maturi per tentare di superarle. Infatti nel 1791, ad opera della francese Olympe de Gouges (1748-1793) pseudonimo di Marie Gouze e nell'anno successivo ad opera dell’inglese Mary Wollstonecraft (1759-1797) verranno pubblicati due titoli particolarmente significativi, Declaration des drois de la femme et de la citoyenne e A Vindication of the Rights of Woman. La portata rivoluzionaria di questi testi lo si può capire dal fatto che gli stessi illuministi avevano un’idea della donna come vittima di emozioni, passioni e superstizioni, il cui comportamento era dettato dall’istinto quanto quello dell’uomo lo era dalla ragione.

Tra il 1789 e il 1795, con gli eventi che si susseguirono in Francia, tutti i club femminili vennero chiusi e proibiti alla partecipazione con un voto della Convenzione. Le motivazioni, neanche troppo velate, furono che le donne potessero ottenere la cittadinanza e i relativi diritti politici, costituendo una minaccia troppo forte per chi in quegli anni stava lottando per arrivare al potere. Le donne semplicemente non costituivano una categoria politica distinta.

Il più deciso assertore maschile dei diritti politici delle donne in quel periodo fu Condorcet, che già nel 1781 pubblicò un pamphlet nel quale chiedeva l’abolizione della schiavitù in un elenco che comprendeva proposte di riforma riguardante i contadini, i protestanti e il sistema di giustizia penale, nonché l’istituzione del libero scambio e la vaccinazione contro il vaiolo, ma le donne non le menzionò. Condorcet sfidò i suoi lettori a riconoscere che le donne avevano sempre avuto diritti e che le abitudini sociali le avevano rese cieche davanti a questa verità fondamentale. La questione suscitò il suo interesse soltanto dopo che era passato un anno dall’inizio della Rivoluzione e nove anni dopo il suo pamphlet, sostenendo che «O nessun individuo della specie umana gode di veri e propri diritti, oppure tutti godono degli stessi; e colui che vota contro il diritto di un altro, qualunque sia la sua religione, il suo colore o sesso, ha pertanto abiurato i propri diritti». 

Oltre Manica, c'era Mary Wollstonecraft che si dedicava ai modi in cui la tradizione e l'educazione avevano arrestato lo sviluppo femminile, polemizzando, anche in forma anonima, con quanti - ideologhi, filosofi, in particolare Edmund Burke - sostenevano il contrario.  Nel suo A Vindication of the Rights of Woman, già citato, collegò l’emancipazione della donna all’esplosione di tutte le forme di gerarchia nella società. «Io credo davvero» – disse Mary – «che le donne debbano avere propri rappresentanti, invece di essere arbitrariamente governate senza avere nessuna azione diretta che permetta loro di partecipare alle delibere del governo».

Sia Olympe de Gouges che Mary Wollstonecraft ebbero, è quasi scontato dirlo, una cattiva sorte: la prima venne condannata alla ghigliottina, come essere impudente e innaturale. La seconda venne denigrata pubblicamente in quanto donna libera e fuori dagli schemi. Insieme a William Godwin ebbe una figlia, che divenne nota come Mary Shelley (1797-1851) l'autrice del capolavoro Frankenstein.

A partire dalla seconda metà dell’Ottocento, soprattutto nel mondo anglosassone, e in particolare per opera di John Stuart Mill, riprende vigore la battaglia per l’eguaglianza uomo/donna, non solo intesa come eguaglianza giuridica ma anche come diritto all’indipendenza economica e culturale. Il pensiero liberale richiede tutele specifiche per la libertà degli individui, minacciata dal potere dello Stato, e dai poteri privati della famiglia, della comunità, del datore di lavoro.

Per contro, la nascente dottrina marxista critica un'impostazione ritenuta individualista e borghese e contribuisce alla costruzione dei diritti sociali, che saranno affermati per la prima volta nella Costituzione di Weimar del 1919, anche come sviluppo delle misure di assistenza pubblica già previste nella Germania di Bismarck a tutela dei lavoratori. L’avvento della società industriale aveva portato, infatti, grandi sconvolgimenti: la questione sociale suscitava notevoli preoccupazioni e aveva favorito la formazione di diversi movimenti associativi per la difesa delle condizioni di vita dei gruppi sociali oppressi o emarginati. Nello stesso periodo erano sorti, ancora una volta soprattutto nel mondo anglosassone, associazioni e movimenti femminili, alcuni dei quali si battevano per il riconoscimento del diritto di voto alle donne. Ma le dittature che si instaurano in Europa dopo la Prima Guerra mondiale travolgeranno la cultura dei diritti. 

All’indomani del primo dopoguerra vennero fatti due tentativi, entrambi falliti, di proclamare a livello internazionale il principio di uguaglianza tra individui. Il primo avvenne nel 1919. In occasione della elaborazione del Patto della Società delle Nazioni – e cioè del trattato internazionale che doveva porre le basi di una nuova comunità internazionale, dopo i disastri della prima guerra mondiale – la delegazione giapponese propose formalmente di inserire nel Patto una norma che prevedesse pari trattamento senza distinzioni di razza o nazionalità per tutti gli stranieri che avessero la cittadinanza di uno Stato membro della Società.

Quindi, una norma internazionale, inserita in un trattato fondamentale, avrebbe posto tutti gli stranieri su un piano di eguaglianza. Non si trattava, beninteso, di proclamare l’eguaglianza tra i cittadini di ciascuno Stato contraente, o tra questi e tutti gli stranieri; si trattava solo di non discriminare i cittadini degli altri Stati membri della Società, e solo essi, in base alla loro razza o nazionalità. Si era quindi lontani dalla consacrazione, a livello universale, del principio di eguaglianza, in quanto il passo avanti era solo limitato all’abolizione delle discriminazioni per razza o nazionalità. Malgrado la portata, come abbiamo visto ristretta, della proposta, essa venne rifiutata soprattutto per l’opposizione di Gran Bretagna, Australia e Stati Uniti, vale dire proprio quelle potenze occidentali nel cui seno erano stati concepiti i diritti umani. Significa che la comunità internazionale non era ancora matura per recepire quei valori .

Il secondo tentativo di proclamare a livello internazionale il rifiuto della discriminazione razziale avvenne nel 1933. Questa volta, però, lo scontro fu tra Stati occidentali e la questione non riguardò il trattamento degli stranieri, ma il rispetto dei valori della persona umana in quanto tale, in particolare la protezione delle minoranze. Infatti, i trattati stipulati dopo la Prima guerra mondiale proteggevano le minoranze linguistiche, razziali e religiose di alcuni Paesi dell’Europa centrale e orientale essenzialmente per esigenze politiche. Ma un episodio significativo segnò la crisi del tentativo di superare la dimensione politica e arrivare ad un’ottica ispirata ai diritti umani .

Nel 1933, come si diceva, un cittadino tedesco di origine ebrea si lamentò davanti al Consiglio della Società delle Nazioni delle violazioni – perpetrate dalla Germania – del trattato tedesco-polacco del 1922, nella parte in cui proteggeva le minoranze dell’Alta Slesia (allora appartenente alla Germania). Franz Bernheim, questo il nome, visse tra il 1931 e il 1933 in Alta Slesia, era stato licenziato da una società tedesca, come tutti gli impiegati ebrei. Nella sua petizione ricordò le varie leggi e ordinanze contro gli ebrei, emanate nell’aprile del 1933 dal governo tedesco, insistendo sul fatto che esse introducevano in tutta la Germania una grave discriminazione razziale. Bernheim venne subito contestato da parte del delegato tedesco  di non avere alcun legame con l’Alta Slesia, né di origine né di famiglia. Fu invece il rappresentante polacco che in un vigoroso intervento respinse le obiezioni tedesche osservando che, almeno dal punto di vista formale, il Consiglio non poteva che occuparsi della sorte delle minoranze ebraiche in Alta Slesia e che ci dev’essere un minimo di diritti che deve essere garantito a ogni essere umano, indipendentemente dalla razza, dalla religione o dalla lingua materna. Parole che all’epoca destarono scalpore .

La questione delle discriminazioni contro le minoranze non si fermò lì in quanto, qualche mese dopo, la Germania chiese all’assemblea della società delle Nazioni di sottoporre a una commissione dell’Assemblea stessa il rapporto annuale della Società nella parte relativa alle minoranze. La questione venne quindi ripresa in seno alla VI Commissione dell’Assemblea. In quella sede si accese un vivace dibattito su una questione di principio: se in ogni Stato civile moderno tutti i cittadini dovessero godere di un eguale trattamento, sia in diritto che in fatto. La maggior parte degli stati rispose affermativamente; solo la delegazione tedesca affermò, invece, che uno Stato sovrano aveva il diritto di considerare un simile problema come una questione interna. 

Tra gli Stati più avanzati, una posizione di punta fu presa dalla Francia che fece due proposte: riaffermare il principio che tutti gli Stati non legati da trattati sulle minoranze dovevano considerare le loro minoranze “almeno con lo stesso grado di giustizia e di tolleranza” richiesto da quei trattati. Inoltre la Francia proponeva di affermare che, se uno Stato aveva stipulato un trattato sulle minoranze, le clausole di quel trattato non andavano interpretate nel senso di escludere certe categorie di cittadini dai benefici delle clausole stesse; in altri termini, le minoranze all’interno di uno Stato erano protette anche se non si trovavano nei territori designati in termini esclusivi dai trattati.

Il riferimento all’affare Bernheim era evidente: secondo la proposta francese, la Germania doveva trattare senza discriminazione gli ebrei tedeschi, anche al di fuori dell’alta Slesia, e cioè in tutta la Germania. Non deve dunque stupire che il delegato tedesco sia insorto contro quella proposta, affermando che essa “aveva direttamente di mira la questione ebraica in Germania”. Anche se migliorata dal delegato greco Politis, la proposta francese fu dunque respinta dalla Germania, nella parte di cui stiamo parlando. In virtù dell’art. 5 del Patto della Società (secondo cui le delibere dell’Assemblea potevano essere adottate solo “con l’approvazione di tutti i membri”), la proposta francese fu bocciata .

Questo episodio dimostra che ancora nel 1933, la sovranità nazionale si opponeva al rispetto pieno dei diritti umani per tutti. Che il principio di uguaglianza – la base stessa di tutti i diritti e le libertà fondamentali – non era ancora considerato come uno dei capisaldi imprescindibili di ogni convivenza umana. Non è un caso che il voto contrario della Germania alla proposta francese sia stato dato l’11 ottobre 1933, e solo tre giorni dopo, il 14 ottobre, Hitler abbia radiotrasmesso il famoso discorso con cui annunciava il ritiro della Germania dalla Società con la motivazione che gli altri Stati non erano disposti ad accordare “una reale eguaglianza di diritti alla Germania” ma la lasciavano in una posizione “non dignitosa”. Hitler protestava per una discriminazione in campo internazionale certamente meno grave di quella che lui stesso operava, in Germania, contro certe categorie di cittadini tedeschi .

L’isolamento della Germania sulla questione della minoranza ebraica non fu certo la causa del suo ritiro dalla Società, tanto più che proprio le norme della Società le avevano consentito di bloccare una risoluzione che di fatto la condannava. Ma è significativa la coincidenza tra la rottura della Germania con i postulati essenziali del vivere civile – anche se si trattava ancora di norme etiche – e la sua uscita da quell’organismo che aveva voluto raggruppare tutti gli Stati “civili”.

Sinistra coincidenza, dunque, che mette in evidenza il nesso tra l’imbarbarimento nazista e il diniego totale dei diritti umani .

Il rispetto della dignità umana trovò, dunque, la prima pietra di inciampo nella ferma presa di posizione della Germania, volta a sostenere che la sovranità nazionale non tollerava alcuna ingerenza internazionale negli affari interni. La rottura – su questo e su altri punti, non meno significativi – tra la Germania ed il resto della comunità internazionale porterà poi allo scoppio della Seconda Guerra mondiale.


Bibliografia

A. Cassese, I diritti umani nel mondo contemporaneo, Laterza, Bari, 1994.

M. Flores, Storia dei diritti umani, Il Mulino, Bologna, 2008.

L. Hunt, La forza dell’empatia. Una storia dei diritti dell’uomo, Laterza, Bari, 2010.

G. Oestreich, Storia dei diritti umani e delle libertà fondamentali, Laterza, Bari, 2001.

M. Wollstonecraft, A Vindication of the Rights of Woman (titolo in italiano: Sui diritti delle donne).

Per un approfondimento sulla petizione di Franz Bernheim: https://www.southcoastview.co.uk/news/the-bernheim-petition/


                                  

                                       


Ultima pagina della petizione di Bernheim (foto tratta dal sito https://www.southcoastview.co.uk/)




Frontespizio originale di A Vindication of the right of woman

mercoledì 29 gennaio 2025

Scrivere poesie dopo l'indicibile. Paul Celan e Theodor W. Adorno nel saggio di Paola Gnani



Il saggio "Scrivere poesie dopo Auschwitz" (Giuntina, 2010) della germanista Paola Gnani ricostruisce ed esamina nel dettaglio il complesso legame intellettuale fra due grandi personalità del Novecento. La questione, interessante, nacque da una frase diventata celebre del filosofo tedesco di padre ebreo e madre cattolica Theodor W. Adorno (il cognome è quello materno, l'altro è abbreviato con la doppia vu) che dichiarò nel testo "Critica della cultura e della società" del 1949: «Scrivere una poesia dopo Auschwitz è barbaro e ciò avvelena la stessa consapevolezza del perché è diventato impossibile scrivere oggi poesie».

Il ragionamento era piuttosto articolato, ma quando c'è un nucleo difficile da ridurre si semplifica in un concetto e infatti così accadde, come succede anche adesso quando si estrapola. Intendeva porre il problema della possibilità di una forma di pensiero e del bello che produce dopo gli orrori dell'Olocausto. 

Invece un poeta, Paul Celan, pseudonimo di Paul Antschel, nato in Romania nel 1920 da famiglia ebrea tedesca, era mosso dall'urgenza della sua arte. Sopravvisse ai lavori forzati mentre i genitori morirono in un lager. Per dare voce a tutti coloro che non avevano più voce utilizzava i versi, da lui considerati come un tributo alla verità. 

Il punto di vista del primo espresso quando ancora non aveva letto nulla del secondo (tanto è vero che dopo ne riconobbe il grande valore) li divise e al contempo unì senza mai parlarsi direttamente, se non a distanza. L'attenzione dell'uno nei confronti dell'altro continuò a sussistere, nonostante le divergenze di opinione e atteggiamento. Adorno mitigò la sua affermazione negli anni successivi ammettendo con rammarico che le sue parole erano state prese alla lettera, ma l'interrogativo sul destino dell'arte dopo quella che fu vista come una sentenza, Celan in particolare, rimase a lungo e animò artisti e intellettuali dell'epoca. 

Paul Celan lottò con tutte le forze per vedere riconosciuta dignità alla propria opera. La vita oltretutto gli diede colpi durissimi - la morte prematura del primo figlio appena nato e una falsa accusa di plagio - e cadde negli abissi della malattia mentale. Nel 1970 all'età di 50 anni decise di lasciarsi andare per sempre nelle acque della Senna. Viveva infatti a Parigi, sebbene continuò a scrivere in lingua tedesca. 

Per ironia della sorte, Adorno fu vittima anch'egli di una campagna diffamatoria rivelatasi in seguito infondata che andò a minare le sue già precarie condizioni di salute. Morirà un anno prima del poeta. 

I titoli dei capitoli corrispondono ad alcune bellissime liriche di Celan e quelle rilevanti per l'argomento vengono analizzate dall'autrice. 



Paul Celan (foto di Gisèle Celan-Lestrange, S. Fischer Verlag GmbH)



Theodor W.Adorno (Halbportrait – 1964)