La mamma mi diceva quando ero bambino: sei il mio chicco di caffè. Mi piaceva sentirmi chiamare così e anche se conoscevo la storia a memoria me la facevo ripetere prima di addormentarmi. Non sempre però, ma solo quando la nonna era andata via e lei non era rientrata troppo tardi dal suo turno all’ospedale.
Una mattina, diceva la mamma sedendosi al bordo del mio letto, ho provato una irrefrenabile voglia di caffè. In casa non ne avevo perché non mi piaceva. Sono uscita di fretta per andare al bar sotto casa dimenticando di cambiarmi. Indossavo una tuta e le pantofole e avevo i capelli in disordine. C’era molta gente al banco e mi sono fatta largo. Tutti mi hanno guardato il pancione, anzi solo quello. Quando hai il pancione nessuno protesta e ti sorridono sempre. Ho alzato la mano come una scolaretta e ho detto al barista, un caffè lungo per favore! Mentre lo preparava osservavo i suoi gesti e nell’attesa mi toccavo il collo. Lui intanto ha messo il piattino sul banco e dopo pochi minuti la tazzina col caffè. Ho aggiunto lo zucchero e infine l’ho sorseggiato lentamente e mi è piaciuto. Non era poi così male. Ho pagato e sono rientrata a casa. Mi sono stesa sul divano e ho contato i giorni che ancora mi separavano da te. Saremo felici insieme, io e lui, mi sono detta, cioè io e te. Saremo felici.
Così finiva il racconto della mamma, e diceva due volte saremo felici. E due volte lo siamo stati, infatti.
Ho una macchia scura sul collo, grande quanto un chicco. Quindi piccola. Non ci sono risposte sul perché io abbia una macchia sul collo che sembra un chicco di caffè. Non so nemmeno se perché, come dicono, la mamma quel giorno ha avuto voglia di caffè e si è toccata il collo. Ma quando lo sfioro penso a lei, mi sembra di sentire la sua voce e ora racconto la storia del chicco di caffè ai miei figli.