domenica 27 aprile 2025

Antonio Gramsci e l'indifferenza alla Storia

Il messaggio di Antonio Gramsci contenuto nel testo Odio gli indifferenti si può considerare la summa, il manifesto del suo pensiero. Non per niente viene citato spesso, anche sui social. Come tutti i grandi pensatori però è meglio leggere, se non è possibile tutto, e tutto non sempre è possibile, almeno molto della vasta produzione, per comprenderlo appieno. Altrimenti rimane uno slogan per le pronte occasioni e le bacheche virtuali. 


Link all'articolo del 2019 su Solo Libri: Odio gli indifferenti















giovedì 24 aprile 2025

L'ultima dedica di Mario Vargas Llosa



La letteratura ha il potere di imprimere una direzione alla Storia? Con questo eterno interrogativo si è congedato Mario Vargas Llosa, in un romanzo intitolato al silenzio.

La metafora del silenzio infatti è il filo conduttore dell’ultimo libro di Mario Vargas Llosa, morto il 13 aprile scorso lasciando un vuoto nella letteratura sudamericana e mondiale. Proprio di recente la casa editrice che lo pubblica in Italia, Einaudi, ha dichiarato che in autunno uscirà postumo un romanzo breve, I venti.

Le dedico il mio silenzio, è uscito nel 2024 nella traduzione di Federica Niola e ha come protagonista Toño Azpilcueta, di origini improbabili, cognome basco e padre italiano; è un personaggio malinconico e bizzarro con la fobia per i roditori, ma il più grande esperto di musica peruviana.

Gli accademici però ignorano Toño Azpilcueta, sebbene lui non senta di valere meno di loro. Oltre a scrivere articoli per cui viene pagato pochissimo, impartisce lezioni di Disegno e Musica tenute al Colegio del Pilar in un quartiere di Lima molto distante dal suo. In cambio riceve istruzione gratuita per le sue due figlie, Azucena e María, di dieci e dodici anni. Un giorno riceve una telefonata inaspettata proveniente da un famoso intellettuale, il dottor José Durand Flores, che lo invita a seguire il concerto di quello che considera il miglior chitarrista che sia mai esistito, Lalo Molfino il nome, ma Toño incredibilmente non ne ha mai sentito parlare. Accetta «senza immaginare che l’invito gli avrebbe rivelato una verità che fino a quel momento aveva solo intuito».

Dopo aver ascoltato Molfino suonare e aver provato sensazioni ed emozioni uniche e soprattutto dopo che il geniale musicista improvvisamente muore, per giunta nell’indifferenza generale, vuole rendergli giustizia, e decide di scrivere un libro su di lui. Per farlo dovrà recarsi nei luoghi dove Molfino è cresciuto, a Puerto Eten, paesino costiero sperduto situato a Nord del Paese. Porta avanti l’ambizioso progetto come una missione, e può farlo grazie alla moglie, Matilde, che pensa al sostentamento della famiglia con lavoretti precari e all’amico e conpadre Collau che gli dà fiducia e lo aiuta economicamente ad affrontare il viaggio. Il periodo non è dei migliori per la Nazione, già segnata da contrasti e lacerazioni sociali profonde. Le violenze e gli attentati di Sendero Luminoso, movimento rivoluzionario fondato da Abimael Guzmán, imperversano.

Il nostro però non vuole realizzare solo una biografia di Lalo Molfino, ma un vero e proprio trattato sul folklore peruviano, visto quest’ultimo come strumento di pace e unione fraterno. La stesura si rivelerà ben presto più complessa del previsto. L’autore sembra non essere mai soddisfatto del lavoro svolto, continue sono le aggiunte per migliorarlo. Vuole che sia perfetto. Ultimata l’opera si pone il problema di convincere un editore, e infine il pubblico, delle sue argomentazioni.

La huachafería – letteralmente “pacchianeria”, un tratto che accomuna la maggior parte dei peruviani di ogni estrazione, ma è in particolare espressione di identità – e il vals criollo – tipico valzer dalle caratteristiche seducenti – provengono dalla fusione di etnie diverse: europee, andine e africane.

I luoghi dove si formarono i primi ballerini e chitarristi erano delle anguste stanzette, i callejones, dove vivevano stipate persone che con tutta la famiglia si trasferivano dai villaggi verso la capitale, alla ricerca di lavoro. Nessuno avrebbe mai pensato che in quei locali avrebbero trovato dimora le musiche popolari, eppure è accaduto. Così come la storia d’amore emblematica, definita “esempio empirico” dal narratore, fra Toni Lagarde, un ragazzo di Miraflores di buona famiglia e la negrita Lala Solórzano, ballerina del vals, nonché figlia di genitori umili che abitavano in un callejón. Nessuno avrebbe scommesso sui due; invece il loro è stato un matrimonio felice e duraturo. Sono rimasti uniti nonostante le barriere, contro e oltre ogni pregiudizio culturale e razziale:

«Ma i genitori di Toni non lo perdonarono mai. Erano testardi, di quelli che mantengono i loro rancori a oltranza, e gli chiusero per sempre le porte di casa loro».

Tra contenuti romanzeschi e saggistici (e alternando narrazione in prima e terza persona) Vargas Llosa costruisce una metanarrazione tra il mito e il reale, tra magia e memoria storica, dove si mischiano personaggi esistenti, come la cantante Cecilia Barraza, di cui Toño è segretamente innamorato, e personaggi di fantasia.

Non riconosciuti entrambi dalla società, Lalo e Toño rappresentano un popolo emarginato, ma mai sconfitto. Forse un libro non cambierà il mondo, ma potrà gettare un seme per le generazioni future. Sembra essere questo l’ultimo messaggio di speranza e sogno del Premio Nobel per la letteratura 2010.


(Anche su Gli Stati Generali, link all'articolo le-dedico-il-mio-silenzio-di-mario-vargas-llosa/)


                           


I quattro musicisti, dipinto di Fernando Botero, si trova nella copertina del libro







sabato 19 aprile 2025

L'inno alla vita di Anna Maria Ortese

Brano tratto da Corpo Celeste di Anna Maria Ortese, Adelphi, 1997, p. 53

Sono lieta, in mezzo alle mie tristezze mediterranee, di essere qui. E dirvi com'è bello pensare strutture di luce, e gettare come reti aeree sulla terra, perché essa non sia più quel luogo buio e perduto che a molti appare, o quel luogo di schiavi che a molti si dimostra - se vengono a occupare i linguaggi, il respiro, la dignità delle persone. A dirvi come sia buona la Terra, e il primo dei valori, e da difendere in ogni momento. 



                     





mercoledì 16 aprile 2025

domenica 30 marzo 2025

La scrittura come un coltello, di Annie Ernaux (su Solo Libri)

La scrittura come un coltello, di Annie Ernaux. Premio Nobel per la letteratura nel 2022. Ne parlo su Solo Libri.

Link all'articolo La scrittura come un coltello



Annie Ernaux (fonte, Getty images)  

mercoledì 26 marzo 2025

L'attualità di Cioran sul turismo

Scriveva Emil Cioran, in una lettera all'amico Arşavir (tratto da L'orgoglio del fallimento, Lettere ad Arşavir e Jeni Acterian, a cura di Antonio Di Gennaro, Mimesis, collana Volti, 2021, traduzione italiana di Magda Arhip e Laureto Rodoni):

Dieppe, 28 agosto 1972

Mio caro Arşavir,

condivido le tue opinioni disilluse sulle vacanze, su questa nuova religione, perché proprio di questo si tratta! – la peggiore. Negli ultimi anni non si può più viaggiare d’estate. È impossibile trovare una stanza da qualche parte. Milioni di persone in movimento. Una cosa del genere non accadeva dai tempi delle invasioni barbariche. Prima potevo visitare l’Inghilterra, la Spagna, l’Italia cambiando posto ogni giorno; ora non posso. Così ho concluso la mia carriera da turista. Sono qui, in riva al mare, in un luogo dove c’è poca gente, poiché fa freddo e la spiaggia è priva di sabbia… Meglio così! Vivere senza telefono, senza visite, senza connazionali, senza appuntamenti di qualsiasi tipo: è questo il paradiso. Non puoi immaginare il tempo che spreco a Parigi in chiacchiere. Gente di tutto il mondo viene lì, e io non vado da nessuna parte. Le ore che ho passato negli ultimi anni in conversazioni insipide, avrei potuto usarle per imparare il cinese o il sanscrito.


    Emil Cioran (fonte, Bridgeman images). 

sabato 22 marzo 2025

“Wild swimming” di Giorgia Tolfo (su Solo Libri)

Su Solo Libri scrivo di un esordio, quello di Giorgia Tolfo col suo Wild swimming (Bompiani, 2025), proposto da Laura Pugno per il Premio Strega di quest'anno. 

Link all'articolo  Wild swimming




mercoledì 19 marzo 2025

L'amore indissolubile nelle lettere di Salvatore Satta




[Dall'archivio di Solo Libri] 

«Laura, mia indissolubile compagna, io ti benedico per queste gioie improvvise che mi giungono dal tuo ricordo. Ogni lettera che leggo è un rivivere il tempo immemorabile che abbiamo insieme trascorso, ignoti prima l'uno all'altro, poi improvvisamente svelati nel nostro comune destino. Io credo che se questa gioia dovesse durare a lungo, di Bob non troveresti un giorno altro che il mito quasi pagano, poiché mi dissolverei in te, e altra sorte per me non vorrei».

Link all'articolo Mia indissolubile compagna

Salvatore Satta dimostra con le sue opere quanto diritto e letteratura viaggino su binari paralleli. Su questo si veda anche l'articolo di Treccani on-line  https://www.treccani.it/enciclopedia/diritto-e-letteratura_(Enciclopedia-delle-scienze-sociali)/


Salvatore Satta e sua moglie, Laura Boschian (foto tratta dal "il manifesto"). 



martedì 4 marzo 2025

Le prime rivendicazioni per un mondo più giusto: da Olympe de Gouges a Franz Bernheim




 

La “questione femminile” emerse periodicamente in Europa durante il XVII e il XVIII secolo, soprattutto sul tema dell’educazione, sebbene i diritti delle donne non erano stati al centro di un’intensa discussione negli anni antecedenti le Rivoluzioni americana e francese. Diversamente da quanto avvenne per i protestanti, gli ebrei o persino gli schiavi, la condizione delle donne, infatti, non era stata argomento di approfondimento nelle discussioni pubbliche. I diritti per le donne figuravano a un livello inferiore della scala della “concepibilità” rispetto a quelli di altri gruppi. Questo disinteresse può essere dovuto al fatto che le donne non erano nemmeno considerate una minoranza, meno che mai perseguitata. Nonostante queste distinzioni fra categorie, i tempi si fecero maturi per tentare di superarle. Infatti nel 1791, ad opera della francese Olympe de Gouges (1748-1793) pseudonimo di Marie Gouze e nell'anno successivo ad opera dell’inglese Mary Wollstonecraft (1759-1797) verranno pubblicati due titoli particolarmente significativi, Declaration des drois de la femme et de la citoyenne e A Vindication of the Rights of Woman. La portata rivoluzionaria di questi testi lo si può capire dal fatto che gli stessi illuministi avevano un’idea della donna come vittima di emozioni, passioni e superstizioni, il cui comportamento era dettato dall’istinto quanto quello dell’uomo lo era dalla ragione.

Tra il 1789 e il 1795, con gli eventi che si susseguirono in Francia, tutti i club femminili vennero chiusi e proibiti alla partecipazione con un voto della Convenzione. Le motivazioni, neanche troppo velate, furono che le donne potessero ottenere la cittadinanza e i relativi diritti politici, costituendo una minaccia troppo forte per chi in quegli anni stava lottando per arrivare al potere. Le donne semplicemente non costituivano una categoria politica distinta.

Il più deciso assertore maschile dei diritti politici delle donne in quel periodo fu Condorcet, che già nel 1781 pubblicò un pamphlet nel quale chiedeva l’abolizione della schiavitù in un elenco che comprendeva proposte di riforma riguardante i contadini, i protestanti e il sistema di giustizia penale, nonché l’istituzione del libero scambio e la vaccinazione contro il vaiolo, ma le donne non le menzionò. Condorcet sfidò i suoi lettori a riconoscere che le donne avevano sempre avuto diritti e che le abitudini sociali le avevano rese cieche davanti a questa verità fondamentale. La questione suscitò il suo interesse soltanto dopo che era passato un anno dall’inizio della Rivoluzione e nove anni dopo il suo pamphlet, sostenendo che «O nessun individuo della specie umana gode di veri e propri diritti, oppure tutti godono degli stessi; e colui che vota contro il diritto di un altro, qualunque sia la sua religione, il suo colore o sesso, ha pertanto abiurato i propri diritti». 

Oltre Manica, c'era Mary Wollstonecraft che si dedicava ai modi in cui la tradizione e l'educazione avevano arrestato lo sviluppo femminile, polemizzando, anche in forma anonima, con quanti - ideologhi, filosofi, in particolare Edmund Burke - sostenevano il contrario.  Nel suo A Vindication of the Rights of Woman, già citato, collegò l’emancipazione della donna all’esplosione di tutte le forme di gerarchia nella società. «Io credo davvero» – disse Mary – «che le donne debbano avere propri rappresentanti, invece di essere arbitrariamente governate senza avere nessuna azione diretta che permetta loro di partecipare alle delibere del governo».

Sia Olympe de Gouges che Mary Wollstonecraft ebbero, è quasi scontato dirlo, una cattiva sorte: la prima venne condannata alla ghigliottina, come essere impudente e innaturale. La seconda venne denigrata pubblicamente in quanto donna libera e fuori dagli schemi. Insieme a William Godwin ebbe una figlia, che divenne nota come Mary Shelley (1797-1851) l'autrice del capolavoro Frankenstein.

A partire dalla seconda metà dell’Ottocento, soprattutto nel mondo anglosassone, e in particolare per opera di John Stuart Mill, riprende vigore la battaglia per l’eguaglianza uomo/donna, non solo intesa come eguaglianza giuridica ma anche come diritto all’indipendenza economica e culturale. Il pensiero liberale richiede tutele specifiche per la libertà degli individui, minacciata dal potere dello Stato, e dai poteri privati della famiglia, della comunità, del datore di lavoro.

Per contro, la nascente dottrina marxista critica un'impostazione ritenuta individualista e borghese e contribuisce alla costruzione dei diritti sociali, che saranno affermati per la prima volta nella Costituzione di Weimar del 1919, anche come sviluppo delle misure di assistenza pubblica già previste nella Germania di Bismarck a tutela dei lavoratori. L’avvento della società industriale aveva portato, infatti, grandi sconvolgimenti: la questione sociale suscitava notevoli preoccupazioni e aveva favorito la formazione di diversi movimenti associativi per la difesa delle condizioni di vita dei gruppi sociali oppressi o emarginati. Nello stesso periodo erano sorti, ancora una volta soprattutto nel mondo anglosassone, associazioni e movimenti femminili, alcuni dei quali si battevano per il riconoscimento del diritto di voto alle donne. Ma le dittature che si instaurano in Europa dopo la Prima Guerra mondiale travolgeranno la cultura dei diritti. 

All’indomani del primo dopoguerra vennero fatti due tentativi, entrambi falliti, di proclamare a livello internazionale il principio di uguaglianza tra individui. Il primo avvenne nel 1919. In occasione della elaborazione del Patto della Società delle Nazioni – e cioè del trattato internazionale che doveva porre le basi di una nuova comunità internazionale, dopo i disastri della prima guerra mondiale – la delegazione giapponese propose formalmente di inserire nel Patto una norma che prevedesse pari trattamento senza distinzioni di razza o nazionalità per tutti gli stranieri che avessero la cittadinanza di uno Stato membro della Società.

Quindi, una norma internazionale, inserita in un trattato fondamentale, avrebbe posto tutti gli stranieri su un piano di eguaglianza. Non si trattava, beninteso, di proclamare l’eguaglianza tra i cittadini di ciascuno Stato contraente, o tra questi e tutti gli stranieri; si trattava solo di non discriminare i cittadini degli altri Stati membri della Società, e solo essi, in base alla loro razza o nazionalità. Si era quindi lontani dalla consacrazione, a livello universale, del principio di eguaglianza, in quanto il passo avanti era solo limitato all’abolizione delle discriminazioni per razza o nazionalità. Malgrado la portata, come abbiamo visto ristretta, della proposta, essa venne rifiutata soprattutto per l’opposizione di Gran Bretagna, Australia e Stati Uniti, vale dire proprio quelle potenze occidentali nel cui seno erano stati concepiti i diritti umani. Significa che la comunità internazionale non era ancora matura per recepire quei valori .

Il secondo tentativo di proclamare a livello internazionale il rifiuto della discriminazione razziale avvenne nel 1933. Questa volta, però, lo scontro fu tra Stati occidentali e la questione non riguardò il trattamento degli stranieri, ma il rispetto dei valori della persona umana in quanto tale, in particolare la protezione delle minoranze. Infatti, i trattati stipulati dopo la Prima guerra mondiale proteggevano le minoranze linguistiche, razziali e religiose di alcuni Paesi dell’Europa centrale e orientale essenzialmente per esigenze politiche. Ma un episodio significativo segnò la crisi del tentativo di superare la dimensione politica e arrivare ad un’ottica ispirata ai diritti umani .

Nel 1933, come si diceva, un cittadino tedesco di origine ebrea si lamentò davanti al Consiglio della Società delle Nazioni delle violazioni – perpetrate dalla Germania – del trattato tedesco-polacco del 1922, nella parte in cui proteggeva le minoranze dell’Alta Slesia (allora appartenente alla Germania). Franz Bernheim, questo il nome, visse tra il 1931 e il 1933 in Alta Slesia, era stato licenziato da una società tedesca, come tutti gli impiegati ebrei. Nella sua petizione ricordò le varie leggi e ordinanze contro gli ebrei, emanate nell’aprile del 1933 dal governo tedesco, insistendo sul fatto che esse introducevano in tutta la Germania una grave discriminazione razziale. Bernheim venne subito contestato da parte del delegato tedesco  di non avere alcun legame con l’Alta Slesia, né di origine né di famiglia. Fu invece il rappresentante polacco che in un vigoroso intervento respinse le obiezioni tedesche osservando che, almeno dal punto di vista formale, il Consiglio non poteva che occuparsi della sorte delle minoranze ebraiche in Alta Slesia e che ci dev’essere un minimo di diritti che deve essere garantito a ogni essere umano, indipendentemente dalla razza, dalla religione o dalla lingua materna. Parole che all’epoca destarono scalpore .

La questione delle discriminazioni contro le minoranze non si fermò lì in quanto, qualche mese dopo, la Germania chiese all’assemblea della società delle Nazioni di sottoporre a una commissione dell’Assemblea stessa il rapporto annuale della Società nella parte relativa alle minoranze. La questione venne quindi ripresa in seno alla VI Commissione dell’Assemblea. In quella sede si accese un vivace dibattito su una questione di principio: se in ogni Stato civile moderno tutti i cittadini dovessero godere di un eguale trattamento, sia in diritto che in fatto. La maggior parte degli stati rispose affermativamente; solo la delegazione tedesca affermò, invece, che uno Stato sovrano aveva il diritto di considerare un simile problema come una questione interna. 

Tra gli Stati più avanzati, una posizione di punta fu presa dalla Francia che fece due proposte: riaffermare il principio che tutti gli Stati non legati da trattati sulle minoranze dovevano considerare le loro minoranze “almeno con lo stesso grado di giustizia e di tolleranza” richiesto da quei trattati. Inoltre la Francia proponeva di affermare che, se uno Stato aveva stipulato un trattato sulle minoranze, le clausole di quel trattato non andavano interpretate nel senso di escludere certe categorie di cittadini dai benefici delle clausole stesse; in altri termini, le minoranze all’interno di uno Stato erano protette anche se non si trovavano nei territori designati in termini esclusivi dai trattati.

Il riferimento all’affare Bernheim era evidente: secondo la proposta francese, la Germania doveva trattare senza discriminazione gli ebrei tedeschi, anche al di fuori dell’alta Slesia, e cioè in tutta la Germania. Non deve dunque stupire che il delegato tedesco sia insorto contro quella proposta, affermando che essa “aveva direttamente di mira la questione ebraica in Germania”. Anche se migliorata dal delegato greco Politis, la proposta francese fu dunque respinta dalla Germania, nella parte di cui stiamo parlando. In virtù dell’art. 5 del Patto della Società (secondo cui le delibere dell’Assemblea potevano essere adottate solo “con l’approvazione di tutti i membri”), la proposta francese fu bocciata .

Questo episodio dimostra che ancora nel 1933, la sovranità nazionale si opponeva al rispetto pieno dei diritti umani per tutti. Che il principio di uguaglianza – la base stessa di tutti i diritti e le libertà fondamentali – non era ancora considerato come uno dei capisaldi imprescindibili di ogni convivenza umana. Non è un caso che il voto contrario della Germania alla proposta francese sia stato dato l’11 ottobre 1933, e solo tre giorni dopo, il 14 ottobre, Hitler abbia radiotrasmesso il famoso discorso con cui annunciava il ritiro della Germania dalla Società con la motivazione che gli altri Stati non erano disposti ad accordare “una reale eguaglianza di diritti alla Germania” ma la lasciavano in una posizione “non dignitosa”. Hitler protestava per una discriminazione in campo internazionale certamente meno grave di quella che lui stesso operava, in Germania, contro certe categorie di cittadini tedeschi .

L’isolamento della Germania sulla questione della minoranza ebraica non fu certo la causa del suo ritiro dalla Società, tanto più che proprio le norme della Società le avevano consentito di bloccare una risoluzione che di fatto la condannava. Ma è significativa la coincidenza tra la rottura della Germania con i postulati essenziali del vivere civile – anche se si trattava ancora di norme etiche – e la sua uscita da quell’organismo che aveva voluto raggruppare tutti gli Stati “civili”.

Sinistra coincidenza, dunque, che mette in evidenza il nesso tra l’imbarbarimento nazista e il diniego totale dei diritti umani .

Il rispetto della dignità umana trovò, dunque, la prima pietra di inciampo nella ferma presa di posizione della Germania, volta a sostenere che la sovranità nazionale non tollerava alcuna ingerenza internazionale negli affari interni. La rottura – su questo e su altri punti, non meno significativi – tra la Germania ed il resto della comunità internazionale porterà poi allo scoppio della Seconda Guerra mondiale.


Bibliografia

A. Cassese, I diritti umani nel mondo contemporaneo, Laterza, Bari, 1994.

M. Flores, Storia dei diritti umani, Il Mulino, Bologna, 2008.

L. Hunt, La forza dell’empatia. Una storia dei diritti dell’uomo, Laterza, Bari, 2010.

G. Oestreich, Storia dei diritti umani e delle libertà fondamentali, Laterza, Bari, 2001.

M. Wollstonecraft, A Vindication of the Rights of Woman (titolo in italiano: Sui diritti delle donne).

Per un approfondimento sulla petizione di Franz Bernheim: https://www.southcoastview.co.uk/news/the-bernheim-petition/


                                  

                                       


Ultima pagina della petizione di Bernheim (foto tratta dal sito https://www.southcoastview.co.uk/)




Frontespizio originale di A Vindication of the right of woman

sabato 8 febbraio 2025

Guido Morselli e la sua gloria postuma





Cosa direbbe un artista se sapesse che il proprio successo è avvenuto soltanto dopo la  sua morte? E sarebbe un successo? Bisognerebbe anche stabilire cosa significhi avere successo, soprattutto nella nostra epoca dove, per farsi conoscere, è sufficiente  a volte un video visualizzato numerose volte. 
Tuttavia, si può dire che col tempo cambia la sensibilità del pubblico o degli addetti ai lavori oppure una scoperta casuale, come per Vivian Maier (link al precedente articolo: Vivian Maier e la gloria postuma) permette di conoscere nuove storie personali e artistiche degne di interesse. Per esempio, quante pittrici vediamo esposte oggi nei musei? Quante scrittrici del Novecento conosciamo solo adesso? Non è sempre e soltanto una questione di genere, beninteso, ma ragioni storiche, sociali e culturali hanno di fatto escluso le donne da diversi ambiti. È il talento, il valore oggettivo quello che conta, ma le opportunità, le condizioni di partenza, devono essere le stesse, a prescindere dal genere di appartenenza o dal colore della pelle. 

A parte questo, nella narrativa italiana c'è il peculiare caso di Guido Morselli di cui vale la pena parlare, diventato l'emblema dello scrittore rifiutato. Nato a Bologna nel 1912 in una famiglia della buona borghesia emiliana trasferitasi a Milano, visse nel varesotto, zona alla quale si sentì profondamente legato. Non accettò di seguire le orme paterne nel settore imprenditoriale e preferì la strada, non meno priva di insidie, della letteratura. Esclusi alcuni articoli e due saggi intitolati Proust o del sentimento* e Realismo e fantasia è stato pubblicato per intero quando ormai non poteva più vedere i risultati, e quali fossero, dello sforzo compiuto. Famosa è la lettera inviatagli da Italo Calvino spiegando le ragioni di un diniego editoriale e dove Morselli, peraltro, rispose**.

Per capire dunque la sua "gloria postuma", ci rifacciamo alle parole del critico Matteo Marchesini: «Comunque si vogliano giudicare le circostanze di questa sfortuna, non bisogna dimenticare che i suoi capolavori narrativi Morselli li scrisse lungo gli anni Sessanta: cioè proprio nel decennio in cui più forte, in Italia e altrove, infuriava la polemica contro il genere romanzo, dato autorevolmente per morto. E si trattava, nel caso, di romanzi la cui originalità era tanto maggiore quanto più tendeva a presentarsi sotto vesti sobrie: vesti che una società letteraria attratta dalle infrazioni clamorose degli “antiromanzi” poteva facilmente scambiare per tradizionali (si veda ad esempio il modo in cui Calvino rifiutò Il comunista, appunto perché troppo “romanzesco”)».***

Oltre quest'ultimo romanzo citato, altri da ricordare sono Roma senza papa, il suo primo, uscito nel 1974, ovvero appena un anno dopo la morte, e Contro passato prossimo, nel 1975. Tuttavia, il lavoro più importante è Dissipatio H.G, scritto tra il 1972 e il 1973 e dato alle stampe nel 1977, dove un giornalista, voce narrante, si ritrova solo nella città in cui vive, Crisopoli. Solo nel mondo dopo aver tentato invano di lasciarlo:

«Io non amo Crisopoli, anzi non la posso soffrire. In lei ho scorto il mio antitipo, l'affermazione trionfale di tutto ciò che io rifiuto, l'ho eletta a centro della mia detestazione del mondo; un caput-mundi al negativo. La mia «fuga saeculi» è stata, già allora, fuga da questa precisa localizzazione del "secolo". Pure, il fatto che ho sotto gli occhi mi riesce implausibile e tetro». 

H.G. sta per humani generis, ovvero: dissolvimento del genere umano. Una fuga in avanti, potremmo dire, e non all'indietro, come si potrebbe pensare. Un annientamento che corrispose a quello dello stesso Morselli che scelse di suicidarsi con un colpo di pistola e "la ragazza dall'occhio nero", così la definisce, è la rivoltella presente nel romanzo. Chiaro che questo romanzo contiene degli elementi autobiografici e che il narratore è una sorta di alter ego dell'autore. Sul suicidio di Morselli si è ipotizzato che dipendesse da quella sfortuna editoriale di cui si è detto sopra. Probabile, ma lungi dal fare considerazioni psicologiche, non può esserci un solo motivo a spiegare un gesto estremo, quanto piuttosto una serie di motivi. Per il resto, sarebbe ormai fare della dietrologia e tanta se n'è già fatta. Morselli con la sua opera aveva, per così dire, anticipato i tempi e in quei tempi non era stato capito.

Per capire ancor meglio la sua indole e il suo mondo interiore la lettura dei Diari, forse è scontato dirlo, rivelatrice. Scritti fra il 1943 e il 1973, e pubblicati, come le altre opere, da Adelphi, vi ha lasciato numerose riflessioni, alcune delle quali si ritrovano formulate nella finzione romanzesca. Pensieri colti, a volte complessi, su varie tematiche, dalla religione alla politica, dalla narratologia alla psicoanalisi, dall'amore al turismo, e a Dio, che ricorre diverse volte, tenendo conto che era ateo.  La speculazione filosofica era il suo terreno di gioco. Non abbandona le puntuali riflessioni nemmeno la notte delle "facili euforie", come le chiama, del 31 dicembre. Nega a se stesso l'ottimismo, per esplicita ammissione. Spesso utilizza il pronome 'noi'; sembra quasi stia scrivendo per un giornale. Raramente si sbilancia con le emozioni personali o nel descrivere i suoi giorni. Ma quando lo fa, elabora dei pensieri poetici intensi, tanto che di lui si potrebbe affermare tutto e il contrario di tutto: 

«Dolore non c’è che dolore. L’amore è soltanto finzione. La vita è una fiamma breve che guizza e si spegne in un immutabile algore».

Afferma Giuseppe Pontiggia nella prefazione, citando Goethe che consigliava di scrivere un diario non per vivere nel futuro, ma nel presente: «è curioso per uno come Morselli che quel rapporto col presente gli è sempre sfuggito. Non a caso i suoi romanzi spaziano tra il futuro dell'utopia e il dagherrotipo della storia».

In data 20 febbraio 1940 Morselli scrive: «I sentimenti quando sono manifestati perdono d'intensità. Questa è la ragione per cui il dolente, l'amante trovan sollievo nella confidenza. Questa è la ragione per cui taluno preferisce tenere i propri sentimenti per sé». Concetto ribadito all'interno di una parentesi - a conferire forza al pensiero e non a ridurlo - che troviamo anche e per l'appunto in Dissipatio H. G.:

«(Spiegarlo, dicevo. Ma a chi? A nessuno, ovviamente. Non mi convince la tesi che ogni esprimere anche il più privato supponga un comunicare. Quel «dovrei spiegare» non suppone niente e nessuno. Rivolto a me, è un pleonasmo funzionale. Mi tiene compagnia)». 

Le integrazioni della curatrice Valentina Fortichiari, studiosa di Guido Morselli, poste alla fine del libro in apposite note rendono la lettura più esaustiva, trattandosi di una selezione su un totale di diciassette quaderni tenuti dall'autore. 

Alcuni tratti - nel rapporto contradditorio con le donne, nel pensiero ossessivo dell'auto distruzione, nella solitudine, nel rifiuto- ci riportano a Cesare Pavese. Spiriti profondi e sensibili che la società con i suoi dettami precostituiti difficilmente comprende adesso come allora. Persone comuni che avevano una visione del mondo fuori dal comune.




*A proposito del saggio di Morselli su Proust:

https://diacritica.it/letture-critiche/morselli-e-proust-un-confronto-sul-sentimento.html?fbclid=IwY2xjawIV5thleHRuA2FlbQIxMQABHXN_aA_YdhltL69yB2N4k8HyJJx88mGZeFwPsiSyajjXPmU3-8j6Xln4sg_aem_g3EctvXlPW87jxxUngBhtg#post-8664-footnote-ref-165


**Lo scambio epistolare fra Calvino e Morselli si può leggere al seguente link: https://mvlmonteverdelegge.blogspot.com/2013/03/caro-morselli-caro-calvino-il-no-di.html 


***Per l'articolo completo di Matteo Marchesini si rimanda a:

https://claudiogiunta.it/2017/02/morselli-il-pelagiano/fbclid=IwY2xjawHjihFleHRuA2FlbQIxMQABHd0ukLacnP532sWbve3Yhm002KjF9f7LaDY53db7VnqgYK61PmR-YqPSGg_aem_vbe015qagIvXUFryDuRlnA&sfnsn=scwspwa 


                                      


                                           


                
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