giovedì 4 settembre 2025

“L'emicrania” di Antonio Alatorre (su SoloLibri)

Ho scritto su Sololibri.net di L'emicrania, di Antonio Alatorre. Non un manuale di medicina, bensì un memoir letterario di uno dei più importanti saggisti e critici messicani, tradotto per la prima volta in italiano. 

Link all'articolo L'emicrania



               Antonio Alatorre (fonte: porcierto.com) 

martedì 26 agosto 2025

Il manifesto di Duchamp contro il conformismo

 


Prima o poi capita a tutti di trovarsi in un importante museo o galleria di qualche città e farsi largo tra la folla per riuscire a vedere un'opera famosa, mentre le altre che gli stanno intorno, se si fa caso, vengono ignorate dai più. 

Marcel Duchamp (Blainville-Crevon, 1887 – Neuilly-sur-Seine, 1968) pittore e scultore francese naturalizzato americano, è considerato dalla critica uno degli artisti più influenti del XX secolo. Precursore dell’arte concettuale, faceva utilizzo di oggetti di uso comune scelti con cura – una fontana, una ruota di bicicletta, tra i più noti – che venivano decontestualizzati dandogli un’altra dimensione estetica, detti ready made, “oggetti già fatti”. A volte i ready made consistevano in reinterpretazioni di grandi capolavori del passato. Quella che fece nel 1919 della Gioconda di Leonardo da Vinci rientra fra i suoi lavori più celebri. Vi applicò dei baffi sul labbro superiore e un pizzetto e lo intitolò L.H.O.O.Q. il cui significato è dato dalle lettere che pronunciate in francese suonano in modo provocatorio Elle a chaud au cul, ovvero “Lei si concede facilmente”. Tale tecnica non fu l’unica che portò avanti, ma il senso era sempre quello di stimolare lo spettatore alla riflessione, ad andare oltre le apparenze, oltre le più facili omologazioni e non farsi attrarre dalla presunta realtà. Al contempo aprì la strada a una nuova idea di arte, un’arte che metteva in discussione se stessa, e di artisti.

L’opera in questione è ritenuta un manifesto contro il conformismo. Duchamp non voleva screditare il dipinto o l’autore, bensì denunciare l’atteggiamento di coloro che apprezzano l’arte solo perché la contemplano tutti in quanto bella e molto conosciuta. Come se a sorridere sotto quei baffi fosse lo stesso Leonardo.

Una riflessione piuttosto attuale in periodi di viaggi, vacanze e overtourism. Al Louvre ammiriamo spesso la “vera” Gioconda attraverso i display dei cellulari dei visitatori che abbiamo davanti, con la speranza che sappiano almeno cosa stanno guardando o perché sono lì e non altrove oppure al Museo Reina Sofía di Madrid, per citare solo alcuni fra i numerosi luoghi di interesse, dov’è esposto Guernica di Picasso, di fronte alla quale una muraglia umana è quotidianamente tenuta a distanza da paletti divisori con a lato un operatore pronto a evitare danni o avvicinamenti improvvidi nonostante i paletti, per poi magari offrire un veloce e distratto sguardo al resto degli affreschi presenti.

Invece la rivisitazione di Duchamp fa parte di una collezione privata statunitense.


(Anche su Gli Stati Generali, link all'articolo: il-manifesto-di-duchamp-contro-il-conformismo/)

 




 









lunedì 21 luglio 2025

Pensare da scrittori prima di esserlo. “La scrittura non si insegna”, di Vanni Santoni

Forse non si può insegnare a scrivere, ma si può insegnare a pensare da scrittori e per farlo ci sono una serie di abitudini che è necessario acquisire. La prima è la più banale, eppure in quanto banale ha un fondamento pratico: leggere tanto, e ancora leggere, prendere appunti, ricopiare.

Parla di questo e di altro un breve saggio del 2020, ancora più attuale data la varietà di pubblicazioni a cui assistiamo ogni giorno, di Vanni Santoni, scrittore e docente alla Scuola del libro (Minimum Fax, Collana Filigrana). Il titolo è alquanto perentorio: La scrittura non si insegna ed è nato dall'esperienza di aver avuto troppi allievi che volevano scrivere senza aver letto abbastanza. Perché allora, si domanda e domanda Santoni, voler scrivere se non si è letti almeno Alla ricerca del tempo perduto di Proust e l'Ulisse di Joyce? Un interrogativo provocatorio ma neanche tanto se ci si pensa bene, semmai è pertinente. Tenendo conto che quanto abbiamo di fronte non è un manuale di scrittura creativa, bensì un pamphlet, e dunque per sua natura sfidante. Di per sé non è un male che tante persone vogliano scrivere, ma lo diventa quando si vuole scrivere e pubblicare senza cognizione di causa. Oltre ai due citati, l'autore elenca una serie di altri libri corposi, una trentina circa, da Roberto Bolaño a David Forster Wallace, da Sebald a Tolstoj e Dostoevskij, da Jane Austen a Borges, e altri da leggere una volta affinate le basi  e in relazione al genere a cui ci si vuole avvicinare. Questione di sensibilità che si apprende leggendo e scrivendo. Testi che ritiene imprescindibili per chi vuole scrivere seriamente. La scelta è ricaduta su dei capolavori non solo in quanto tali, ma perché in essi si celano variegate suggestioni dovute anche alle numerose pagine che li compongono. Opere imperfette, come vengono definite, perché capaci di provocare sommovimenti, dare consapevolezza delle infinite possibilità del romanzo contemporaneo. Quindi per esempio non Lo straniero di Camus in quanto «piccolo diamante che si può ammirare ma dal quale non è immediato imparare qualcosa».

È importante inoltre far parte di una comunità: confrontarsi, fondare una rivista o scrivervi per mettersi alla prova, conoscere o farsi conoscere. In sostanza, creare e dotarsi di una rete di interessi umanistici. Che non significa in seguito pubblicare un libro, sarebbe una ingenuità anche solo pensarlo. Può capitare ma anche no. Le variabili sono tante e l'editoria è impresa, settore economico. 

Dopo la scrittura c'è un ulteriore processo inevitabile ed è la revisione. In particolare farsi leggere da chi è al nostro livello, cioè da coloro che hanno più interesse a farlo per il fatto che lo facciamo o possiamo farlo noi con loro. Non amici o parenti, vuoi perché non intenditori, vuoi perché difficilmente vi diranno che quanto hanno appena letto non gli è piaciuto, e nemmeno rivolgersi, senza retribuirli, ai professionisti dell'editoria che proprio perché professionisti vanno pagati per il lavoro che svolgono. 

Se si vuole scrivere un romanzo bisogna aver chiaro, avverte ancora Vanni Santoni, che l'impegno è totalizzante; è la letteratura a imporlo. Deve prima diventare uno stile di vita. Se non ci si nutre di buone letture l'impresa è ardua. La scrittura infatti non è come comunemente si pensa un'attività facile da praticare. Ci si mette al computer e si aspetta la musa. Non è esattamente così che funziona o che si spera funzioni. Si tratta di un'arte e l'arte richiede studio. L'arte richiede di eccellere. Averlo presente è un primo importante passo.




mercoledì 16 luglio 2025

Alla scoperta di Vali Myers: “Cara Vali”, di Chiara Centioni (su SoloLibri)

Ho scritto su Sololibri.net del romanzo Cara Vali, (Castelvecchi, 2025) di Chiara Centioni e della scoperta di se stessa attraverso la ballerina e pittrice australiana Vali Myers, vissuto a lungo a Positano.

Link all'articolo Cara Vali,




Vali Myers, 1959, in un ritratto di Norman Ikin


venerdì 4 luglio 2025

L'uomo allo specchio


L'uomo che non conosciamo è seduto di fronte a uno specchio bordato d'argento. 

L'immagine riflessa fa da sfondo a un'apparente realtà. La gente intorno a lui si muove e intorno vaga, alla ricerca delle illusioni. Le forme sprofondano nella gelata atmosfera di parole mancate, di abbracci perduti, amori celati. 

Laggiù, la sua anima persa nel vuoto, 
anima di un viandante 
che trema di stanchezza nelle ore più buie.
Le luci della sera, ora, sono sempre più vicine. 
L'uomo in noi che non conosciamo, trova nell'indefinito
il suo mondo dipinto d'azzurro. 
Il dolore non sarà vano forse, 
o forse no, lo sarà.
L'uomo che non conosciamo, solo vede se stesso
solo nella luce febbrile di un cielo luminoso, e ci osserva beffardo.


*

Immagine: René Magritte, Il falso specchio, 1928.
                          

martedì 17 giugno 2025

Giorgio Manganelli e la scrittura come esercizio di libertà



Quando la morte lo coglie all'improvviso nel 1990, Giorgio Manganelli aveva pronto un dattiloscritto (non l'unico, tra l'altro) composto da saggi e interventi pubblicati fra il 1966 e quello stesso anno su diversi quotidiani e riviste, riguardanti i temi del leggere, dello scrivere e del recensire libri. Un corpus omogeneo, pensato e organicamente strutturato dallo scrittore: una vera e propria ‘raccolta d’autore’ poi divenuto un libro edito da Adelphi nel 1994. All'inizio il titolo doveva essere Frantumaxione di parole per decisione di chi si occupava di trascrivere il materiale, Ebe Flamini. Quando il testo è stato seguito per la stampa si è preferito, come spiega la curatrice Paola Italia, Il rumore sottile della prosa, titolo di uno degli articoli presenti, perché rendeva meglio cosa intendesse Manganelli per letteratura: lo spessore della pagina, l'intensità della scrittura. Qualità che hanno contraddistinto l'intera sua opera. Le parole non solo devono avere un senso, ma essere portatrici di un disegno. Ed è soltanto con l'inganno, con l'artificio che si può chiudere il cerchio. 

Manganelli rompe ogni legame con la tradizione letteraria e ha pochi eguali, ma numerosi seguaci; al di là alle legittime aspirazioni o degli accostamenti che vengono fatti dalla critica. È diventato anche un personaggio letterario, reso da Romana Petri in Cuore di furia (Marsilio, 2020). Lo stile manganelliano è labirintico, volutamente provocatorio. Un racconto-incantesimo che mescola il lirismo all’indagine filosofica, alternandolo alla dissertazione. Esplora la potenza del linguaggio come strumento di esorcismo, sottolineando che chi non padroneggia le regole della scrittura rischia di rimanerne schiacciato. Il suo rapporto con la parola è quello di un illusionista, un alchimista, capace di rendere la sintassi un organismo vivente, una “lava in perpetuo movimento” che si anima nella scrittura, nella lettura e nella rilettura. Tre concetti chiave di un intenso percorso. La prosa di Giorgio Manganelli è un’esplorazione vertiginosa della lingua, un gioco di costruzione e de-costruzione che affonda le radici nella letteratura rinascimentale e barocca. Così facendo trasforma la scrittura in un esercizio di disobbedienza, demolisce l’idea che la letteratura debba avere intenti educativi, meno che mai moralistici. “L'estrosità intellettuale si guasta come un niente”. Non ultimo è l'affondo spietato e ironico nei confronti dei successi letterari (o insuccessi) e dei premi.

Giorgio Manganelli ci insegna dunque a non avere paura della complessità, a non fermarci all'ovvio, ad andare oltre il puro e semplice dualismo del mi piace/non mi piace. Perché uno sguardo critico «introduce oscurità dove è illusoria chiarezza, porta notte dove è la menzogna del giorno, cattura e tesaurizza l’errore dove apparentemente si dà pertinenza»

(anche su Gli Stati Generali, link all'articolo Giorgio Manganelli e la scrittura come esercizio di libertà)




Sopra, un'immagine di Giorgio Manganelli (fonte, Modlet). 









lunedì 9 giugno 2025

Invisibili sogni


Nessun luogo mi lega, e tutto mi lega. 
Desiderio senza fine, con un fine. 
Smanio per qualcosa che non so cosa sia nell'infinito accadere -
Vivo di sogni sognati e vedo ciò che non sento
Hanno chiuso le porte ma non ho chiavi, mi hanno vietato i banchetti. Hanno scoperchiato i tombini. 
Nella via ritrovata non c'è il numero. 
Mi sono svegliata nella stessa vita in cui mi ero addormentata e non l'ho più riconosciuta
I miei sogni si sono sentiti falsi per essere stati sognati. La vita desiderata mi raggela - persino la vita.
Comprendo a intervalli sconnessi; penso nella mente e scrivo. 
Il vento mi scaraventa su una spiaggia sconosciuta
Non so quale destino o quale futuro spetti alla mia incertezza senza direzione; 
Invisibile sogno. 
È nel profondo del mio spirito, dove sogno ciò che ho sognato, nei campi estremi dell'anima in cui rammento senza una causa, nelle strade lontane dove ho ipotizzato di essere, fuggono ormai smantellati gli ultimi rimasugli di illusioni perdute,
i miei eserciti sognanti, sconfitti in partenza. 
Un'altra volta ti rivedo, 
città lontana dell'infanzia, ancora una volta sono qui a sognare. Ma sono lo stessa che torna. La stessa che sono. 
Ti vedo orizzonte invisibile 
con il cuore distante da me
Un'altra volta ti rivedo e tutto passa e quanto più passa, resta. 
Errante dovunque vada, cammino, stancamente cammino 
Un'altra volta ti rivedo, ombra che passa fra altre ombre, e riluce un istante sotto le tenebre, ed entra come la scia di una nave che si perde nelle acque nere. 
Un'altra volta ti rivedo, città dei sogni. 
È in frantumi lo specchio magico in cui mi guardo, e in ogni frammento eterno vedo soltanto pezzi di me - pezzi di noi. 

*
 
Immagine: Salvador Dalí, L'uomo invisibile, 1929-32, Olio su tela, Museo Nacional Centro de Arte Reina Sofia di Madrid.

mercoledì 28 maggio 2025

Cioran e “Il crepuscolo dei pensieri” (sul Culturificio)

Ho scritto del filosofo-saggista Emil Cioran, a partire da "Il crepuscolo dei pensieri", Adelphi, 2024.

Link all'articolo pubblicato sul blog Culturificio:





Emil Cioran 



martedì 20 maggio 2025

Flannery O'Connor e l'arte di scrivere

Brano tratto da Un ragionevole uso dell'irragionevole. Saggi sulla scrittura e lettere sulla creatività, Minimum Fax, 2019, capitolo "Natura e scopo della narrativa":


San Tommaso chiamava l’arte «ragione in atto». È una definizione molto fredda e molto bella, e se oggigiorno è impopolare, è perché la ragione ha perso terreno fra noi. Come la grazia e la natura sono state separate, così è stato per l’immaginazione e la ragione, e questo significa sempre la fine dell’arte. L’artista usa la propria ragione per trovarne una corrispondente in tutto quel che vede. Per lui, essere ragionevole è trovare, nell’oggetto, nella situazione, nella sequenza, lo spirito che li rende tali. Non è cosa facile, né semplice. È un’invasione dell’eterno, e viene fatta solo con la violenza di un rispetto assoluto per la verità. Ne deriva che non esiste una tecnica da scoprire e applicare che renda possibile scrivere. Se frequentate una scuola dove si tengono corsi di scrittura, dovrebbero insegnarvi non a scrivere, ma piuttosto i limiti e le potenzialità delle parole, e il rispetto loro dovuto. 



 
    Flannery O'Connor e i suoi amati pennuti 



 


venerdì 9 maggio 2025

Il talento nella serie tv sulla danza

La serie tv Étoile targata Prime Video, in otto episodi, uscita il 24 aprile scorso, ideata dai coniugi Palladino, gli stessi dei Griffin e di Una mamma per amica, è ambientata nei due templi mondiali della danza classica, rappresentazioni di due diverse realtà: il Ballet National di Parigi e il Metropolitan Ballet Theater di New York. Per superare la crisi di introiti, conseguenza della pandemia e dall’allontanamento dei giovani da una pratica considerata di nicchia, le rispettive dirigenze scelgono di rinnovarsi ed effettuano uno scambio temporaneo dei loro migliori ballerini.

Sulla trama prevalgono le personalità dei protagonisti. La famosa quanto difficile étoile Cheyenne (Lou de Laâge), nella foto di copertina in una scena.

Lo sfrontato e ribelle Gabin, ballerino solista (Ivan du Pontavice). Il coreografo stravagante Tobias (Gideon Glick) e Mishi (Taïs Vinolo), col peso di una madre ministra del governo e per questo considerata dalle colleghe una raccomandata.

Ciò che è interessante è che, tramite loro viene mostrato senza bisogno di dirlo, cosa è il talento. Un concetto semplice solo all’apparenza. Di per sé infatti significa poco.

A esistere invece sono: il sacrificio, l’ambizione, la determinazione, l’attitudine a condurre una vita non ordinaria, conoscenze giuste al momento giusto, disponibilità economica. Nella storia c’è anche una “fata”, forse la vera protagonista perché incarna tutto questo e altro, come l’innocenza o le disuguaglianze: la piccola coreana Susu, interpretata da una bravissima LaMay Zhang; col sogno di fare la ballerina si esercita mentre la madre pulisce di notte le sale deserte e casualmente viene notata da Cheyenne.

La passione da sola non basta. Nel talento c’è più pragmatismo che romanticismo. Dall’altra parte ci saranno gli applausi o i complimenti, ma anche tanta gente che non aspetta altro che un tuo passo falso o che solo analizza e giudica quel che fai e come, in un mondo spietato e competitivo.

Ma il talento occorre anche per mandare avanti la parte burocratica e amministrativa da parte dei responsabili delle compagnie, Jack McMillan (Luke Kirby) e Geneviève Lavigne (Charlotte Gainsbourgl, la Jane Eyre nel film di Franco Zeffirelli del 1996) che devono rendere conto del loro operato al Consiglio di amministrazione o a un’istituzione che li finanzia.

Con una parte tecnica ben studiata, segno che i produttori della serie hanno voluto mettere in evidenza cosa c’è dietro alla qualità dell’arte e ai dettagli, si fa un po’ fatica a stare dietro ai ripetuti cambi di scena fra America e Francia e relativi personaggi. Ci si è un po’ persi anche in vecchi cliché. Nel complesso un prodotto godibile, con diversi spunti di riflessione applicabili con facilità non solo al campo della danza.

(anche su Gli Stati Generali, link all'articolo danza-etoile)



La locandina