31 ottobre 2022

Il nome del blog

Cesare Pavese, nel suo diario pubblicato col titolo "Il mestiere di vivere", nella giornata del 25 aprile 1936 annotava: "Quest'oggi, niente". Il diario, un qualcosa di inscindibile dalla vita di chi lo scrive anche quando non ha da scrivere. 

Da qui il nome di questo blog personale. Dove il niente è tutto. Perché il niente, in un'esistenza, non esiste.

                    

"Teschio con sigaretta accesa", Vincent Van Gogh


"Teschio con sigaretta accesa" è una delle prime opere di Van Gogh, realizzata negli anni 1885-86 Sicuramente la più macabra ma anche la più ironica. Si ritiene che il pittore olandese abbia utilizzato come “modello” uno scheletro dell’aula di anatomia della scuola di belle arti che frequentava. 


Le interpretazioni sul dipinto però sono state le più disparate. Chi ha visto semplicemente una sfida verso le pratiche accademiche, chi invece una preoccupazione per le fragili condizioni di salute in cui versava già da giovane Van Gogh oppure ancora una sfida sarcastica rivolta alla morte. La propria, in particolare.

Il dipinto è conservato al Van Gogh Museum di Amsterdam. 

Comunque perfetta per il periodo di Halloween, visto che oggi è 31 Ottobre.

19 ottobre 2022

I Black Tulips di Vitaliano Trevisan (su Sololibri)

Ho parlato su SoloLibri.net del libro uscito postumo dello scrittore e drammaturgo Vitaliano Trevisan, scomparso nel mese di gennaio di quest'anno. "Black Tulips", pubblicato da Einaudi.

https://www.sololibri.net/Black-Tulips-di-Vitaliano-Trevisan.html 





10 ottobre 2022

Ha ancora senso parlare di vita discreta?

Ha ancora un senso nell'epoca in cui viviamo, fatta di iper connessione e di conseguenza una certa sovra esposizione mediatica, parlare di concetti come discrezione, farsi da parte, osservare senza essere osservati? Sembra un compito arduo. Ma basta leggere un saggio uscito nel 2015 dal titolo "L’arte di scomparire – Vivere con discrezione", pubblicato da il Saggiatore, per ricredersi. Adesso sembrerebbe quasi impossibile rispondere alla domanda, visto che sono passati già sette anni dall'uscita. A scriverlo è stato un filosofo francese, Pierre Zaoui.

Qui sotto riporto uno stralcio di un paragrafo del testo, che parla di «Felicità per sottrazione», utile per capire cosa intende l'autore per "arte di vivere con discrezione". Ancora più sotto la copertina del libro.


«A grandi linee, potremmo dire che oggi esistono

due modelli dominanti di felicità. Da una parte, il modello cumulativo,

ultramaggioritario nel sistema capitalista, che situa la felicità nell’avere,

essendo l’apparire stesso ridotto a una forma dell’avere (avere un capitale

sociale…). Essere felice significa avere: soldi, belle macchine, donne,

uomini, gloria, potere. Dall’altra, il modello filosofico, che va fortunatamente

ben oltre i soli filosofi di professione, e che situa la felicità nell’essere –

accumulare falsi beni non serve a nulla, è sufficiente imparare a essere: saggi,

prudenti, temperanti ecc.

L’esperienza della discrezione fa saltare in aria un’alternativa di questo

tipo. Da un lato, è ovviamente all’opposto di ogni accumulazione personale,

perché consiste nel distaccarsi da tutti i beni, esteriori e interiori, senza

negarli, ma collocandosi serenamente accanto a loro. Dall’altro, consiste

similmente nel distaccarsi dal proprio stesso essere, nell’ignorarsi, nello

scomparire a vantaggio delle cose esteriori. Eppure, non si può dire che in

un’esperienza del genere non ci sia più posto per la felicità; al contrario, anzi,

essere distaccati da tutto, sentire che non si ha più nulla da perdere, nulla da

guadagnare, nulla da provare, nulla da mostrare, è spesso proprio una vera

felicità. Dobbiamo dunque concepire un terzo tipo di felicità, che non

poggerebbe né sul possesso e la soddisfazione dei beni esteriori, né sul

possesso e la soddisfazione di sé, il godimento di diventare saggi o anche

semplicemente di diventare chi si è, ma sul distacco simultaneo da sé e dalle

cose.

Una felicità simile, potremmo chiamarla «felicità per sottrazione». Sottrarsi

ai vani giochi delle immagini di sé e delle ambizioni personali; sottrarsi alle

cose che si posseggono come a quelle che non si posseggono; sottrarsi alla

paura di perdere come alla paura di non aver più nulla da perdere – di essere

senza mancanza, senza vuoto, senza movimento, morti. Perché, certo, una

simile felicità istintivamente fa un po’ paura, sembra del tutto prossima al fantasma dell’abbandono o alla grande rinuncia nichilista. Ma è perfettamente

possibile e persino facile superare questa paura non appena ci rendiamo conto

che questa sottrazione non è che un momento, felice da vivere, ma anche felice

da veder passare, per reimbarcarsi nella vita con la sua ruota perpetua di

impegni e delusioni, di speranze e disillusioni. Vale a dire, dal momento in cui

ci ricordiamo ancora una volta del carattere intrinsecamente discontinuo della

discrezione. Non è la libertà a rendere felici, ma la continua liberazione, il

distacco, l’affrancamento, l’uscita dall’alienazione. Ma per distaccarsi o

liberarsi, bisogna pur essersi inizialmente attaccati o fatti prendere, e per

distaccarsi ancora bisogna ben accettare di attaccarsi ancora, senza fine. La

discrezione rende felici soltanto in modo ciclico, come sospensione, battuta di

arresto e di rilancio, vuoto fecondo, contrazione in attesa di una nuova

espansione, disimpegno in attesa di una nuova presa.

In questa prospettiva, certo, non è più possibile concepire una felicità

eterna, definitiva, sicura. E non si può neppure considerare la felicità come il

fine supremo dell’esistenza: non è che un momento di attesa tra due duri sforzi,

sempre nel mezzo della vita, mai alla morte. Ma è forse un male? Possiamo

scommettere piuttosto che le società che si consacrano anima e corpo alla

pursuit of happiness non solo non la raggiungono, ma sono società

profondamente malate. La salute, al contrario, è consacrarsi a scopi un po’ più

elevati e definiti della felicità: la libertà, la bellezza, la giustizia, la verità, la

creazione o l’eccellenza. Ora, in questo tipo di salute, è giocoforza constatare

che i soli momenti di felicità che possono ancora esserci accordati sono quelli

in cui sappiamo farci discreti, lasciare in pace gli altri e noi stessi e andare a

distenderci tranquilli nelle praterie domenicali della vita.

In questa prospettiva, l’altro nome che possiamo dare a questa «felicità per

distrazione» è disponibilità. Essere discreti non significa abbandonare il

mondo e gli altri per una vita interiore più profonda, ma significa al contrario

essere disponibili nei confronti di tutto ciò che di buono o di cattivo può

accadere intorno a noi. La disponibilità è fatta per abdicare di continuo a se

stessa, ma sempre momentaneamente».





Sullo scrivere

"Di quanto ho perduto, irrimediabilmente perduto,

desidero recuperare solo la disponibilità

quotidiana della mia scrittura, righe capaci di

prendermi per i capelli e tirarmi su quando il

mio corpo non vorrà più farcela".


Roberto Bolaño, "Anversa"


Scrittura come pratica quotidiana e necessaria, quindi, per Bolaño, grande autore cileno. Con parole forti esprime tutto il suo essere e il suo modo di intendere la scrittura che si fa vita anche quando essa sfuma.





9 ottobre 2022

L'autunno nell'arte


Per il pittore danese Hans Andersen Brendekilde l'autunno è un sentiero silenzioso, fatto di attesa e contemplazione. I colori sono molto vividi con il contrasto del nero per le persone presenti. La donna in primo piano e due uomini sullo sfondo.
(Un sentiero alberato in autunno, 1902).

8 ottobre 2022

Alla città della mia infanzia

"Non aveva segreti per me la mia città. Fosse o lieta o alcuna ombra la oscurasse, ero abituato a compatire i suoi umori, a spartire i suoi sentimenti più celati, a seguirne le rimutazioni tanto sulla faccia che guardava il mare, quanto su quella che guardava la montagna. Era un affetto il mio ben più intimo e geloso, di quello che le cose inanimate o credute tali sogliono ispirare: misteriosa mistione di amore e di dubbio, insaziabile bisogno di fedeltà".

Tratto da "Alla città della mia infanzia, dico", racconto di Alberto Savinio, contenuto nella raccolta Casa «la Vita», Adelphi, 1988.


Alberto Savinio, raffinato scrittore e pittore, pseudonimo di Andrea Francesco Alberto de Chirico (Atene, 1891 – Roma, 1952) fratello del più noto pittore Giorgio de Chirico, ha espresso alla perfezione quello che provo per la mia città e in generale quello che proviamo un po' tutti verso il luogo di nascita o dove sono le nostre radici, simboli di appartenenza. Essere di casa infatti si dice quando siamo a nostro agio in un posto. Città-casa, simbolo di vita ma anche di morte, di mistero, di amore e odio. La casa è il luogo per eccellenza di tutto questo. Con il carico che porta dietro (e dentro, appunto). Costruire delle fondamenta e tenerle ben salde diventa con Savinio principio universale.



In foto, una veduta aerea di Novara, la mia città di nascita.

6 ottobre 2022

L'autunno nell'arte

 

L'autunno è forse fra le quattro stagioni quella più rappresentata dagli artisti delle varie epoche e movimenti. Ciascuno a proprio modo ha espresso questo periodo dell'anno che si contraddistingue per il cambiamento rispetto all'estate che lo precede e per i tipici colori caldi e aranciati. Autunno metafora di ricerca e introspezione.

Per John Atkinson Grimshaw (1836 – 1893) l'autunno è un pensiero a se stessi e al mondo.

("Rimpianti d’autunno", 1882)