venerdì 25 ottobre 2024

Edith Stein e l'empatia: da problema a stile di vita

 



Si sentono spesso termini che, soprattutto nei social, fanno presa sugli utenti. Non sempre però se ne intuisce la loro portata. Resilienza, talento, empatia, per citarne alcuni. Cosa sono veramente? Sono risorse o barriere? L'empatia, per esempio, appare sempre più necessaria in un mondo dove gli egoismi o anche solo l'isolamento - com'e avvenuto a seguito della pandemia - hanno portato a dei cambi di prospettiva nelle vite di molte persone. Può essere utile capire qualcosa in più grazie a chi, all'empatia, ha dedicato l'esistenza e se ha dedicato l'esistenza ci sarà stata ragione per dare una ragione a noi. 

La parola 'empatia' deriva dal greco εμπαθεία (empatéia, a sua volta composta da en- "dentro", e pathos, "sofferenza o sentimento"), che veniva usata per indicare il rapporto emozionale di partecipazione che legava l'autore-cantore al suo pubblico. Il termine "empatia" è stato equiparato a quello tedesco Einfühlung o per meglio dire, traduce il termine tedesco. Coniato, quest'ultimo, dal filosofo Robert Vischer (1847-1933) e, solo più tardi, tradotto in inglese come empathy. Vischer ne ha anche definito per la prima volta il significato specifico di simpatia estetica. In pratica il sentimento, non altrimenti definibile, che si prova di fronte ad un'opera d'arte. Già suo padre Friedrich Theodor Vischer aveva usato il termine evocativo einfühlen per lo studio dell'architettura applicato secondo i principi dell'Idealismo.

Nelle scienze umane, l'empatia designa un atteggiamento verso gli altri caratterizzato da un impegno di comprensione dell'altro, escludendo ogni attitudine affettiva personale (simpatia, antipatia) e ogni giudizio morale. Fondamentali, in questo contesto, sia gli studi pionieristici di Darwin sulle emozioni e sulla comunicazione mimica delle emozioni, sia gli studi recenti sui neuroni specchio scoperti da Giacomo Rizzolatti, scopritore dei neuroni-specchio, che confermano che l'empatia non nasce da uno sforzo intellettuale, ma è bensì parte del corredo genetico della specie.

Nel linguaggio corrente, l'empatia è l'attitudine a offrire la propria attenzione per un'altra persona, mettendo da parte le preoccupazioni e i pensieri personali. La qualità della relazione si basa sull'ascolto non valutativo e si concentra sulla comprensione dei sentimenti e bisogni fondamentali dell'altro.

Le innumerevoli definizioni che sull’empatia si sono succedute nel corso degli anni e che l’hanno collocata ora nell’ambito della dimensione prettamente affettiva, ora in quella prettamente cognitiva, ne hanno ridotto il significato profondo. Molti sono stati i ricercatori che si sono interessati a questo tema con l’intento di sottolinearne la complessità che ne caratterizza l’anima stessa. Proprio in questa prospettiva si colloca la definizione di empatia della scienziata tedesca Bischof-Kohler, secondo la quale l’empatia è la capacità di comprendere l’altro attraverso la condivisione diretta e immediata del suo stato affettivo, dove malgrado tale condivisione, il soggetto che empatizza conserva la coscienza che tale stato affettivo è lo stato affettivo dell’altro. Questo, in altri termini, sta a significare che considerare il processo empatico un’esperienza emotiva di condivisione, mediato dalla dimensione cognitiva, diventa garanzia a supporto della natura multidimensionale dell’empatia stessa. 

L'empatia è stata più volte analizzata anche da filosofi come Max Scheler, Sigmund Freud o Carl Rogers.  Una sola però ha dedicato la sua vita al tema a partire dalla sua tesi di laurea che è diventata poi un'opera di riferimento imprescindibile. Si tratta di Edith Stein. Nata a Breslavia nella bassa Slesia (allora in Germania) il 12 ottobre 1891; era l’ultima di undici fratelli di una coppia di commercianti di origini ebraiche. Il giorno in cui nacque era anche quello dedicato alla massima festa ebraica, lo Yom Kippur, giorno della riconciliazione. Il padre, Sigfrid Stein, commerciante di legname, muore improvvisamente durante un viaggio d’affari, quando Edith ha solo ventuno mesi. È allora la madre, Auguste Stein Courant, a doversi fare carico da sola di tutta la famiglia e mandare avanti anche l’azienda di commercio di legnami, ereditata dal marito. Auguste Stein educa i figli ad un comportamento responsabile ed operoso, all’altruismo, ad uno stile di vita sobrio e parsimonioso.

Edith si convertì al cattolicesimo dopo un periodo di ateismo iniziato ai tempi dell'adolescenza. Entrò nel monastero carmelitano a Colonia nel 1934 e prese il nome di Teresa Benedetta della Croce.  Venne arrestata nei Paesi Bassi dai nazisti e rinchiusa nel campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau dove trovò la morte. Nel 1998 papa Giovanni Paolo II l'ha proclamata santa e l'anno successivo l'ha dichiarata compatrona d'Europa.

L’interesse principale per Edith Stein è l’io, centro della persona, e questo interesse risale al tempo, appunto, della sua dissertazione accademica, discussa nel 1916 (relatore il grande filosofo Edmund Husserl), intitolata Sul problema dell’empatia. Già dalle prime pagine di questo lavoro la ricerca appare focalizzata sull’essenza dell’empatia, verso cui ci indirizza "il metodo della riduzione fenomenologica" (Bettinelli). 

Sostiene Stein: "si può dubitare se ciò che io vedo esiste prima di me. È possibile ingannarsi […] Ma ciò che non posso escludere, ciò che non è soggetto a dubbio, è la mia esperienza della cosa insieme col correlato fenomeno. Dunque l’esperienza che io ho di me è legata anche alla conoscenza dell’altro che, a sua volta, mi consente di afferrare “strati inferiori” che io stesso non conosco. In questo senso l’empatia è un sentimento calato nel nostro esperire vivente rivolto verso gli altri e, dunque, si colloca come ponte tra le due rive del fiume della vita personale e collettiva; benché infatti l’interesse primario sia rivolto alla persona nella sua unicità, il valore della persona risalta nell’incontro con gli altri e nell’interazione dinamica che culmina appunto nel momento empatico: luogo privilegiato di ricerca della verità".

Così la ricerca sull’empatia non si circoscrive al limite angusto del singolo elemento psicologico, ma con essa si gioca una sfida più grande, afferma Stein, ovvero, prendere coscienza dell’alterità e individuare il rapporto fra elemento soggettivo e oggettivo.

L’empatia costituì per Edith Stein un tema dominante fin dagli anni di studio a Breslavia dei quali ricorda come Husserl, nel corso su Natura e Spirito, avesse messo in luce il fatto che un mondo oggettivo esterno può essere sperimentato solo da diversi soggetti in rapporto fra loro, cioè da una molteplicità di individui conoscenti in rapporto di scambievole comprensione, per cui l’esperienza di altri individui sarebbe presupposta alla conoscenza del mondo esterno . Che l’io e l’altro vivano un rapporto di scambievole conoscenza senza che nessuno dei due risulti annullato o subordinato, ma invece ciascuno sia in certo modo avviato ad essere se stesso attraverso l’esperienza dell’alterità, implica però anche il forte rischio dell’invasione di stereotipi culturali, di convenzioni sociali, della natura, come anche il rischio di perdersi o trasfigurarsi in entità oggettive, in ideali sovraindividuali o, ancora, quello di voler essere uno e di ricostruire una mitica fusione amorosa del due o dei molti. In questi rischi c’è però il germe di ciò che salva: l’empatia, che Edith Stein ha liberato dallo stereotipo romantico ed estetizzante, mettendola con audacia nello stesso luogo in cui, per il maestro Husserl si costituisce il rapporto con il mondo oggettivo. L’empatia è l’atto paradossale attraverso cui la realtà di qualcos'altro, "di ciò che non siamo (…) diventa elemento dell’esperienza intima: quella del sentire insieme, del desiderio dell’altra, dell’altro, che produce ampliamento ed espansione verso ciò che è oltre, imprevisto" (Butterelli-Boella). Dell’empatia si possono vivere differenti esperienze: nel linguaggio, nelle relazioni amorose o amicali, tra insegnante ed allievo, nella narrazione e lettura, in tutta la vasta dimensione in cui nella nostra vita irrompe con forza l’alterità; "ed è proprio in questo scambio reciproco di esperienze e di relazioni umane che si comprende in modo pieno l’umanità. Senza la possibilità del confronto e del rapporto con l’altro non si riesce neppure a guardare nella profondità di se stessi" (Brezzi). L’apertura agli altri è condizione per la fondazione di una vera comunità umana, che si può realizzare attraverso l’esperienza corporea dell’espressione teatrale con dei piccoli allievi, oppure con il vissuto della compassione che, per la filosofa contemporanea Martha Nussbaum, è il punto di partenza della nostra umanità .

L'empatizzare è molto distinto anche dal cosentire. In questo caso, Stein sceglie l'esempio della gioia di uno studente per aver superato un esame: nel cosentire mi immetto nell'avvenimento del buon esito dell'esame, e quindi in quello per cui egli (cioè il compagno di studi) gioisce"; io gioisco con lui per questo evento. Empatia al contrario significa percepire la stessa gioia che lo studente ha in sé: "Nell'empatizzare, colgo la sua gioia e ciò facendo mi traspongo in essa" . 

Allo stesso modo, l'empatizzare (Einfühlen) e l'unisentire (Einsfühlen) sono due atti diversi. Quando gioisco di uno stesso avvenimento o di uno stesso oggetto di cui un altro gode, questo mi può condurre al fatto che non più solo io e lui, ma noi godiamo, noi ci uni-sentiamo nella gioia dello stesso oggetto. Ma anche questo è un processo nel quale l'atto conoscitivo è indirizzato all'oggetto comune della gioia, ma non alla stessa gioia dell'altro. Quindi "non è mediante l'unisentire che facciamo esperienza vitale degli altri, ma mediante l'empatizzare", in quanto solo "mediante l'empatia l'unisentire e l'arricchimento della propria esperienza vitale diviene possibile" o può divenirlo. 

Nel caso dell'empatia, afferma Stein, abbiamo a che fare con una specie di atti di esperienza vitale sui generis: l'empatia, che abbiamo cercato di prendere in considerazione e di descrivere, è, in generale, "esperienza della coscienza estranea" . Dunque affronta la questione di come si sviluppa un tale empatizzare in "una coscienza estranea". Per questo premette alcune definizioni: secondo la teoria dell'imitazione (Nachahmungtheorie), per esempio, elaborata da Theodor Lipps, in me si realizza l'esperienza della vita psichica estranea, mediante la quale imito ("non esteriormente, ma “interiormente”) l'azione di un altro o la sua reazione ad una corrispondente sopravvenienza (nell'esempio portato, l’ "atto visto fare" da lui), partecipando così al vissuto interiore in tal modo espresso. Allora io giungo in questo dato modo, non al fenomeno del vissuto altrui, ma ad una mia propria esperienza, che l'azione vista fare dall'altro, risveglia in me.

Come l'imitazione, così anche l'associazione ad essa collegata, non conduce realmente a "cogliere la vita psichica altrui"; in questo caso si escludono le sensazioni che, in seguito ad una certa azione, io stesso ho od ho avuto intorno alle sensazioni dell'altro. Nel caso esemplare proposto da Edith: "Vedo qualcuno battere un piede rabbiosamente; mi viene in mente come io stessa ho battuto il piede con rabbia; nello stesso tempo mi si rappresenta la rabbia che mi aveva allora colto, per cui dico a me stessa: l'altro è ora arrabbiato come lo sono stata io" . In questo modo ho ricevuto in rappresentazione non il percepire dell'altro, ma la mia propria percezione richiamata alla memoria, e di qui proiettata nell'altro. 

Lo stesso vale per la inferenza per analogia (Analogieschluß), che coglie l'esperienza psichica dell'altro, semplicemente sapendo che di norma alcuni modi comportamentali esteriori determinano altrettante sensazioni interiori. Sebbene questo nel singolo caso possa colpire veramente, si deve però pensare secondo la studiosa che: "L'inferenza per analogia può prendere il posto dell'empatia che forse non ha luogo, e non comporta l'acquisizione di un'esperienza, ma realizza una conoscenza più o meno attendibile del vissuto estraneo".

L'empatia, così come Stein la intende, è certamente distinguibile rispetto ad atti conoscitivi simili, ma non sufficientemente identificabile in definizioni positive. In che modo avvenga l'empatia, si può infatti solo descrivere e le parole che la descrivono sono come delle finestre, attraverso cui siamo costretti a sbirciare la realtà significata. Possiamo intravedere l'empatia che avviene in un altro: un esempio evidente è rappresentato dalla stessa Edith Stein, che secondo Waltraud Herbstrith, carmelitana tedesca, era per natura un "genio dell'amicizia”, ma possiamo anche intravedere, nella propria coscienza, la capacità di potersi empatizzare in un dolore così come nella gioia. Forse è necessaria proprio l'empatia, per poter comprendere l'empatia. Posso effettivamente, come afferma la stessa Edith, "anche empatizzare delle empatie; cioè, tra gli atti di un altro, che colgo nell'empatizzare, possono esserci anche atti di empatia, nei quali uno coglie gli atti di un altro. Questo 'altro' può essere una terza persona ­ oppure io stesso" .

Si mostra, nell'analisi di Edith Stein, che l'oggetto conoscitivo dell'atto empatico, l’esperienza vitale degli altri, può avere contenuti molto diversi. In modo corrispondente alla composizione dell'essere umano come una unità di corpo, anima e spirito, si può trattare di una esperienza vitale dell'altro corporale, psichica o spirituale. Edith Stein dedica perciò due dei tre capitoli della sua opera a una riflessione molto estesa sulla costituzione ontologica dell'essere umano, che lei considera come "individuo psicofisico" (capitolo III) e successivamente come "persona spirituale" (capitolo IV), per giungere in questo modo a descrizioni ancora più dettagliate dell'atto empatico. Così ella parla ad esempio della "presentificazione empatizzante" in relazione all'esperienza vitale corporale dell'altro (un po' come il soffrire di dolori fisici), della "empatia sensoriale" oppure della "endosensazione" (nei suoi sentimenti e sensazioni psichiche, come pressapoco la gioia o la paura) di "comprensione post-vitale" o "coglimento empatizzante" del  mondo spirituale. 

Nel campo dell'esperienza vitale spirituale si apre al soggetto empatizzante "un nuovo regno di oggetti: il mondo dei valori": viene incontro cioè l'intero "mondo della storia e delle culture", dal quale un essere umano è plasmato e che egli stesso ­ in un certo modo continuamente  conforma, e che è appunto l'intero mondo dei valori, nei quali egli pensa, sente e opera. 

Viene incontro anche e soprattutto l'essere umano stesso nel suo valore peculiare. L'empatia conduce ad una sensazione di valore, nella quale ci è data la persona dell'altro e, scrive Stein: "Come negli atti propri originari dello spirito si costituisce la propria persona, così negli atti vissuti empaticamente si costituisce l'altra persona". È in definitiva lo stesso altro, che attraverso l'empatia viene percepito .

Stein non teme, in questo contesto ­ pur all'interno del linguaggio dell'analisi scientifica, ­ di parlare di questo atto dell'empatia come di un "atto di amore": nell'atto d'amore" si compie "un afferrare, ossia un intendere del valore della persona"; e conclude: "Noi non amiamo una persona perché fa il bene, il suo valore non consiste nel fatto che fa il bene (anche se il suo valore può rivelarsi in ciò), ma nel fatto che la persona stessa è pregevole e noi la amiamo per se stessa" .

L'empatia è possibile essenzialmente solo nel typos essere umano. Ma poiché questo typos è simile, almeno nel suo carattere corporale, ad altri esseri, posso empatizzare in un certo grado anche nel dolore di un animale. "Quanto più tuttavia ci allontaniamo dal typos essere umano, tanto minore diviene la quantità di possibilità di attuazione" dell'atto empatico. E poiché nel campo dello spirito "ogni singola persona è per se stessa un typos, potrò d'altra parte empatizzare in un'altra persona, solo nella misura in cui io stesso sono divenuta persona: "Solo chi si sperimenta come persona, come totalità che possiede un senso, può capire altre persone"; se no "ci rinchiudiamo nella prigione della nostra particolarità; gli altri ci diventano un enigma oppure, ancora peggio, li modelliamo a nostra immagine e distorciamo così la verità". 

Quanto più un essere umano ha trovato il proprio "se stesso", tanto più può diventare un "maestro di comprensione" o, come dice, Edith Stein: "un maestro dell'amore".

Mediante l'empatia percepisco l'altra persona nel suo valore peculiare e con il mondo di valori che essa si è fatto proprio. Ma questo ha anche come conseguenza una retroazione su di me: empatizzando nell'altro, si costituisce in me, soggetto empatizzante, un nuovo Io. "Ogni coglimento di altre persone diverse", secondo Edith, "può divenire fondamento di una comparazione di valore"; l'essere umano, che è stato percepito nell'empatia ­ nel suo valore e con i suoi valori ­ ci chiarisce "quello che noi siamo in più o in meno degli altri". Allora, "empatizzando, noi ci imbattiamo in campi di valori a noi preclusi, ci rendiamo coscienti di un proprio difetto o disvalore"; in questo modo, nella comprensione dell'altro, può giungere a sviluppo, "quanto in noi sonnecchia". ­ 

Giovanni della Croce (1542-1591), che due decenni dopo con le sue opere, tanto influsso avrà su Edith, ha forse voluto significare la stessa esperienza quando ha scritto: "L'amore rende simili l'amante e l'amato" ­ un "principio fundamental indiscutible" per il mistico spagnolo, determinando l'intero suo pensiero.

Ritroviamo qui del tutto la situazione personale dell'autrice al tempo in cui lavorava alla sua dissertazione quando, come esempio per questa esperienza vitale, nota sobriamente: "Così empatizzando, riesco a comprendere il tipo dell'homo religiosus, a me essenzialmente estraneo, e lo capisco, sebbene quanto di nuovo là mi si presenti, mi rimane sempre incompleto".

Vale la pena evidenziare che la filosofa era ancora lontana dalla fede quando termina il suo lavoro giovanile con una provocazione interessante che vale certamente la pena raccogliere. Essendo la persona anche spirito, a questo livello, dunque, con chi può empatizzare? Solo con altre persone?

Se dunque l'empatia ha una componente spirituale anche lontani dalla fede, perché non considerarla come stile di vita. E se fosse una pratica culturale? 




Bibliografia


Bettinelli C., Il pensiero di Edith Stein, Vita e pensiero, Milano, 1976.

Bella L. - Buttarelli A., Per amore di altro. L’empatia a partire da Edith Stein, Edizioni Cortina, Milano 2000, p.8-9.

Brezzi F. (a cura di) Amore ed empatia, Franco Angeli, Milano, 2003, p. 50.

Enciclopedia della Filosofia e delle scienze umane, Istituto Geografico De Agostini, Novara 1996.

Herbstrith W., Edith Stein. Vita e testimonianze, Città Nuova, Roma, 1999.

Nussbaum M. , Giustizia sociale e dignità umana. Da individui a persone, Il Mulino, Bologna, 2002.

Stein E. , Sul problema dell’empatia, a cura di Elio Costantini, Erika Schulze Costantini, ed. Studium, Roma, 2012.



mercoledì 18 settembre 2024

Against all odds - Contro ogni previsione


Meglio non fare previsioni, si potrebbe sbagliare. Oppure no. Nonostante tutto, qualcosa si avvera. A dispetto della storia, delle circostanze, del destino che non lascia molte vie d'uscita. 

Una mostra temporanea che ho avuto modo di visitare, aperta fino all’8 dicembre 2024, porta il titolo di Against All Odds, Historical Women and New Algorithim. Ovvero: Contro ogni previsione – Donne storiche e nuovi algoritmi. Non era previsto che la vedessi, proprio perché temporanea. Anche questo è andato contro ogni previsione. Tuttavia, era prevista la mia visita nella città e nel museo che la ospita: Copenaghen e il museo è l’Smk, acronimo di Statens Museum for Kunst, la Galleria d’arte più importante della Danimarca, con un’ampia rassegna di arte danese e nordica, europea e internazionale. 

Oggetto della riflessione far conoscere ventiquattro artiste, tutte donne, provenienti dall’area del Nord Europa che, contro ogni previsione, ebbero successo negli anni 1870-1910. Nonostante questo, molte furono ben presto dimenticate. Ragioni storiche e culturali, meno accesso all’arte rispetto ai colleghi maschi, meno opportunità espositive non hanno risparmiato i Paesi scandinavi. Anzi, le artiste dovettero spostarsi nel resto d’Europa creando un vero e proprio movimento transnazionale. L’allestimento è composto da dipinti e sculture e, nella parte conclusiva, da installazioni interattive dell'artista contemporanea panamense Itzel Yard, in arte IX Shells, al suo esordio in un grande palco, sull'intelligenza artificiale e come questa può essere utilizzata per la comunicazione e la comprensione degli eventi. Che il progresso è fra noi lo vediamo tutti i giorni dagli algoritmi. Ma gli algoritmi cambiano vorticosamente e l'intelligenza artificiale ha sfondato in breve tempo. Le opere come quelle esposte nella mostra propongono, oltre al "messaggio" da lasciare all'utente, anche un diverso modo di fruizione dell'arte. 

Siamo abituati ad ammirare paesaggi e ritratti realizzati da artisti uomini. La collezione dimostra che non è così o non è così che le cose dovevano andare, chi lo sa, ma da questo bisogna ri-partire. Dal passato, dal futuro già presente. 

Qui sotto alcuni scatti. 

Il ritratto del pittore Munch da giovane (1889) solo per fare qualche esempio, e l’autrice è la norvegese Asta Nøreggaard



Quest’altro invece è della finlandese Helene Schjerfbeck, "In cammino verso la chiesa", 1895-1900



Una scultura della danese Anne Marie Carl-Nielsen, "Testa di serpente", 1903-1905                                                              



Il grande pannello con le artiste e i loro    spostamenti. Dalla grafica emergono i  legami  e le interconnessioni. Vere e proprie onde di  energia e talento. 


   


IX Shells e la sua arte. 
(Foto tratta dal sito del museo)



L'atrio del museo








domenica 15 settembre 2024

I diari di Sylvia Plath

 


I Diari di Sylvia Plath sono da leggere per la loro intensità, e per quello sguardo particolare sulle cose che va oltre le cose stesse. Così come i diari di Virginia Woolf, anch'essi pubblicati, o quelli di Cesare Pavese: tutti scrittori, fra l'altro, accomunati da una scelta estrema. È sufficiente la citazione qui sotto, che ricorda in un certo senso sia Woolf che Pavese con Il mestiere di vivere, per intuirne la potenza espressiva:

"Il mestiere di scrivere. Lo scrittore fabbrica illusioni per l'uomo comune - e si ammanta di mistero: a nessuno piace pensare che le proprie emozioni possano essere usate o suscitate da abili letterati di professione. A nessuno piace pensare: questo tizio è capace di guardarmi dentro e di frugarmi l'anima per far soldi. Così, quando gli chiedono come gli vengano le idee, lo scrittore risponde: «Mi sdraio sul divano e Dio mi parla. E' l'ispirazione». E fa contenti tutti". 

In Italia i Diari sono editi da Adelphi nella traduzione di Simona Fefè. Leggere diari, e scriverli anche, può aiutare l'introspezione, a guardarsi dentro con sincerità. A trovare risposte. Ad agire di scarto. Le linee temporali di Sylvia Plath ci conducono dove mai ti aspetteresti. Scrive pagine di resistenza e fatica. È fragile e tenace, malinconica e divertente. Una sensibilità fuori dal comune, la sua. Lirica anche quando descrive banali attività quotidiane. Una volta terminata la lettura vorresti soltanto averla di fronte, guardarla negli occhi, l'autrice di questo diario, e dopo abbracciarla. Ascoltare il silenzio insieme a lei. Poetessa e scrittrice che s'impegna, che studia, che lavora, ma anche donna che ama e vuole essere amata. Null'altro. E che vuole scrivere. 

Nacque a Boston nel 1932. Anche lei, come Virginia Woolf e Cesare Pavese, scelse il suicidio per l'ultimo sentiero della vita. Dove c'è una fine però c'è un nuovo inizio. La immaginiamo, la immagino, nella quiete che desiderava e nell'arte che tanto amava, con alcune parole lasciate in un giorno in cui il freddo dell'inverno se n'era andato e una nuova stagione entrava:

"Con la mia ripresa e l'arrivo irruente e testardo della primavera sto vivendo la pace e la gioia profonda che non provavo più da quando ero piccolissima e sognavo poesie e favole in technicolor".



martedì 27 agosto 2024

Quella vita che è mestiere

 Non potevo, oggi, non ricordarlo. Dopotutto è a lui che devo il nome di questo blog: Cesare Pavese e al suo "Il Mestiere di vivere".

Il "Mestiere di Vivere" è tra le sue opere più conosciute e non è né un romanzo né una raccolta di poesie. E' il diario che lo scrittore ha tenuto tra il 1935 e il 1950 e interrotto nove giorni prima di decidere che nulla aveva più senso se non dandogli un senso preciso: la morte. Era il 27 agosto 1950. 

Il libro lo acquistai quasi alla cieca, per così dire. Lo vidi in vetrina in una libreria, a Cagliari, dove mi trovavo in vacanza dalla nonna materna. Mi colpii il titolo. Sapevo vagamente che era un diario. Anche io ne  avevo uno e chissà pensavo fosse qualcosa di più alla mia portata. Erano gli anni Ottanta. Avevo quattordici anni. 

Leggendolo mi soffermavo per capire alcune frasi, ma a volte se non spesso, non capivo. L'ho riletto molti anni dopo trovando nelle pagine ormai ingiallite ancora più mistero e dolore. Un dolore lacerante e persino ironico.

Così quando due anni fa mi è venuto in mente di aprire un blog con l'intento di scrivere quello che non metto sui social, mi sono ripromessa che le prime parole che avrei visto un po' per caso un po' no, e a seconda dell'ispirazione e della frase,  avrebbero dato il nome al blog. E così è avvenuto: "Quest'oggi, niente". Non aveva forse altro da dire quel giorno, Cesare Pavese. Era il 25 aprile 1936, eppure qualcosa ha scritto lo stesso. Il diario come parte di se stessi. Imprescindibile e inscindibile dalla vita. 

Perché la vita è un mestiere, e mistero.





















venerdì 16 agosto 2024

Dentro la scrittura di Stephen King

                               


"On writing", sottotitolo "Autobiografia di un mestiere", di Stephen King, pubblicato in America per la prima volta nel 2000 e l'anno successivo in Italia, con Sperling & Kupfer, tradotto da Tullio Dobner, non avrebbe bisogno di presentazioni talmente è noto o di ulteriori recensioni talmente ne sono state fatte. Eppure, se ne parla ancora. Perché certi libri rimangono, mentre altri si dimenticano. Chi pratica la scrittura, a qualunque titolo, dovrebbe leggerlo e ri-leggerlo. 
Non si tratta di un vero e proprio manuale di scrittura creativa, ma può essere usato come tale. È piuttosto la vita di chi si è avvicinato alla lettura e alla scrittura per alleviare i dolori della vita stessa. O meglio, come dice l'autore, "per rendere l'esistenza un posto più piacevole". Le sofferenze, fisiche e morali, e le gioie raccontate a cuore aperto ai lettori, senza perdere un istante di lucidità e consapevolezza. Il privato a servizio del pubblico. 
Il suo processo creativo è avvenuto, almeno all'inizio, più per imitazione che per creazione vera e propria. Le letture fatte dal piccolo Stephen infatti hanno agito nel suo animo per poi trasfigurarsi sulla carta. Come questo sia avvenuto o avvenga è un Mistero, con la M maiuscola. Potrà essere un ossimoro, ma lo si può affermare con sufficiente certezza. D'altro canto, è il mistero dell'arte. O c'è o non c'è. 

La seconda parte del libro è meno intimista ma non per questo meno privata. King esplora il significato dello scrivere, cosa fare per non cadere in banalità o sciatteria e cosa e come leggere, ovvero "centellinando e non solo a lunghe sorsate" .
I consigli elargiti sono numerosi e pratici, dai dialoghi all'uso degli avverbi, e non solo. La regola, ora un mantra per molti, nonché la più semplice è, e resta, sempre la stessa: scrivere molto e leggere altrettanto. 
Le regole vanno imparate perché la scrittura ha le proprie e la grammatica è la prima fra queste, definita con una splendida metafora "il bastone al quale aggrapparvi per rimettere in piedi i vostri pensieri e farli camminare". 
Stephan-narratore sa bene cosa vuol dire avere padronanza delle proprie capacità e dei propri mezzi proprio per aver prima imparato le regole. Dopotutto, per sovvertirle nel modo giusto bisogna conoscerle. 

<<Il fulcro qui è: «Se non è certo di fare bene». Se non avete una conoscenza rudimentale di come le parti del discorso si fondano in frasi coerenti, come potete essere certi di fare bene? Come, se è per questo, stabilire che state facendo male? La risposta, naturalmente, è che non potete>>.

A colpire, in questa autobiografia che abbraccia diversi generi letterari (benché lui preferisca parlare, forse con una punta di ironia, di curriculum vitae) -  è la condivisione. Stephen King diventa noi e noi ci rivediamo in lui. Coloro che leggono, coloro che anche scrivono hanno la propria esperienza di studio e formazione alle spalle, questo è ovvio. Tuttavia, poiché entrambe sono attività solitarie e allo stesso tempo di comunicazione verso l'esterno - ed è sufficiente sperimentarlo in un gruppo di lettura o soltanto parlare a un amico di un libro che si è letto, a un altro quindi all'infuori di noi - ci ritroviamo in quanto King dice, anche se la nostra indole, il nostro vissuto, sono nei fatti diversi dal suo. Pur se, molto probabilmente, non saremo mai "un King". 

Il romanzo della vita non è in fondo una vita per il romanzo? 




Stephen King, foto tratta dl sito ufficiale dell'autore stephenking.com




mercoledì 31 luglio 2024

“Impunità di gregge. Sesso, bugie e omertà nel mondo dello sport” di Daniela Simonetti (su Solo Libri)

 Talvolta, dietro alcune immagini di vittorie e sconfitte degli sportivi c'è dell'altro. Per fare un esempio su tutti, la campionessa americana di ginnastica artistica Simone Biles, grande protagonista delle Olimpiadi di questi giorni a Parigi, è stata fra quelle atlete che coraggiosamente hanno alzato il velo sul fenomeno degli abusi nel mondo dello sport, in particolare nel suo caso, della ginnastica. Nel link sotto riporto la mia recensione del 2021 al saggio-inchiesta della giornalista Daniela Simonetti, "Impunità di gregge. Sesso, bugie e omertà nel mondo dello sport", edito da Chiarelettere. Per capire, per sapere. 





© artisticco, stock.adobe.com

sabato 13 luglio 2024

“L'estate delle carogne” di Simon Johannin (su Sololibri)

Ho parlato oggi su SoloLibri del romanzo d'esordio di Simon Johannin, "L'estate delle carogne", vincitore del Gran Prix 2017, nella traduzione di Valentina Maini, Alter Ego Edizioni. Questo il link della recensione:

www.sololibri.net/L-estate-delle-carogne-Simon-Johannin.







venerdì 28 giugno 2024

Sulle tracce di Montaigne

Ho approfittato del mio recente viaggio a Bordeaux per andare sulle tracce del grande filosofo Michel de Montaigne, che in questa città francese nacque il 28 febbraio 1533.
Conosciuto anche come raffinato aforista, il suo pensiero e la sua saggezza sono di grande attualità per ri-scoprire un nuovo umanesimo: la tolleranza verso le nostre fragili illusioni e debolezze per sopportare i dispiaceri della vita, rifiutare ogni tipo di crudeltà e sopraffazione, e accettare l'esistenza per raggiungere la felicità terrena. Il suo approccio era di stampo razionalista. Solo la ragione può cogliere la realtà e descriverla. L'uomo chiamato a riscoprire se stesso deve porsi continuamente domande. Non ci sono verità ultime per lui.

L'opera principale, che lo ha impegnato per tutta la vita, è costituita dai Saggi, Les Essais in francese. Il termine vuol dire sperimentazioni, ricerche, esperienze, in linea dunque col suo filosofare. Nella prefazione scrive: "Sono io stesso la materia del mio libro". Pubblicata in tre edizioni tra il 1580 e il 1588, analizza la condizione umana nella sua quotidianità. Nel 1580, durante un viaggio in Italia subisce l’azione della censura da parte della Corte pontificia. I Saggi, infatti, vengono accusati di promuovere l’ateismo, di essere licenziosi ed empi. Eliminati alcuni passaggi controversi e ripubblicati, vengono poi messi all'indice e proibiti definitivamente.

Tra il 1580 e il 1581, Montaigne è tra Francia, Germania, Svizzera e appunto l'Italia. Tiene un diario di questa lunga esperienza che viene però pubblicato solamente due secoli dopo. Il viaggio di Montaigne si interrompe a seguito della sua nomina a sindaco di Bordeaux. Dopo la scadenza del mandato e a causa di un’epidemia di peste, deve allontanarsi dalla città e va a vivere nel suo castello di Saint-Michel-de-Montaigne dove lavora a una ennesima versione dei Saggi. Muore nel medesimo castello il 13 settembre 1592.

Una copia dell'opera è conservata al Museo dell'Aquitania di Bordeaux.


Nella "Grands Hommes", zona signorile della città, con numerosi ristoranti e negozi di lusso, c'è la via a lui intitolata, insieme ad altri grandi personaggi della storia e dell'illuminismo francese. 

La statua invece si trova in Place des Quinconces, non distante dal monumento ai Girondini e dove si trova anche la statua di Montesquieu.


Elegante e quasi indolente, Bordeaux, multietnica e moderna, ricca di palazzi liberty e chiese gotiche, è la più protetta al mondo dall'Unesco. Chissà cosa direbbe di lei, oggi, e dei tempi contemporanei, Montaigne. Mentre io, sempre oggi e in queste poche righe, parlo di lui. 






giovedì 20 giugno 2024

Vitaliano Trevisan e la scrittura

«Perché scrivi? Io la guardo nei suoi occhi azzurri, poi guardo lo scrittore, dunque guardo di nuovo lei, quindi di nuovo lui, e lui, invece di venirmi in aiuto dice: già, volevo chiedertelo anch’io, ma visto che te l’ha chiesto lei… perché scrivi? Non solo non mi ha aiutato, penso, ma mi ha addirittura rifatto la domanda, e me l’ha rifatta in presenza della sua allieva che sta per essere pubblicata nell’antologia di under venticinque di Transeuropa che lui stesso cura insieme a Brizzi e alla Ballestra; allieva che lui stesso ha invitato, mettendomi in grandissimo imbarazzo, perché avendo letto le mie cose mi voleva conoscere, e me l’ha rifatta con la stessa serietà con cui un attimo prima mi era stata posta dall’under venticinque! Perché respirate? chiesi allo scrittore e alla sua allieva, nello studio dello scrittore. D’altronde non si può mica pretendere che uno risponda seriamente a una domanda del genere, pensavo aspettando l’ascensore. Gli ascensori non arrivano mai, e gli ascensori dell’ospedale arrivano anche più tardi degli altri» (Vitaliano Trevisan, “Un mondo meraviglioso”, Einaudi, 2003).

domenica 9 giugno 2024

L'arte è “politica”

L'arte è "politica". Perché nasce da una necessità. 
Scrivere un romanzo ha un'istanza politica così come realizzare un dipinto o comporre una musica. 
Non della politica dei "palazzi", si tratta. Bensì dell'urgenza di dire al mondo qualcosa che si ha da dire. Un vuoto che dev'essere colmato con uno sguardo oltre o sull'altrove. 
L'arte è artificio e il vero artista lo sa. L'arte inchioda. L'artista è un genuino commediante. Politica come urgenza e religione come fede nei confronti della propria attività creano l'opera. L'opera, tuttavia, non rappresenta la realtà. La realtà non può essere rappresentata. Se disegno un albero non sarà mai quell'albero disegnato. La natura è realtà. L'arte è un'intuizione che produce bellezza. 

Ben Vautier

martedì 4 giugno 2024

Il mito di Ifigenia (su Sololibri)

Ho parlato oggi su SoloLibri.net della versione di Joan Racine del mito di Ifigenia, ora tradotto in rima da Lodovica San Guedoro:

https://www.sololibri.net/Ifigenia-traduzione-in-rima-Lodovica-San-Guedoro.html 



In foto: Racine. 

(Autore: Photo Josse/Leemage)

martedì 7 maggio 2024

Requiem K 626 (Un mio racconto pubblicato il 13 febbraio 2022 sul blog Chi ha paura della pagina bianca)

Non ho più ripreso, penso mentre Cri si prepara. Non so nemmeno se mi manca, la musica. Non so più niente. Vorrei, giuro che vorrei ma non riesco, come se una forza più forte di me mi prendesse per mano e mi trascinasse via. Non ho voglia di riprendere a suonare. Non me la sento. Mi spiace, caro Mozart. Mio adorato.

Ha la camicia azzurro cielo, senza cravatta, i pantaloni blu; porta la giacca di lino dello stesso colore sul braccio. Ho sentito che prima mi ha cercata in sala, mi vede e dice: «Cassandra, tesoro, allora vado, esci, mi raccomando. Non so quando finisco ma farò il possibile per non tornare tardi, te lo prometto». Viene verso di me e mi bacia sulla fronte. Sulla fronte. Io odio i baci sulla fronte. Sa che li odio, eppure me l’ha dato ugualmente. Non sono mica malata, è solo un periodo, così ha detto papà.  Mi saluta di nuovo perché non ho risposto dopo il suo bacio sulla fronte, e allora dico: «Ciao, Cristian, ciao». Chiude la porta e se ne va. Lo vedo, si infila in macchina e mi sembra contento di salirci. Dall’andatura. La macchina ha i vetri oscurati. Non si vede nulla dentro, non vedo niente. Che ne so chi c’è dentro. È tutto così scuro. La berlina si muove. Le ruote scricchiolano su un leggero strato di ghiaietta. Sto alla finestra un altro po’. Oggi saremmo dovuti andare al lago, una gita tutta organizzata da me, finalmente c’ero riuscita. Deve vedere l’assessore, anche se è domenica. Non può rinviare perché in settimana l’assessore ha gli impegni politici, e lui ha i suoi, e loro devono discutere di cose urgenti, estremamente urgenti che io non capirei. Sono cose che non puoi capire, mi ha detto. Al che io ho ribattuto che avrei capito se soltanto me le avesse spiegate. 

«Lo sai che il mio è un lavoro importante e delicato, non dovremmo nemmeno discuterne».

«Sì, ma allora la questione non è che io non capisco».

«Be’ sì, cioè no, non volevo dire che tu non capisci nel senso reale del termine, volevo dire che sono questioni di lavoro di cui non posso parlarti. E dai, su. Oggi puoi fare una bella passeggiata al Sempione. Dai che fra meno di un mese facciamo quel viaggio, non sei contenta?». Cri, ma chi lo vuole fare quel viaggio? Ho pensato. Dubai, e mi sento male. Non gliel’ho detto. Ho iniziato a sentire un groppo in gola e un nodo attorcigliato al posto dello stomaco. Si è girato per dirigersi verso la cabina armadio. Inizialmente l’ho seguito, poi ho indietreggiato e sono andata in bagno. Il Lexotan è lì. Poi corridoio, cucina, di nuovo corridoio, bagno, perché ho sbagliato, il Prozac di mattina, il Lexotan di sera. Tanto non ci sei mai, pensavo mentre andavo e tornavo, e per una volta, una volta che sono riuscita a organizzare tutto io, una cosa voluta da me, io e lui soli – sono riuscita a chiamare anche il ristorante per prenotare, che non sai che fatica ho fatto – ecco che è andato tutto male, e sono pure senza Marisa perché ha il giorno di riposo. Non dovrei stupirmi. Funziona così, a me va sempre tutto male. E anche quando provo a far andare bene le cose mi vanno male. Devo parlarti, Cri. È importante anche questo, Cri. Ma che glielo dico a fare, penso, tanto è sempre impegnato.

Milano è quasi deserta in questo periodo, e quando è così deserta anche il palazzo è deserto e ho paura. La Daniela è in montagna e la Letizia ha l’aereo per Londra. Le uniche vere amiche che ho. Le altre sono false, come questo mondo. C’è caldo e andare in giro in città è terribile. E poi non mi piace andare al parco da sola. E comunque non ne ho voglia. Avevo voglia di andare al lago. Ero riuscita a telefonare io al Momi affinché ci riservasse i posti migliori. C’ho impiegato due giorni prima di decidermi. Mi tremavano le mani. La mia mamma c’è nata, in quell’aria delicata del lago e il lago mi rasserena.

Avantieri, o ieri, quando esattamente non lo ricordo, mi ha detto: «Da quando è successo il fatto – il fatto, lo chiama lui – non hai ripreso ancora il lavoro». «Non me la sento, Cri, non me la sento», ho risposto. Non sono riuscita a dirgli altro. E mi ha guardata, dallo specchio, un sospiro e ha proseguito nella rasatura. Sono tornata a letto. Quando ha finito di farsi la barba ha aggiunto: «Cassy, cerchiamo di essere ottimisti, ok? Andrà tutto bene». Ero già a letto ma l’ho sentito lo stesso perché ha alzato la voce per dirlo. Io ero già nel mondo dei sogni. Sogno il mio piccolino; almeno lì nei sogni c’è. Non è un fatto come lo chiami tu, Cri. Non ho da dire alcun addio. Non è come la mia mamma, a lei ho detto addio perché c’è stata in questo mondo. È diverso. Non lo capisci nemmeno tu, Cri. Ce ne stiamo in veranda tranquilli io e il mio piccolino e poi ce ne andiamo in giro, eh, che dici Luchi? Però quando è più fresco ce ne andiamo al parco, che anche se la città è semideserta al parco ci sono gli altri bambini e le altre mamme e si sta bene. Starò con loro. La mia vita è lui e lui ha bisogno di me, solo di me, non ha bisogno di altri, ha bisogno della sua mamma perché la sua vita è la sua mamma e lui è la vita per la sua mamma. Mi sono sempre piaciuti i nomi maschili che finiscono con la esse, penso nel sogno. Ero indecisa con Thomas. Poi ha vinto Lucas. Quando mi risveglio sto male. 

Ho rabbia dentro, Cri, che non so come spiegarti da dove viene. Avevo voglia di dirti anche questo, proprio così come l’ho pensato ora. Avrei parlato, sono sicura che lì ci sarei riuscita. In questa casa c’è rabbia e non riesco. In questa casa c’è veleno come quello che ingurgito. In questa casa mi sono sentita male, quel giorno. In questa casa sono stata cattiva, quel giorno. Chissà quando sarà, non ho voglia di pensare a un’altra occasione, adesso. Scricchiolo come la ghiaietta che ha scricchiolato quando ero alla finestra e ti ho visto salire su quella macchina. Ecco cosa sono, forse sono quella ghiaietta. Fammi sognare ancora, Cri. Fatemi sognare ancora.


domenica 17 dicembre 2023

Senza titolo

Cedi le redini, fai errori, non fuggire da te. Riversa in massa. Dai scossoni. Lascia andare la rabbia, l'amore, l'ironia della vita, nella vita. 
Osa. 

mercoledì 6 dicembre 2023

I fiori recisi di Vitaliano Trevisan

Libro di Vitaliano Trevisan del 2010. Lo leggo solo ora, e con questo completo la sua produzione narrativa.
Nessun commento, solo silenzio, come avrebbe voluto, penso.