17 dicembre 2023
Senza titolo
6 dicembre 2023
I fiori recisi di Vitaliano Trevisan
Lettere d'amore
21 gennaio 2023
L'inverno per Monet
9 novembre 2022
La fine di un'epoca in un murale
Dmitri Vrubel, pittore russo morto pochi mesi fa a causa delle complicanze da Covid, è entrato nella storia insieme a ciò che voleva rappresentare: la fine di un'epoca, quella che ha segnato la Germania (e i destini dell'Europa) dal periodo immediatamente precedente la fine della Seconda Guerra Mondiale quando Usa, Gran Bretagna e Unione Sovietica decisero che il Paese tedesco e Berlino sarebbero stati divisi, cosa che poi avvenne nel 1961, e il 9 Novembre 1989, anno della caduta del famoso Muro che separava appunto la città fra Est e Ovest. Lo scopo dell'accordo era impedire la libera circolazione di beni e persone fra le potenze occidentali e della Nato e quelle filosovietiche del Patto di Varsavia. Risultato della diffidenza e delle ostilità in atto fra i due blocchi vincitori del conflitto.
A oggi sono passati trentatré anni dalla caduta del Muro.
Ritornando a Vrubel, egli volle raffigurare un bacio realmente avvenuto nel 1979 per i trent'anni dalla nascita della Germania orientale fra due leader comunisti, Bréžnev, sovietico e Honecker, tedesco.
Il dipinto subì inizialmente dei danni ma il suo autore si rimise al lavoro ed è quello che si può ammirare adesso anche se (almeno quando l'ho visto io, nel 2017) sono state posizionate delle transenne per evitare ulteriori problemi.
L'opera ha un titolo piuttosto emblematico: "Mio Dio, aiutami a sopravvivere a questo amore mortale". Ma Dmitri Vrubel forse non immaginava che il dipinto realizzato all'indomani della caduta del muro di Berlino su un tracciato del muro stesso, sulla Mühlenstrasse, denominato East Side Gallery, sarebbe diventato un'icona con file di turisti e curiosi per poter realizzare una foto (tra cui chi scrive ora).
Non c'è solo questo murale ma anche altri, nati dal desiderio di libertà e dalla voglia per tutti di lasciare alle spalle un triste passato, di guardare al futuro affinché certe cose non capitino più, senza tuttavia dimenticare. Anzi, proprio per non dimenticare. Un memoriale che vale davvero la pena di vedere dal vivo.
31 ottobre 2022
Il nome del blog
Cesare Pavese, nel suo diario pubblicato col titolo "Il mestiere di vivere", nella giornata del 25 aprile 1936 annotava: "Quest'oggi, niente". Il diario, un qualcosa di inscindibile dalla vita di chi lo scrive anche quando non ha da scrivere.
Da qui il nome di questo blog personale. Dove il niente è tutto. Perché il niente, in un'esistenza, non esiste.
"Teschio con sigaretta accesa", Vincent Van Gogh
"Teschio con sigaretta accesa" è una delle prime opere di Van Gogh, realizzata negli anni 1885-86 Sicuramente la più macabra ma anche la più ironica. Si ritiene che il pittore olandese abbia utilizzato come “modello” uno scheletro dell’aula di anatomia della scuola di belle arti che frequentava.
Le interpretazioni sul dipinto però sono state le più disparate. Chi ha visto semplicemente una sfida verso le pratiche accademiche, chi invece una preoccupazione per le fragili condizioni di salute in cui versava già da giovane Van Gogh oppure ancora una sfida sarcastica rivolta alla morte. La propria, in particolare.
Il dipinto è conservato al Van Gogh Museum di Amsterdam.
Comunque perfetta per il periodo di Halloween, visto che oggi è 31 Ottobre.
29 ottobre 2022
Recensione per SoloLibri.net
19 ottobre 2022
I Black Tulips di Vitaliano Trevisan (su Sololibri)
Ho parlato su SoloLibri.net del libro uscito postumo dello scrittore e drammaturgo Vitaliano Trevisan, scomparso nel mese di gennaio di quest'anno. "Black Tulips", pubblicato da Einaudi.
https://www.sololibri.net/Black-Tulips-di-Vitaliano-Trevisan.html
10 ottobre 2022
Ha ancora senso parlare di vita discreta?
Ha ancora un senso nell'epoca in cui viviamo, fatta di iper connessione e di conseguenza una certa sovra esposizione mediatica, parlare di concetti come discrezione, farsi da parte, osservare senza essere osservati? Sembra un compito arduo. Ma basta leggere un saggio uscito nel 2015 dal titolo "L’arte di scomparire – Vivere con discrezione", pubblicato da il Saggiatore, per ricredersi. Adesso sembrerebbe quasi impossibile rispondere alla domanda, visto che sono passati già sette anni dall'uscita. A scriverlo è stato un filosofo francese, Pierre Zaoui.
Qui sotto riporto uno stralcio di un paragrafo del testo, che parla di «Felicità per sottrazione», utile per capire cosa intende l'autore per "arte di vivere con discrezione". Ancora più sotto la copertina del libro.
«A grandi linee, potremmo dire che oggi esistono
due modelli dominanti di felicità. Da una parte, il modello cumulativo,
ultramaggioritario nel sistema capitalista, che situa la felicità nell’avere,
essendo l’apparire stesso ridotto a una forma dell’avere (avere un capitale
sociale…). Essere felice significa avere: soldi, belle macchine, donne,
uomini, gloria, potere. Dall’altra, il modello filosofico, che va fortunatamente
ben oltre i soli filosofi di professione, e che situa la felicità nell’essere –
accumulare falsi beni non serve a nulla, è sufficiente imparare a essere: saggi,
prudenti, temperanti ecc.
L’esperienza della discrezione fa saltare in aria un’alternativa di questo
tipo. Da un lato, è ovviamente all’opposto di ogni accumulazione personale,
perché consiste nel distaccarsi da tutti i beni, esteriori e interiori, senza
negarli, ma collocandosi serenamente accanto a loro. Dall’altro, consiste
similmente nel distaccarsi dal proprio stesso essere, nell’ignorarsi, nello
scomparire a vantaggio delle cose esteriori. Eppure, non si può dire che in
un’esperienza del genere non ci sia più posto per la felicità; al contrario, anzi,
essere distaccati da tutto, sentire che non si ha più nulla da perdere, nulla da
guadagnare, nulla da provare, nulla da mostrare, è spesso proprio una vera
felicità. Dobbiamo dunque concepire un terzo tipo di felicità, che non
poggerebbe né sul possesso e la soddisfazione dei beni esteriori, né sul
possesso e la soddisfazione di sé, il godimento di diventare saggi o anche
semplicemente di diventare chi si è, ma sul distacco simultaneo da sé e dalle
cose.
Una felicità simile, potremmo chiamarla «felicità per sottrazione». Sottrarsi
ai vani giochi delle immagini di sé e delle ambizioni personali; sottrarsi alle
cose che si posseggono come a quelle che non si posseggono; sottrarsi alla
paura di perdere come alla paura di non aver più nulla da perdere – di essere
senza mancanza, senza vuoto, senza movimento, morti. Perché, certo, una
simile felicità istintivamente fa un po’ paura, sembra del tutto prossima al fantasma dell’abbandono o alla grande rinuncia nichilista. Ma è perfettamente
possibile e persino facile superare questa paura non appena ci rendiamo conto
che questa sottrazione non è che un momento, felice da vivere, ma anche felice
da veder passare, per reimbarcarsi nella vita con la sua ruota perpetua di
impegni e delusioni, di speranze e disillusioni. Vale a dire, dal momento in cui
ci ricordiamo ancora una volta del carattere intrinsecamente discontinuo della
discrezione. Non è la libertà a rendere felici, ma la continua liberazione, il
distacco, l’affrancamento, l’uscita dall’alienazione. Ma per distaccarsi o
liberarsi, bisogna pur essersi inizialmente attaccati o fatti prendere, e per
distaccarsi ancora bisogna ben accettare di attaccarsi ancora, senza fine. La
discrezione rende felici soltanto in modo ciclico, come sospensione, battuta di
arresto e di rilancio, vuoto fecondo, contrazione in attesa di una nuova
espansione, disimpegno in attesa di una nuova presa.
In questa prospettiva, certo, non è più possibile concepire una felicità
eterna, definitiva, sicura. E non si può neppure considerare la felicità come il
fine supremo dell’esistenza: non è che un momento di attesa tra due duri sforzi,
sempre nel mezzo della vita, mai alla morte. Ma è forse un male? Possiamo
scommettere piuttosto che le società che si consacrano anima e corpo alla
pursuit of happiness non solo non la raggiungono, ma sono società
profondamente malate. La salute, al contrario, è consacrarsi a scopi un po’ più
elevati e definiti della felicità: la libertà, la bellezza, la giustizia, la verità, la
creazione o l’eccellenza. Ora, in questo tipo di salute, è giocoforza constatare
che i soli momenti di felicità che possono ancora esserci accordati sono quelli
in cui sappiamo farci discreti, lasciare in pace gli altri e noi stessi e andare a
distenderci tranquilli nelle praterie domenicali della vita.
In questa prospettiva, l’altro nome che possiamo dare a questa «felicità per
distrazione» è disponibilità. Essere discreti non significa abbandonare il
mondo e gli altri per una vita interiore più profonda, ma significa al contrario
essere disponibili nei confronti di tutto ciò che di buono o di cattivo può
accadere intorno a noi. La disponibilità è fatta per abdicare di continuo a se
stessa, ma sempre momentaneamente».